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Mezzo global warming grazie… anzi no, un quartino!

Un nuovo paper, tanto per cambiare:

 

Recent global-warming hiatus tied to equatorial Pacific surface cooling

 

C’è chi ha reagito riportando di aver sentito volar via la testa, chi, invece, ha voluto approfondire ulteriormente. Questa qui sotto è la figura chiave del lavoro:

 

 

poga-plot

 

 

La semplice consultazione non rende senza una adeguata spiegazione. Il core di questo studio è l’aver individuato un meccanismo di tuning di un modello di simulazione climatica che sembra consenta di ricostruire molto bene l’andamento delle temperature medie superficiali globali, compresa la “pausa” (che tale sarà fino a che non dovesse riprendere il riscaldamento) degli ultimi 15 anni. Non solo, sembra anche che possano essere efficacemente ricostruiti alcuni aspetti delle dinamiche recenti del clima a scala regionale come il raffreddamento delle coste occidentali del Nord America, la prolungata siccità negli USA e l’intensificazione della Walker Circulation.

 

Ora la spiegazione dell’immagine. La curva particolarmente interessante è quella denominata POGA-H, in cui il modello è stato forzato con le temperature osservate in un’area dell’Oceano Pacifico. Una zona piuttosto ristretta ma molto importante, perché consente di seguire – e quindi inserire nel computo – l’andamento della Pacific Decadal Oscillation (PDO). L’elevato livello di correlazione che risulta tra l’hindcast e le osservazioni, autorizza ad attribuire al cambiamento di segno della PDO occorso a cavallo del cambiamento di secolo o giù di lì, la fase di arresto del riscaldamento globale.

 

Una bomba. E ci sono da notare un certo numero di cose.

 

Innanzi tutto questo significa che la pausa è frutto della variabilità naturale, che quindi sembra avere un’ampiezza o potenziale simile ove non superiore a quello del forcing antropico nel condizionare l’evoluzione del clima. Secondariamente, direi che questo autorizza anche ad immaginare che una parte consistente del riscaldamento occorso nelle ultime decadi del secolo scorso possa essere attribuita alla fase positiva della PDO. Con quella negativa appena iniziata, non è affatto detto che l’eventuale ripresa del riscaldamento sia imminente. Non solo, di driver importanti ce ne sono anche altri, l’AMO e il ciclo solare, per esempio. Quando anche l’AMO entrerà in fase negativa  e se dovesse confermarsi la quiescenza del Sole, la ripresa di cui sopra sarebbe ancora più lontana.

 

Quindi una buona metà del problema AGW non sarebbe un problema, nel senso che non sarebbe attribuibile alle attività umane. Nella metà che resta non c’è solo la CO2, naturalmente, ma ci sono anche gli altri gas serra, i CFC, la destinazione d’uso del suolo, insomma, tutte le altre nostre nefandezze. Va a finire che la CO2 è davvero solo cibo per le piante!

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Published inAttualità

9 Comments

  1. alessandro barbolini

    mezzo pollaio si è svuotato
    qualche pollo continua a rimanere dentro al recinto,rinforzato dalla stampa ,tv radio di genere tutti serristi e dallente doc per eccellenza ,quello che si fa portavoce e spara questa bufala costruita ad arte come sostiene da sempre il grande antonino zichichi…..zittito ..chissa perche da parte della comunita scientifica…lo sapevamo che era una trovata lobbystica…ma ce voluto qualche invernetto decente per farli tremare…dal freddo….e dai loro scenari scazzati

  2. donato

    Dando una scorsa a RealClimate mi sono imbattuto in un link che rimandava al blog del dr. John Nielsen-Gammon.
    Il dr. J. Nielsen-Gammon ha scritto un paio di interessantissimi post a commento del lavoro di Kosaka e Xie, 2013, (KX13) che vi invito a leggere:
    http://blog.chron.com/climateabyss/2013/08/learning-from-the-hiatus/
    http://blog.chron.com/climateabyss/2013/09/learning-more-from-the-hiatus/
    Egli valuta in maniera critica il paper di KX13, ma, alla fine, riesce a replicarne i risultati. Due sono le considerazioni che mi hanno impressionato maggiormente.
    La variabilità naturale responsabile dello iato nelle temperature globali non può essere considerata esclusiva responsabile del rapido riscaldamento 1970/1990: secondo Nielsen-Gammon ad essa può attribuirsi solo un 20% di tale riscaldamento. Non è molto, ma neanche poco e si avvicina molto al “quartino” di cui parla G. Guidi. 🙂
    L’altra importante considerazione ho cercato di tradurla dal post (spero di non averne travisato il significato):
    .
    “Eppure, il Pacifico tropicale e subtropicale costituisce nell’insieme una frazione del globo abbastanza piccola . Per il resto della storia, si prega di [leggere] uno dei miei lavori preferiti [anche se] sottovalutato sul clima: Compo e Sardeshmukh (2009) . Essi hanno dimostrato che le temperature globali della superficie dei terreni non sono aumentate come risposta diretta ad un aumento dei gas Tyndall e di altri agenti forzanti radiativi locali, ma in risposta a cambiamenti di temperatura della superficie del mare. Il mare caldo riscalda l’aria sopra di esso, che alla fine si posiziona sopra la terra, ma [attraverso] la pompa [costituita] dal vapore acqueo anche nell’atmosfera, e il vapore acqueo è l’agente primario che altera l’equilibrio radiativo sopra la terra. Così la catena di eventi è forcing radiativo -> temperature oceaniche -> vapore acqueo -> temperature terrestri.”
    In questo momento sono alle prese con impegni di lavoro e con un altro post per cui non ho il tempo di approfondire l’argomento, ma mi sembra che il dr. Nielsen-Gammon abbia detto delle cose che anche qui su CM sono di casa.
    Mi riservo di tornarci su con più tempo a meno che qualcun altro non voglia sobbarcarsi l’onere (e alleviarmi il lavoro). 🙂
    Ciao, Donato.

    • donato

      errata corrige: uno degli autori, per mero errore materiale, è stato indicato come Kosaka. Il nome corretto è Kosalka.

  3. Domanda: gli autori hanno pubblicato le previsioni per i prossimi anni?

    • Non che io sappia Fabrizio. Mi sono fatto la stessa domanda.
      gg

    • Certo che è un po’ seccante, no? Scafetta, per esempio, l’ha fatto, quindi tra cinque anni, per esempio, sarà possibile verificare il suo modello non solo sul passato, ma sulla bontà della previsione, che poi è la questione più importante.

    • donato

      Fabrizio, è normale. Noi criticavamo il fatto che la teoria AGW e gli scenari su cui essa si basa non riescono a prevedere lo iato dell’ultima decade e mezzo, ora lo studio ha colmato la lacuna. Per il futuro? Eh, vuoi troppo: se lo iato continuerà, lo stesso studio potrebbe costituire una buona base di partenza per una ritirata strategica o una nuova teoria; se si interromperà sarà facile dire “ve lo avevamo detto!”. 🙂 🙂
      Ciao, Donato.

    • E’ proprio quello che non mi piace! 🙂 Lasciando le cose a metà, proprio come te sono pronto a scommettere che sentiremo dire che uno studio ha confermato quello che prima veniva accampato come scusa, cioè che c’è un effetto naturale sovrapposto; prima era imprevisto, ora è modellato, quindi tutto bene madama la marchesa. Ma vorrei proprio sapere se il nuovo modello prevede lo stesso +2 gradi a fine secolo, +4, +0.5 o magari -3. Mi rende sospettoso che non venga detto.

      Devo purtroppo anche dedurre che non sono stati messi a disposizione tutti i dati e/o l’algoritmo, sennò qualcuno si sarebbe messo a fare i conti. O magari qualcuno li sta facendo?…

  4. donato

    Dall’abstract:
    “I nostri risultati mostrano che lo iato corrente fa parte della variabilità naturale del clima, legato specificamente ad un episodio di raffreddamento decennale simil-La Nina. Anche se simili eventi di iato decennale potrebbero verificarsi in futuro, la tendenza al riscaldamento multi-decennale è molto probabile che continui con l’aumento di gas serra.”
    .
    Non so se la frase conclusiva è una clausola di stile per rientrare nel paradigma AGW o è una convinzione degli autori. Io opto per la seconda ipotesi anche alla luce di alcuni commenti degli autori al post di J. Curry.
    In tale ipotesi, tendenza al riscaldamento che continuerà, il lavoro non cambierebbe più di tanto le carte in tavola in quanto tutta l’impalcatura teorica dell’AGW resterebbe intatta: sensibilità climatica, forcing radiativo CO2 dipendente, calore in eccesso scomparso nelle profondità degli oceani e via cantando. La CO2 continuerebbe a guidare il riscaldamento globale. Lo iato? Un accidente naturale che si correla alla temperatura superficiale di una piccola area del Pacifico e che non altera il quadro complessivo del cambiamento climatico. Se ciò fosse vero ci troveremmo di fronte ad una teoria, l’AGW, che salva i fenomeni e, quindi, riconcilierebbe le osservazioni con gli scenari previsti. Lo studio, pertanto, non rappresenterebbe una novità rivoluzionaria.
    L’impressione è ulteriormente rafforzata da un’altra considerazione di uno dei co-autori: la variabilità naturale influisce per 0,1-0,2 °C su un riscaldamento complessivo di 0,8°C misurato a partire dal 1880.
    Ecco, credo che questa sarà la nuova frontiera dell’AGW: fino ad oggi il contributo antropico al riscaldamento globale riguardava solo l’ultimo quarto del 20° secolo, da oggi sentiremo parlare sempre più spesso di tutto il 20° secolo e parte del 19° secolo.
    Lo troveremo scritto nero su bianco nel prossimo AR5: vedere per credere. Probabilmente questa è la cosa spaventosa cui si riferiva uno dei massimi responsabili IPCC qualche mese fa.
    ,
    A me, però, resta un dubbio che frulla per la testa. Premesso che correlazione non è causalità, l’idea che la temperatura della superficie dei mari possa determinare quella atmosferica non mi sembra affatto peregrina, anzi mi sembra del tutto sensata, anzi la condivido in pieno. E allora perché non chiamare le cose con il loro nome? Perché non si vuole accettare l’idea che siano le SST a causare (in senso fisico) le temperature atmosferiche e, quindi, che il clima terrestre, nel lungo periodo, è guidato dal contenuto di calore degli oceani che è enormemente più grande di quello dell’atmosfera?
    In questa ipotesi PDO ed AMO sarebbero effettivamente i motori del clima e, quindi, il lavoro di Kosaka e Xie sarebbe una conferma quantitativa dell’ipotesi.
    Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una ricerca “bifronte”: le sue conclusioni possono essere lette in un senso e nell’altro.
    Ne vedremo ancora delle belle! 🙂
    Ciao, Donato.

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