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Evidenze empiriche della capacità dei cicli planetari di modulare l’Irradianza Solare Totale (TSI)

Su queste pagine abbiamo avuto modo di commentare diverse volte i lavori del prof. N. Scafetta per cui tutti noi, ormai, conosciamo i suoi modelli e la capacità di tali modelli di replicare il comportamento del sistema climatico. L’attuale iato nell’aumento delle temperature superficiali, per esempio, è stato modellato dal prof. Scafetta già da qualche anno e in questo ha avuto più successo dei modelli accoppiati oceano-atmosfera i cui risultati sono alla base dell’AR5 dell’IPCC.
Limitarsi, però, alla sola temperatura superficiale significa sminuire i meriti del prof. Scafetta in quanto le sue metodiche di analisi non lineari riescono ad aver ragione anche di altre bizzarrie legate al clima e, più in generale, al sistema fisico terrestre: livello dei mari, AMO, PDO e non ultimi, i modelli climatici stessi.
In uno dei suoi ultimi lavori, pubblicato sulla rivista Astrophysic Space Science lo scorso mese di luglio, il prof. N. Scafetta ha cercato di modellare i cicli ad alta frequenza che caratterizzano l’irradianza solare (TSI):

 

 

Empirical evidences for a planetary modulation of total solar irradiance and the TSI signature of the 1.09-year Earth-Jupiter conjunction cycle
di Nicola Scafetta • Richard C. Willson (qui il pdf).

 

Scafetta e Willson, 2013 (da ora SW13) è una rianalisi degli archivi dei dati della TSI ottenuti da varie missioni spaziali a partire dal 1978 e, in particolare, dei compositi ACRIM e PMOD. Questi due compositi raccolgono ed omogeneizzano i dati satellitari raccolti da vari gruppi di ricercatori durante le missioni dei satelliti delle serie ERB, ERBS ed ACRIM che riescono a fornire una restituzione continua di dati che copre l’intero intervallo temporale compreso tra il 1978 ed i nostri giorni e, quindi, caratterizzati da discontinuità e diverso grado di precisione in quanto provenienti da strumenti diversi. SW13, in particolare, esamina il periodo 1992/2012 in quanto per il periodo precedente (1978/1992) non vi è accordo circa i valori della TSI dell’archivio ACRIM (di cui i due autori sono curatori) e quello PMOD curato da altri ricercatori.

 

SW13 ha applicato il metodo della massima entropia (MEM) ed il metodo di Lomb (idoneo all’analisi spettrale di dataset discontinui) ai dataset PMOD ed ACRIM, rispettivamente, ricostruendo gli spettri della TSI ed individuando diversi periodi sia ad alta che a bassa frequenza. Nell’immagine che segue, tratta dalla fig. 2 di SW13, possiamo vedere, nella colonna di destra, i periodogrammi relativi alle grandezze riportate nei diagrammi orari della colonna di sinistra. La prima riga della colonna riguarda la TSI, mentre, nelle righe seguenti sono rappresentati gli andamenti degli effetti mareali indotti dai moti planetari sul Sole. La prima riga evidenzia come la TSI sia caratterizzata da diversi periodi di notevole potenza: alcuni ad altissima frequenza, altri caratterizzati da frequenze più basse. Nella seconda e terza riga della tabella si notano gli effetti mareali planetari sul Sole (calcolati mediante complesse equazioni matematiche che tengono conto, principalmente, delle masse, delle posizioni e delle distanze reciproche dei pianeti e del Sole e delle perturbazioni nella magnetosfera indotte dai moti planetari) e, in corrispondenza, i periodogrammi relativi.

 

SW13

 

Si noti, nella colonna di destra, la presenza di alcuni periodi comuni alla TSI ed agli effetti mareali dei pianeti sul Sole che dimostra la correlazione tra i periodi planetari e quelli della TSI. Allo scopo di escludere semplici coincidenze, oltre alla coerenza spettrale tra i periodi delle armoniche planetarie teoriche ed i periodi della TSI, SW13 ha testato la coerenza statistica tra i dati astronomici e quelli della TSI anche mediante un test Montecarlo. In questa seconda verifica si sono generati 15000 profili di dati casuali per generare un rumore rosso e testare, quindi, l’ipotesi fisica (correlazione tra le armoniche planetarie e quelle della TSI): dei 15000 profili calcolati solo 8 hanno dato coefficienti di correlazione confrontabili con quelli dell’ipotesi fisica per cui si può affermare che la probabilità che la correlazione tra le armoniche planetarie e quelle della TSI sia un fatto casuale, è inferiore al 5%.

 

SW13, sulla scorta di questi e di altri periodogrammi che non riporto in questo post, ma sono liberamente consultabili nell’articolo originale citato in apertura, ha individuato che alcuni periodi (in giallo, ciano e verde nei grafici) corrispondono a particolari configurazioni astronomiche del Sole, della Terra e degli altri pianeti che vengono citate anche nella nota originale della fig. 2. A questo punto, però, vorrei concentrarmi sul periodo molto potente che può essere individuato intorno ad 1,1 anni e che è chiaramente visibile sulla destra del periodogramma della TSI (fig.2 A2). Questo periodo è estremamente importante in quanto coincide quasi perfettamente con il periodo sinodico della congiunzione Terra-Giove-Sole: 1,092 anni.

 

SW13_1

 

In questa figura, tratta da SW213, sono chiaramente riportati i periodi di congiunzione durante il massimo del ciclo solare 23.

SW13 dimostra che la TSI è fortemente modulata dall’armonica planetaria di periodo 1,092 in quanto presenta dei massimi caratterizzati proprio dalla frequenza collegata a questo periodo. La spiegazione, secondo SW13, dovrebbe essere ricercata nel fatto che la TSI aumenta di intensità in corrispondenza della congiunzione Terra-Giove-Sole: è come se la luminosità del Sole aumentasse in corrispondenza degli allineamenti planetari. In realtà Giove eserciterebbe effetti mareali sul Sole in maniera costante, ma essi sarebbero percepiti dai satelliti in coincidenza con i periodi in cui la Terra si va ad inserire tra il Sole ed il suo pianeta più massiccio. Questo, secondo SW13, dovrebbe rappresentare la prova definitiva della capacità dei pianeti di modulare la TSI e troverebbe conferma anche nei risultati di osservazioni astronomiche di stelle intorno alle quali orbitano dei pianeti paragonabili a Giove: sulla loro superficie tendono a formarsi dei “punti caldi” dovuti agli effetti mareali del pianeta che orbita intorno alla stella.

 

In SW13, infine, è contenuta anche una spiegazione fisica del fenomeno che ho appena descritto. Una delle accuse che vengono frequentemente rivolte alle ipotesi di N. Scafetta circa l’influenza planetaria sui meccanismi solari è che egli non ha mai spiegato fisicamente come le deboli interazioni gravitazionali dei pianeti con il Sole (maree planetarie) possano influenzare i meccanismi di convezione che convogliano le energie, generate dalle reazioni nucleari solari, alla superficie del Sole. Callebaut et al., 2012, per esempio, sostiene che la velocità della convezione interna al Sole e le sue accelerazioni sono molto più forti di quelle che potrebbero generare le maree planetarie.

 

Altri studi (Shravan et al., 2012) hanno dimostrato che le velocità di convezione solari sembrano essere 20-100 volte più deboli rispetto alle precedenti stime teoriche. Nonostante ciò, però, sembra che le maree planetarie non siano in grado, da sole, di modificare significativamente queste velocità senza l’esistenza di un meccanismo interno alla stella che ne amplifichi gli effetti.

SW13 parte dalla constatazione che il Sole rappresenta la gran parte della massa del sistema solare. Se avessimo la possibilità di aggiungere tutta la massa dei pianeti a quella del Sole, la TSI aumenterebbe di circa lo 0,5%. Questo dà un’idea della debolezza delle grandezze in campo quando ci si riferisce alle forze mareali planetarie. I processi di fusione nucleari interni al sole, però, sono fortemente sensibili alle variazioni gravitazionali per cui Scafetta, 2012D, ipotizza che le forze mareali planetarie, interagendo con il campo magnetico solare, siano in grado di generare nel plasma solare delle microcorrenti elettriche che coinvolgerebbero elettroni e protoni liberi. Tali correnti sarebbero in grado di alterare i delicatissimi equilibri elettromagnetici interni al Sole ed influenzare la velocità delle reazioni nucleari. Altro meccanismo in grado di spiegare le variazioni di TSI potrebbe essere individuato in deformazioni gravitazionali del nucleo solare indotte dalle forze mareali planetarie che, rimescolando il plasma solare, fornirebbe combustibile nucleare fresco alterando la velocità delle reazioni nucleari.

 

Altra critica che viene mossa a N. Scafetta è che i fotoni in eccesso che verrebbero a crearsi a seguito dell’azione dei meccanismi di accelerazione della velocità delle reazioni termonucleari, impiegherebbero oltre un secolo a trasferirsi dal nucleo al tachocline. Secondo SW13 ed altri ricercatori, però, potrebbero esistere nel Sole dei meccanismi ondulatori in grado di trasferire i fotoni prodotti nel nucleo solare dal centro del Sole al tachocline in poche settimane. Qui i deboli segnali provenienti dal nucleo verrebbero amplificati e si trasformerebbero nell’incremento di luminosità che è stato misurato dagli esperimenti ACRIM, ERB, ecc., attraverso meccanismi simili a quelli che amplificano i debolissimi campi magnetici poloidali danno luogo agli intensi campi toroidali che si misurano sulla superficie solare e danno vita a quella che si definisce dinamo solare.

 

SW13, in buona sostanza, ammette che i meccanismi in grado di spiegare fisicamente il fenomeno della modulazione della TSI da parte delle maree planetarie non sono ancora del tutto chiari, però, sottolinea che gli effetti misurati sono reali e non casuali (come dimostrano i risultati del paper). Questo potrebbe significare che per le maree planetarie che interessano il Sole, possa valere lo stesso discorso che viene fatto per le maree terrestri. Anche in questo caso, infatti, i meccanismi fisici che le regolano sono estremamente complessi e non del tutto compresi, però, le frequenze teoriche delle maree possono essere calcolate in modo corretto mediante considerazioni astronomiche, mentre le ampiezze effettive e le fasi delle singole armoniche che le caratterizzano, possono essere misurate direttamente o dedotte dai dati storici. Anche nel caso del Sole, pertanto, l’azione modulante dei pianeti sull’attività solare può essere dimostrata studiando le armoniche spettrali dei record dell’attività solare e dimostrando che esistono dei legami tra le frequenze desunte dalle registrazioni dei parametri dell’attività solare (TSI, per esempio) e le frequenze planetarie teoriche.

 

A compendio di queste considerazioni su SW13, vorrei sottolineare che un numero sempre maggiore di studiosi si rivolge ai modelli non lineari per studiare i sistemi complessi come quello solare e quello climatico. Proprio pochi giorni fa è stato pubblicato un articolo a firma di M. Wyatt & J. Curry che individua un ciclo sessantennale modulato da PDO e NAO nelle oscillazioni del clima terrestre (almeno per le temperature superficiali) che, se non ho capito male, dovrebbe essere stato battezzato effetto “la ola” (o come lo definiscono nell’articolo “stadium wave”): esso è in grado di replicare anche lo iato delle temperature misurato a partire dal 1998. Da una fonte indipendente è arrivata una conferma agli studi di N. Scafetta che ho citato all’inizio di questo post e che già da tempo avevano individuato attraverso l’analisi armonica questo fondamentale periodo che caratterizza le oscillazioni del clima terrestre. Analogamente è stato da poco pubblicato un altro articolo in cui si riconosce l’influenza delle variazioni del campo magnetico solare nella modulazione delle onde di Rossby che caratterizzano le correnti a getto stratosferiche. Questo a riprova che oltre agli studi che vedono nella relazione lineare CO2/temperature il driver del clima futuro, esistono anche studi molto importanti che studiano la variabilità naturale schematizzandola con relazioni non lineari che si rivelano molto efficaci per riprodurre le dinamiche dei sistemi cui sono applicate.

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Published inAttualitàSole

5 Comments

  1. Luigi Mariani

    Caro Donato, grazie per l’analisi approfondita che hai condotto con riferimento all’ultimo lavoro di Scafetta.
    Ho visto che a fine articolo parli di onde di Rossby e di corenti a getto stratosferiche.
    A tale riguardo, anche se i principi fisici cui si richiamò Rossby per definire tali onde sono credo applicabili a tutti i fluidi (http://glossary.ametsoc.org/wiki/Rossby_wave), le onde di Rossby cui di solito ci si riferisce in meteorologia sono onde troposferiche e corrispondono alle grandi onde planetarie (http://glossary.ametsoc.org/wiki/Long_wave).
    Analogamente le correnti a getto cui si fa’ di norma riferimento si manifestano nell’alta troposfera, al confine con la stratosfera (http://glossary.ametsoc.org/wiki/Jet_stream) anche se poi a volte in bibliografia si trovano riferimenti a Jet di bassa quota o a jet di media troposfera o anche a jet stratosferici.
    A che tipo di onde di Rossby e di correnti a getto ci si riferisce la tua frase “Analogamente è stato da poco pubblicato un altro articolo in cui si riconosce l’influenza delle variazioni del campo magnetico solare nella modulazione delle onde di Rossby che caratterizzano le correnti a getto stratosferiche”?
    Grazie e ciao.
    Luigi

    • donato

      Caro Luigi,
      la citazione da me effettuata a fine articolo è, lo ammetto, piuttosto approssimativa in quanto, volendo essere più precisi, bisognava scrivere un altro post 🙂 e non era questa la mia intenzione. Ciò che mi premeva mettere in evidenza era l’influenza del campo magnetico solare sulle variazioni di pressione a livello polare e sui meccanismi di amplificazione che gli autori dell’articolo hanno chiamato in causa per giustificare alcune correlazioni tra queste variazioni di pressione polari e le condizioni meteorologiche a livello delle medie latitudini. Mi rendo conto, però, che l’eccessiva concisione è stata fonte di eccessiva imprecisione (fa anche rima 🙂 ).
      Ti ringrazio della precisazione.
      Ad ogni buon conto i riferimenti bibliografici all’articolo cui ho fatto riferimento sono i seguenti:
      .
      The interplanetary magnetic field influences mid-latitude surface atmospheric pressure di M M Lam, G Chisham e M P Freeman in Environmental Research Letters , reperibile in versione integrale al sito
      .
      http://iopscience.iop.org/1748-9326/8/4/045001/article#erl476500bib5
      .
      Nelle conclusioni dell’articolo, in particolare, si fa riferimento al getto polare nord-atlantico:
      “In particular, it affects the structure of the Rossby wavefield, which is key in determining the trajectory of storm tracks [24]. The configuration of the North Atlantic jet stream is particularly susceptible to changes in forcing [25]. In turn, so are the location and the timing of blocking events in this region, in which vortices are shed from the jet stream leading to prolonged periods of low or of high pressure [26]”
      .
      Nell’abstract, invece, gli autori fanno riferimento a dei campi d’onda (wawefield) “tipo Rossby”.
      Dal contesto (getto polare, NAO, venti zonali, ecc.) credo che gli autori si riferiscano alle correnti a getto dell’alta troposfera. Il mio riferimento alle correnti a getto stratosferiche, pertanto, deve esser considerato un errore e la dizione corretta dovrebbe essere “correnti a getto dell’alta troposfera”. Che poi in bibliografia queste correnti siano definite anche stratosferiche non giustifica l’errore (ma lo rende più sopportabile 🙂 ). Luigi, ancora grazie per l’attenzione.
      Ciao, Donato.

    • Ho scovato uno scritto interessante in materia di sole e distribuzione della massa atmosferica. Prima lo leggo e poi ne parliamo. Con calma però perché è un mattone.
      gg

    • Luigi Mariani

      Caro Donato,
      ringrazio te per la verifica effettuata e per la dettagliata risposta.
      Ciao.
      Luigi

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