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Il triangolo? Non l’avevo considerato!

Qualche settimana fa Wired ha pubblicato un’interessante intervista a due divulgatori scientifici sul tema della comunicazione in scienza. Il tema principale, come si desume dal titolo, è relativo allo stereotipo dello scienziato incarnato da personaggi di film e telefilm di successo.

Ma i due intervistati accennano ad altri punti interessanti sui rapporti tra scienza, comunicazione e platea di ascoltatori. Il contesto dell’intervista è quello della scienza “speculativa”: in particolare, si fa riferimento alle teorie cosmologiche e della fisica delle particelle, quelle che stanno un po’ al confine con il paradossale e la fantascienza, ma direi che le considerazioni espresse valgono in generale per qualsiasi campo scientifico.

 

Uno dei temi è stato affrontato più volte su CM: il fatto che, grazie alla pervasività del web, il grande pubblico ha accesso non solo alla conoscenza scientifica già consolidata, ma anche al dibattito in corso, per così dire “in tempo reale”; più precisamente, anche a bozze di articoli che non sono ancora stati sottomessi alla peer review. In ambito climatologico, più volte i redattori di CM hanno proposto o segnalato discussioni proprio di questo tipo e sono state registrate diverse
opinioni sull’opportunità di questa grande circolazione di informazioni.

 

 

Chi è critico, come il sottoscritto, ha fatto presente che tutte le volte che un dibattito “caldo”, come quello recente sui supposti neutrini superluminari, filtra sui media generalisti si perde quasi del tutto il metodo corretto della discussione e prevalgono influenze di altro tipo (politico o ideologico). Ma anche chi è critico, alla fine, non può non ammettere che questo flusso di informazioni non è facilmente controllabile, né si può certamente imporre agli scienziati di mantenere
il segreto sul proprio lavoro (quando non vogliono); quindi l’unica conclusione pratica è che bisognerebbe trovare dei meccanismi che mettano in grado l’opinione pubblica di valutare la qualità della discussione.

 

Questo problema si aggiunge a quello pre-esistente: il fatto che l’uomo della strada ormai non è in grado di comprendere la scienza direttamente nel linguaggio in cui è scritta, perché richiede una notevole specializzazione. Per questo si deve avvalere di intermediari, che sono tipicamente giornalisti e divulgatori. Ma quanto sono affidabili? E come capirlo?

Su questi temi ho trovato particolarmente interessante questo scambio:

 

Sean Carroll: This brings up a concept I think is under-emphasized in these kinds of conversations: the Triangle of Responsibility in science communication, whose three vertices are scientists, journalists/writers/communicators, and readers. Each of these three groups have important responsibilities: Scientists need to be accurate, understandable, and fair. Communicators need to represent the science faithfully, as well as to put it into context and accessible language. And readers need to make the effort to read carefully and take what is said seriously.

There’s nothing wrong with discussing speculative science, since that’s what gets us scientists excited. But we must all share the burden of giving new ideas and results their proper weight.

Dave Goldberg: There’s a danger, however, when a single person represents two legs of that triangle: scientist and communicator — and there are an awful lot of scientist-communicators out there (including us).

There’s a struggle between the whiz-bang of the perhaps-only-barely-if-at-all possible and the scientific need to be as-honest-as-possible with our readers, above and beyond how we present our own ideas. I have tried, whenever possible, to err on the side of honesty, even if it means that I have to be a buzzkill.

[…]

Sean Carroll: Ciò ci porta ad un concetto che penso sia sottovalutato in questo tipo di conversazioni: il Triangolo della Responsabilità nella comunicazione scientifica, dove i tre vertici sono gli scienziati, i giornalisti/scrittori/divulgatori e i lettori. Ciascuno di questi tre gruppi ha responsabilità importanti: gli scienziati devono esprimersi in modo preciso, comprensibile e confacente agli standard della comunicazione (*). I comunicatori devono rappresentare fedelmente la scienza e mettere le cose nel contesto opportuno e con un linguaggio accessibile. E i lettori devono fare lo sforzo di leggere attentamente e prendere le cose seriamente.

Non c’è niente di sbagliato nel discutere di scienza speculativa, dal momento che è proprio quella che appassiona di più gli scienziati. Ma dobbiamo tutti condividere il fardello di responsabilità di attribuire
alle idee e ai risultati il giusto peso.

Dave Goldberg: C’è un pericolo, comunque, quando una singola persona rappresenta due aspetti del triangolo: scienziati e comunicatori allo stesso tempo – e ce ne sono dannatamente tanti in giro (incluso noi).

C’è un conflitto tra il sensazionalismo del forse-solo-marginalmente-se-mai-possibile e la necessità di essere il più possibile onesti con i lettori, soprattutto su come presentiamo le idee che ci appartengono direttamente. Io ho tentanto, dove possibile, di eccedere dalla parte dell’onestà, anche se significa che devo raffreddare gli entusiasmi.

In una frase che non ho riportato per brevità, Goldberg parla della responsabilità della divulgazione e, per esempio, accenna alla differenza tra riproducibilità e precisione – due termini che nella lingua inglese naturale sono ambigui. Questo fa intuire la difficoltà di comunicazione che si ha quando si esce dal gergo tecnico per ampliare la platea degli ascoltatori. Per questo, dice Goldberg, in ambito divulgativo la ragionevolezza è più importante della precisione; ma ciò implica che il divulgatore deve mettere molto “valore aggiunto” nella sua comunicazione e questo può influire non poco
nella percezione finale. In altre parole, la platea potrebbe prestare più attenzione non tanto alle teorie che sono più scientificamente valide, ma a quelle che sono presentate nel modo più intrigante. A questo punto subentra il “pericolo” a cui fa riferimento Goldberg nel brano citato, che non è altro se non un conflitto di interessi che sorge quando chi divulga una teoria è la stessa persona che l’ha formulata, o che comunque lavora entusiasticamente in quel campo.

 

Goldberg conclude che per lui l’antidoto è peccare in un eccesso di onestà: se devo divulgare una teoria su cui ho un conflitto di interesse, è meglio abbassare i toni.

Insomma, il divulgatore più affidabile dovrebbe essere caratterizzato da una certa moderazione, tanto più se è coinvolto in qualche modo sull’argomento che sta divulgando.

 

PS: Il Triangolo della Responsabilità a cui fa riferimento Carroll è descritto da un articolo di più di dieci anni fa: sembra quindi qualcosa di più sofisticato che non una semplice tripartizione di responsabilità. Avrei voluto approfondire il concetto per questo mio post, ma devo ancora cimentarmi nella lettura dell’articolo originale (e non so
ancora se sono in grado di capirlo). Se qualcuno lo conosce, sarebbe interessante discuterne.

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Published inAttualità

8 Comments

  1. luigi mariani

    Caro Guido,
    il “triangle model of responsibility”, schema proposto da Schlenker e colleghi, è descritto in modo molto divulgativo in: http://www.selfdeterminationtheory.org/SDT/documents/2007_SheldonSchachtman_JP.pdf
    Circa poi l’idea secondo cui “’è un pericolo, comunque, quando una singola persona rappresenta due aspetti del triangolo: scienziati e comunicatori allo stesso tempo – e ce ne sono dannatamente tanti in giro (incluso noi)” faccio osservare che in Italia la figura del “giornalista divulgatore scientifico” è merce rara, in quanto di solito c’è il giornalista generico che si lancia nella divulgazione scientifica. Peraltro credo che questo fatto tragga origine dall’atavico disprezzo per le scienze tipico dei cultori di discipline umanistiche, disprezzo cui si connette il fatto che fino a qualche anno orsono la laurea in giornalismo non prevedesse una preparazione in merito a materie scientifiche, che all’estero è invece prevista da tempo (oggi non so se le cose siano cambiate -> se qualcuno ha notizie recenti me le comunichi in modo che possa prenderne atto).
    Pertanto i nostri giornalisti sono per lo più degli “umanisti”, il che pare non li esime dal tragicomico difetto del non saper usare i congiuntivi… e su questo riporto qui di seguito un esempio eloquente che mi sono appuntato: GR2 RAI – 20 agosto ore 12.40 (Servizio in merito alla visita a Dachau della cancelliera Merkel) – “i verdi trovano inopportuno che la cancelliera parteciperà ad un comizio dopo la visita”.
    Luigi

    • luigi mariani

      Accidenti al congiuntivo: mi è scappato un “esime” in luogo di “esima”…. e chissà che questo errore non sia in realtà l’inizio di una brillante carriera….

    • Luigi,
      avendo sempre fatto solo meteorologia operativa e dal momento che gioco con CM a fare il divulgatore, sarà bene che ‘inizio’ a usare i congiuntivi secondo la moda anch’io. (Come sono andato?)
      gg

    • luigi Mariani

      Non è per mancanza di rispetto per l’autore del post (Fabrizio Giudici), con cui mi scuso, che l’incipit della mia mail è stato un “Caro Guido” ma confesso di essere in sempre più seria difficoltà nel cogliere l’autore, in quanto lo stesso compare in grigino chiaro con un carattere di dimensione microscopica.
      Luigi

    • A proposito, grazie per il link, non ero riuscito a trovare niente di divulgativo sul triangolo, me lo leggerò con interesse.

  2. Donato, ovviamente il punto è: non ci sono automatismi; non ci si può illudere di trovare la soluzione definitiva e, quando pure se ne trovi una buona, come tu scrivi, le cose cambiano con il passare del tempo. E’ un po’ come la competizione tra sistemi d’arma offensivi e difensivi. Detto questo, tu citi il caso di distacco fittizio tra scienziato e divulgatore e, certo, ci possono sempre fregare. Basta pensare a Al Gore. Ma fammi fare un passo indietro: abbiamo personaggi come Hansen e Mann dove le due figure coincidono e non si sono fatti pudore di evitarlo… be’, almeno, evitiamo questi casi macroscopici.

    L’idea degli statistici eccetera… è giustissima. Ma invece di pensare a una “revisione allargata”, non è più semplice mettere uno statistico in ogni collegio dei revisori? Senza esprimermi sulla validità dell’allargamento, mi pare che dalla premessa dell’esistenza di tecnicismi da verificare discenda più direttamente la necessità di avere tecnici che li sappiano valutare.

  3. donato

    Su questo argomento io e Fabrizio abbiamo idee un po’ diverse e, in diverse occasioni, abbiamo avuto modo di chiarire le nostre rispettive posizioni. Ad onor del vero devo riconoscere che dopo lo scambio di opinioni con Fabrizio le mie idee, inizialmente piuttosto intransigenti, si sono notevolmente ammorbidite in quanto ho dovuto riconoscere che su diversi punti le sue posizioni erano condivisibili: il confronto, quando non è pregiudicato da posizioni ideologiche preconcette, è sempre costruttivo ed arricchisce, in genere, tutti i partecipanti.
    .
    Il post di F. Giudici, secondo me, solleva un problema molto importante: il corto circuito che, a volte, si verifica tra ricerca scientifica e divulgazione dei risultati. Ogni istituzione che fa ricerca scientifica, ha un suo ufficio stampa che, puntualmente, anticipa i risultati di uno studio condotto da ricercatori affiliati a quella istituzione. Queste funzioni, in genere, sono svolte da un giornalista divulgatore. I lanci dei vari uffici stampa vengono raccolti dalle agenzie di stampa e dai media generalisti che le strillano ai quattro venti deformandole e/o travisandole. Molte volte noi commentiamo questi fatti. Il problema della divulgazione scientifica che impazzisce, però, non si verifica solo nel caso in cui divulgatore e ricercatore coincidono. Mi risulta che molti divulgatori sono legati in modo preferenziale con alcuni scienziati e in questo caso l’entusiasmo del divulgatore è ancora più subdolo in quanto il lettore presume un distacco tra il divulgatore e lo scienziato che, in molti casi non c’è. Mi rendo conto che in questo caso entriamo nel campo dell’etica professionale, però, a pensar male si fa peccato, ma a volte ci si azzecca (come diceva un noto uomo politico da poco scomparso). 🙂
    .
    Questo canale è diverso dalla comunicazione scientifica tradizionale che avviene attraverso riviste specializzate previa revisione tra pari. In questo caso la discussione rimane chiusa nella stretta cerchia degli addetti ai lavori che parlano la lingua degli autori della ricerca e ne criticano o accettano i risultati. I revisori e l’editor sono coloro che decidono le sorti dell’articolo con cui viene comunicato il risultato della ricerca e costituiscono il collo di bottiglia che stabilisce se esso è meritevole o meno di pubblicazione. Io non voglio mettere in discussione la buona fede di nessuno, ma se l’articolo avalla tesi che fuoriescono dall’ambito del paradigma (nel senso di Kuhn) scientifico di revisori ed editor, credo che sia difficile che venga pubblicato su riviste ad alto IF (qui su CM ne abbiamo visto esempi a iosa).
    .
    Alcuni ricercatori (il gruppo BEST, per esempio) reputano opportuno sottoporre a dibattito pubblico il loro lavoro prima ancora che sia sottoposto a revisione paritaria. Questa procedura potrebbe consentire di rendere più cogente il processo di revisione. Mi spiego meglio con un esempio. Oggi quasi tutte le ricerche si basano su procedure statistiche per il trattamento dei dati. A volte però nessuno degli autori della ricerca è uno statistico per cui le conclusioni spesso sono caratterizzate da errori di analisi che sfuggono anche ai revisori (neanche loro esperti in statistica). Con la revisione allargata questi errori possono essere individuati da statistici professionisti e corretti prima ancora che il lavoro venga pubblicato (S. McIntyre ed il suo blog ne costituiscono un fulgido esempio) . La ricerca, in questo caso, ne ha un grande giovamento.
    .
    Inizialmente sono stato un convinto fautore della revisione allargata, ma alcune argomentazioni dei detrattori del metodo mi hanno fatto riflettere su alcune problematiche tipiche di questo sistema. Oggi la mia posizione è più sfumata e preferisco un mix delle due metodologie (revisione tra pari e revisione allargata). Quanta di una e quanta dell’altra? Onestamente non lo so. L’unica cosa che mi sento di dire è che entrambe le metodologie di revisione hanno pregi e difetti: una mi sembra troppo elitaria, quasi settaria, l’altra presta il fianco a “derive plebiscitarie” che in campo scientifico hanno poco o nulla significato.
    Sicuramente la comunicazione scientifica del futuro sarà diversa da quella che conosciamo oggi e certamente le riviste scientifiche perderanno la posizione dominante che oggi detengono. Tutto dipende, però, anche dagli scienziati e dal modo in cui riusciranno a tornare sulla terra, cioè a comunicare con i comuni mortali o almeno con chi ha un minimo bagaglio scientifico per poter comprendere, se non completamente, almeno in parte le finalità di una ricerca scientifica. E dipenderà anche dal modo in cui la scuola riuscirà a consentire alle nuove generazioni di dotarsi di un bagaglio scientifico idoneo a comprendere il messaggio della scienza. In mancanza dovremo rassegnarci ad essere ignari spettatori di quanto accade nel mondo scientifico ed a subire le idee di questo o quel divulgatore (che, tra parentesi, non sono neanche specialisti nelle discipline di cui illustrano gli sviluppi).
    Ciao, Donato.

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