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Il gioco delle parti

Quando è iniziato il nuovo corso politico d’oltreoceano, il dibattito sul riscaldamento globale ha cambiato marcia. Con gli Stati Uniti che finalmente abbracceranno l’ecofervore europeo tagliando le emissioni (ed anche qualcos’altro per la verità) non ci sono dubbi, avremo la meglio anche sul clima che cambia. Questo si sentiva dire la scorsa primavera. Poi è arrivato il Climate Bill, ovvero l’agognato pacchetto di norme salva-pianeta. Questa lodevole iniziativa, dopo un faticosissimo successo alla Camera dei Rappresentanti ora langue al Senato, dove molti dicono che finirà dimenticata in qualche cassetto avendo scarsissime probabilità di essere approvata.

Per il clima poco male, perchè in effetti si tratta di una legge sulle politiche energetiche e non sulla mitigazione dell’effetto antropico sui cambiamenti climatici. Qualcuno dirà che è normale, perchè produzione energetica ed emissioni di gas serra sono legate a doppio filo, se si cambia il primo fattore necessariamente deve cambiare anche il secondo. Invece le cose stanno diversamente, non solo il pacchetto di norme è pieno di scappatoie Kyoto-style per evitare di ridurre le emissioni (nella prima fase è addirittura previsto che crescano), ma anche raggiungendo gli obbiettivi prefissati, l’effetto mitigante sulle temperature sarebbe del tutto irrisorio: meno di un decimo di grado.

Qualche giorno fa abbiamo fatto due conti, scoprendo che senza la partecipazione delle economie emergenti, qualunque intervento di mitigazione sarebbe del tutto vano. E qui cominciano i dolori, perchè tali economie emergenti, che a tutti gli effetti sono già dei giganti, non hanno nessuna intenzione di fermare la loro corsa allo sviluppo, specie se il suggerimento arriva da chi è già al traguardo e non vorrebbe essere raggiunto. Direi che c’è da capirli.

Cosa ne pensano gli addetti ai lavori? Un pensiero per tutti, quello del presidente del panel intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici Rajendra Pachauri, il quale afferma che l’India non può essere soggetta ad alcuna pressione e continuerà ad impiegare i combustibili fossili per sopperire alle proprie necessità energetiche almeno nel breve periodo, ma naturalmente egli stesso si augura che il suo paese possa prima o poi cominciare a prendere in considerazione delle politiche di minore impatto ambientale. E’ una questione di democrazia, suggerisce saggiamente. Chissà se il concetto di democrazia che da cittadino indiano sembre avere così chiaro, è lo stesso che ha animato quest’altra sua recente affermazione che ho recuperato dal blog di Piero Vietti: Se non otterremo un accordo soddisfacente a Copenhagen, è chiaro che le implicazioni umanitarie ed i relativi costi umanitari saranno molto importanti, questo sfortunatamente sarà particolarmente grave per le comunità del mondo meno favorite. Dobbiamo realmente prendere sul serio questa preoccupazione. Un tale fallimento aprirebbe anche la possibilità di mettere in pericolo la pace e la sicurezza mondiale. Il riconoscimento del premio Nobel per la pace 2007 all’IPCC ed all’ex vice presidente americano Al Gore mostra chiaramente il legame che esiste tra il global warming da una parte e la pace e la sicurezza dall’altra. Tutto questo sarà certamente minacciato se non reagiamo. E’ inevitabile”.

Da presidente dell’IPCC un accordo, per essere soddisfacente, dovrebbe quantomeno produrre qualche risultato tangibile, mentre da uomo politico indiano forse sarebbero soddisfacenti anche i milirdi di dollari che le economie emergenti chiedono in cambio del loro impegno ambientale. La ragionevolezza impone di non aver fretta, altrimenti le economie più deboli ne soffrirebbero troppo, ma gli stessi argomenti sono buoni anche per minacciare sfracelli a breve termine, visto che la conferenza di Copenhagen è tra pochi mesi. Difficile capirci qualcosa in effetti.

E il nuovo corso nel frattempo comincia a vacillare e somiglia sempre più a quello vecchio. L’esclusione delle economie emergenti dal Protocollo di Kyoto è stata per anni la ragione per cui l’amministrazione USA ha rifiutato di ratificarlo a sua volta. Ora il Segretario di Stato americano dichiara che non ha senso negoziare accordi senza impatti significativi, e questi potranno arrivare solo con la collaborazione di tutti, nessuno escluso. Solo un anno fa queste dichiarazioni avrebbero significato che gli USA volevano boicottare gli accordi, oggi sono interpretate come solerte impegno alla causa del clima. Come cambia il mondo.

Il tutto per andar dietro a presagi sulle dinamiche del clima lontani anni luce dalla realtà. Qualcuno vorrebbe avere la bontà di spiegarmi cosa hanno a che fare clima e ambiente con questo gioco delle parti?

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Published inAmbienteAttualitàEnergia

24 Comments

  1. mario prezvalski

    Signor Guidi, sono d’accordo con lei. Con un paio di precisazioni:

    1) Dobbiamo ammettere che un’opinione pubblica ansiosa (AGW, crisi economica eccetera), genera culture che gravitano in uno stato di emergenza cronico, posponibile all’infinito.

    2) Strategie politiche evidentemente stabilite in conformità con le relative enunciazioni ideologiche, sono semplicemente determinate sostituendo il giudizio nel merito, con il mero calcolo lobbistico. Oggi occorre sostituire il termine ideologia con lobby, e le palline entrano magicamente tutte nello stesso sacco.

    • Sottoscrivo, specialmente la seconda. Spoglierei però il termine lobby della sua accezione più negativa, evitando di idealizzare un orco che si mangia tutto ciò che trova. E’ il sistema che ci siamo dati e che ci ha permesso di arrivare dove siamo. Giusto? Difficilmente. Perfettibile? Probabilmente sì.
      gg

  2. Achab

    @Guido Guidi

    Il far rientrare l’AGW nello schema dell’ambientalismo a me sembra una forzatura. E’ vero semmai il contrario, l’ambientalismo è saltato sul carro dell’AGW. Provi ad andare un pò indietro a cercare le posizioni di molte organizzazioni ambientaliste solo un paio di decenni fa.

    • Ad oggi lo schema è questo, piaccia o no. Mi dirai che saltare sul carro ne ha caratterizzato gli atteggiamenti più estremi, appunto, quelli che ci piacciono meno.
      gg

  3. Achab

    @Claudio Gravina

    Potrei scrivere esattamente ciò che hai scritto tu (esclusa la parte sulle guerre mondiali) ma al contrario. Questo modo di raginar non porta da nessuna parte e non spiega il perchè della polarizzazione politica in Italia e negli USA su questo tema.

  4. Cari amici,
    avete tutti volato alto nei vostri commenti, e voglio provare a salire ancora più in quota. La radice di questa distinzione è nella nobile differenza ideologica tra le radici del pensare a destra o pensare a sinistra. La definisco nobile perchè le ideologie pure lo sono, pur se le degenerazioni che ne hanno provocato il decadimento prima e la fine poi sono tutt’altro che tali. La stessa ideologia ambientalista ha fini ed origini nobili, ma portata all’estremo com’è stata ha decretato il proprio fallimento. Scrivo così perchè non credo ci sia nessuno veramente convinto che un successo delle teorie ambientaliste più fondamentaliste, specie con riferimento all’AGW, vedrebbe finalizzate le origini delle stesse.

    Ma torno alla distinzione. Il movimento ambientalista più estremo si è riconosciuto nel pensare a sinistra perchè individuando nell’uomo e nelle sue attività la causa di tutti i mali, arrivando a desiderarne addirittura la scomparsa in quanto ritenuto estraneo al sistema, ha sollecitato il senso di colpa e di possibilità di espiazione attraverso l’apparente comprensione o se si preferisce l’accoglienza tra gli eletti (tra quelli che hanno capito), che sono tipici del pensiero individualista, inteso come individuo al centro di tutto, nel bene e nel male.

    Questo per certi aspetti è un paradosso, perchè si vorrebbe eliminare l’effetto antropico attraverso il pensiero antropocentrico, cioè assegnandosi la capacità di aver fatto danni prima e di poterli riparare poi. Ma sin qui siamo ancora alti di quota.

    Dopodichè il nostro aereo si è abbassato parecchio, finendo per strisciare per terra, perchè ad oggi si tratta più che altro di una gara per salire sul carro dei giusti, senza curarsi se siano davvero tali, perchè in fondo non è così importante ciò che giusto, quanto è invece importante esserci. Questa è la leva che coinvolge così tanto la pubblica opinione, saggiamente usata da una propaganda più sciatta e superficiale che dissennata, insieme al timore dell’ignoto, debolezza del nostro essere cui difficilmente si riesce a sfuggire.

    E così inevitabilmente, spesso altrettanto superficialmente, a volte colpevolmente, negando anche ciò che negabile non è, tutti gli altri sono all’opposto perchè, ovviamente, l’importante è non esserci.

    Chi tira le fila di tutto ciò? Non saprei davvero, nè penso si possa pensare a nulla di identificabile, tanto perchè sia chiaro che il complottismo non c’entra nulla. E’ però chiaro che alcuni ci hanno guadagnato parecchio, in potere ed anche in solido, probabilmente da entrambe le parti, ma con un certo squilibrio a favore dei presunti salvatori, questo è innegabile.
    Chi ci rimette da questa sterile contrapposizione? Beh, c’è bisogno di dirlo?

  5. mario prezvalski

    Il maggiore ostacolo che ancora permane a imposizioni capziose su larga scala, è la sopravvivenza di criteri di giudizio varii e multiformi. Sempre più vulnerabili alla propaganda catastrofista, i temi sensibili sono il terreno di coltura ideale. La forza dell’apparato mediatico/coattivo, in tema di AGW, è soprattutto di facciata, ciò non di meno, impressiona il singolo e orienta sensibili mutamenti nell’opinione pubblica, che viene messa di fronte ad un processo presentato come inevitabile.

  6. Sono d’accordo con Mezzasalma. Il dibattito politico intorno all’ambiente è, nè più nè meno, un normale dibattito. O meglio, dovrebbe esserlo. Non si capisce perchè per il clima e l’ambiente debbano venire meno tutti i principi di democrazia. Si giustificano le bugie (per indottrinare meglio le masse), si giustifica il catastrofismo (per indottrinare meglio le masse), si giustificano le lobby verdi (queste sì, quelle del petrolio basta, non fanno più moda) per poter manipolare meglio i governi.

    Così, semplicemente, non si ragiona, si perde (e lo si è perso) il senno.

    Il genere umano è sopravvissuto a due guerre mondiali (e chissà a quante altre mancate guerre negli ultimi 50 anni), non si capisce davvero come mai, di colpo, non dovrebbe essere in grado di fronteggiare questo problema a livello politico ed economico.

    Questo è quanto succede in presenza di forzature (per altro palesi).

    CG

  7. Ovviamente, poi, non è vero che la divisione sulla realtà o meno del problema sia arrivata in un secondo momento.
    C’è stato qualcuno che l’ha tirato fuori e molti a seguire.
    Qualcun altro non ha seguito l’onda o perchè subito scettico o perchè ha voluto approfondire ed è arrivato sulla scena, gioco forza, in un secondo momento.
    Mi sembra così semplice, senza dover cercare nulla di strano, magari di oscuro, vero?

    • @ Paolo e Achab
      Calma. La discussione è interessante, non bruciamola pls.
      gg

  8. Achab,
    se lei ha la realtà, che cosa è venuto a fare tra noi?
    A portare la buona novella?
    A riportarci sulla retta via?
    A fare il buon pastore?

    Lei non accetta che ci sia qualcuno che vede la “realta” in maniera diversa.
    Torno a ripetere: è una scelta fondamentale di libertà e democrazia.

    • Achab

      Vedo che la sterile polemica personale è l’ambito su cui lei torna. Lei ha detto la sua e io la mia, non capisco perchè viene a lei così difficile accettare che la si possa pensare diversamente tanto da dover usare quella facile ironia.

  9. Achab

    La distinzione al momento delle soluzioni proposte fa parte del normale gioco politico ed è giusto e normale che ci sia.
    Quello che è strano è che la divisione appare a monte, sulla realtà o meno del problema. O meglio, come detto prima, è apparsa in un secondo momento, legata ad un periodo ben preciso.

    • giordano monti

      capisco cosa intendi.
      per una volta ho preferito fare un discorso più generale.
      il caso a cui ti riferisci lascia perplesso e sconcertato anche me. Fatico non poco anche io a capire perchè si sia lasciato che una tematica di natura esclusivamente tecnica e scientifica degenerasse in questione di bassa politica.

    • Gira e rigira, si arriva sempre lì.
      Ai fautori della tecnocrazia che, se non è stato ancora compreso, è anti-democratica.

    • Achab

      La tecnocrazia è lo spauracchio paventato di continuo, non di certo ciò propugnato nel mio discorso.
      Ma anche questo ha una sua chiara caratterizzazione politica negli USA e (di riflesso?) in Italia. Altrove non è così e rientra nella stessa riflessione cui accennavo prima.

  10. matteo baldinini

    speriamo che la polita non promuova solo se stessa…

  11. giordano monti

    probabilmente hanno ragione sia Achab-Ivan72, sia Mezzasalma.
    Per sua natura un problema ambientale non ha e non dovrebbe avere colore politico, (esempio: l’inquinamento dell’aria) e la sfida per risolvero dovrebbe vedere uno sforzo trasversale di tutte le parti. Poi, però, sulle soluzioni del problema la politica, piaccia o no, entra per forza. Chi paga? Chi rinuncia a qualcosa, chi si sobbarca i costi del risanamento? mettiamo una tassa? aspettiamo che il mercato operi e risolva con la sua mano invisibile? Quali categorie favoriamo e quali penalizziamo?
    In altre parole, politica.

  12. matteo baldinini

    Ma, povero Bush, questa mattina Republica lo occausa di aver nascosto, censurato, le prove del riscaldamento globale, facendo sparire le foto dei satelliti spia che riprendevano i ghiacci artici. Ma si puo essere piu meschini?..se lo chiedevano a me,gli davo qualche sito. Io, la situazione dei ghiacci la vedo ogni giorno quando ne ho voglia. Dicono: questa e’ la prova che ci mancava!.forse Obama aveva bisogno delle foto di George?..ma si sa, questa e’ politica..

  13. La politica, di fronte ai problemi, qualsiasi essi siano, deve cercare e proporre eventuali soluzioni. Perchè mai devono esserci dei casi in cui non ci deve essere colore politico? Ognuno di noi non vede le cose in maniera diversa?
    Le tematiche ambientali, per desiderio di Ivan e Achab, dovrebbero trovare uniformità di vedute.
    Non è che alla fine viene fuori che chi auspica tale uniformità appartiene, purtroppo, ad un solo colore politico (tra i tanti dell’arcobaleno)?
    In casi estremi, ad esempio di fronte ad un aggressore che ti minaccia, c’è chi ti dà una pistola e ti dice di sparare e chi propone di porgere l’altra guancia. Tale disparità di vedute, per eventi così fondamentali, dovrebbe annullarsi per i problemi ambientali. Che idea singolare!
    Per non dire che, oltretutto, le idee di ciascuno di noi possono essere così trasversali, che nessun colore politico riesce a rappresentare il proprio pensiero.
    In definitiva, è sempre una questione di democrazia e l’uniformità ne è agli antipodi.

  14. Achab

    Non potrei essere piu’ daccordo con Ivan72 quando afferma che “non devono esistere colori politici”. E così è stato, infatti, fino a relativamente poco tempo fa.

    Se prendiamo le due tappe fondamentali, fondazione dell’IPCC (1988) e Conferenza di Rio (1992) con la firma della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), avevamo Kohl (centro-destra) in Germania, Thatcher-Major (centro-destra) in Gran Bretagna, Regan-Bush Sr (centro-destra) negli USA e Mitterand (centro-sinistra) in Francia.

    La polarizzazione politica è nata nel corso degli anni ’90 negli USA. L’Europa (i quattro grandi Stati) non li hanno seguiti, a parte, più di recente, l’Italia. Cosa è successo? Dovrebbe essere un punto di attenta riflessione per tutti se si vuole comprendere come siamo caduti in questa trappola e come venirne fuori.

    • Ivan 72

      Giustissimo Achab, parole sante, sono pienamente d’accordo con te.

      Ciao.

  15. Ivan 72

    Ricordo come gli USA si opponevano al Protocollo di Kyoto, invece, da quando Obama è diventato il nuovo Presidente statunitense, la rotta si è invertita.

    Lo sbaglio, a mio modesto parere è il fatto che per occuparsi delle questioni climatiche ed ambientali, bisogna sempre aspettare il colore politico che traccia una via più maestra (più giusta)di un altro colore politico che invece traccia una via opposta e forse più sbagliata anteponendo i propri interessi personali a quelli del nostro pianeta.

    Con questo non voglio dire che la strada maestra sia quella di Obama, rispetto a chi lo ha preceduto, ma volevo fare solo un esempio per dire che davanti a problematiche che riguardano la vita di tutti gli esseri viventi in senso stretto, non devono esistere colori politici, ma solo l’intenzione all’unanimità di salvaguardare quello di cui tutti noi siamo ospiti.

    Ergo, affrontare la delicata questione dopo aver studiato e ristudiato fino allo stremo la climatologia del nostro pianeta, dalla sua formazione ad oggi, tutto basato su dati certi e precisi ai quali attenersi scrupolosamente, sgombrando la mente da singoli interessi economico-politici privati e personali, possibilmente studiando soluzioni innovative, energie pulite, ecc….., senza però far ricadere costi esorbitanti sulle spalle di chi è povero o comunque meno abbiente e mettendo da parte una volta per tutte le strumentalizzazioni.

    Solo dati e grafici reali, precisi, come se fossero l’unica legge.

  16. walter

    Gentile Dott.Guidi.
    Prendo spunto da questo topic,per farle i complimenti per l’intervista rilasciata al “Centro” qualche giorno fa:finalmente un documento libero dal catastrofismo e riflettente la realtà effettuale della situazione meteorologica (come ha detto lei calda,ma non mostruosa).
    Ho gradito anche il passaggio relativo al ripensamento dei centri urbani in ottica più “ecosostenibile.
    Saluti
    Walter (AQ)

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