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Chi siamo, cosa facciamo, ma soprattutto dove andiamo?

Di calcio ne so poco, di economia ne so ancora meno, di donne sì ma non è il caso, quindi non posso andare al bar dello sport. O forse sì, potrei parlare di previsioni del tempo, ma finirei per essere noioso e non potrei esimermi dal rispodere alla classica domanda: piove domenica? Allora resto qui, e vi invito a parlare di clima e ambiente, di sviluppo sostenibile, di accordi internazionali, insomma, dell’argomento che tiene banco ultimamente.

Lo faccio prendendo spunto da un editoriale di Joaquin Navarro Valls, ex portavoce del Vaticano, pubblicato su “la Repubblica” lo scorso 30 ottobre (lo trovate qui). Un articolo interessante, attuale ed anche controverso, come del resto è controverso l’argomento di cui tratta. Alcune riflessioni sono largamente condivisibili, altre un pò meno, naturalmente secondo me.

Trovo giusto affermare che lo scenario politico, economico ed industriale, in una parola geopolitico, sia cambiato radicalmente negli ultimi decenni e quindi per forza di cose le scelte fatte in passato debbano essere riviste. Scelte che inevitabilmente si sono concretizzate in accordi internazionali di alto profilo negli intendimenti e di bassissimo senso pratico nella realtà operativa. Tanto che oggi, con uno scenario completamente mutato e con una difficile congiuntura economica da fronteggiare, rischiano di essere accantonate completamente, piuttosto che migliorate e rese più attuali come dovrebbe essere. Tra tutte, la più importante è senz’altro il Protocollo di Kyoto, come sottolineato nell’editoriale.

La valenza scientifica degli obbiettivi dell’accordo si è rivelata risibile sin dal principio, ma diviene ancor meno importante di fronte agli sconquassi che i tentativi di applicazione delle norme imposte dal Protocollo rischiano di determinare. Delocalizzazione della produzione industriale in paesi a basso livello di sviluppo piuttosto che riduzione netta delle emissioni inquinanti e scambio di certificati di emissione accompagnato da bolla speculativa nel mercato del carbon trading. Tutto ciò non sembra proprio andare a beneficio del rapporto uomo-ambiente, sembra piuttosto l’ennesimo tentativo (in parte già riuscito) di trarre profitto da quella che, a tutti gli effetti, è una problematica mondiale.

A mio parere l’elemento fuorviante è paradossalmente quello su cui si è fatto leva per alzare il livello di attenzione al problema. La paventata catastrofe climatica avrebbe dovuto raccogliere tutti sotto le stesse buone intenzioni. Così è stato finchè non sono cambiate le carte in tavola e l’affare, forse ancora conveniente, è divenuto comunque troppo oneroso. Per cui ora, chi decide di prender tempo, sembra proprio voglia buttare via il bambino con l’acqua sporca. Ma è davvero così, o stiamo per perdere l’ennesimo treno? La letteratura sull’argomento è vastissima, nei prossimi giorni cercheremo di provare ad orientarci, nel frattempo attendo le vostre riflessioni sull’argomento.

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Published inAmbienteAttualità

5 Comments

  1. Grazie Max, appena possibile lo leggerò. Spero sinceramente che la parte riguardante le potenzialità del mercato sia più interessante, veritiera e solida della gran quantità di fumo clima-catastrofista con cui hanno riempito la sezione “Science of climate change”. L’ambiente è una cosa seria e la consapevolezza sulla necessità di preservarlo la si deve acquisire attraverso un’informazione altrettanto seria, non con la minaccia di catastrofi completamente inventate spacciate per evidenza scientifica. Il tutto per proporre una carbon tax che agita lo spettro di una global governance che non ci piace affatto. Mi ci vorrà un pò, ma cercherò, ove potrò, di fare un pò di chiarezza.
    gg

  2. max pagano

    intanto vi segnalo un breve articolo pubblicato su peacereporter:

    http://it.peacereporter.net/articolo/12651/Fare+business+con+il+clima

    e il link di un lungo ma interessante documento sulle considerazioni economico finanziarie del futuro dell’ambiente in termini di politiche, finanziamenti e previsioni di mercato…..

    http://www.dbadvisors.com/deam/stat/globalResearch/climatechange_full_paper.pdf

    il link ogni tanto si incarta ma con pazienza riuscirete a scaricarlo, altrimenti lo mando a Guido e ci pensa lui a pubblicarlo, eventualmente…. buona lettura
    max

  3. Angelo

    Caro Guido,
    aggiungo solo una piccola osservazione.
    Ci troviamo in una fase in cui i nodi stanno venendo al pettine, intendo che gli accordi del protocollo di Kyoto attraverso le direttive che ne stanno accompagnando l’attuazione arrivano, sempre più pressanti, in fasi attuative inderogabili (l’ultima importante è quella del 20-20-20 entro il 2020: accidenti, questa ricorrenza del 20 mi fa pensare a qualcosa di cabalistico/rituale).
    Tutti i paesi dovranno raggiungere obbiettivi più o meno simili, purtroppo attraverso storie diverse. Che intendo?
    Intendo che ci sono altre “scelte in passato” che ci hanno portato di fronte agli obbiettivi del protocollo di Kyoto con patrimoni diversi dovuti a scelte politiche/culturali nazionali differenti: scelte che ci mettono di fronte ad esso anche in situazioni differenti e, conseguentemente, in difficoltà attuative differenti (Per chi mi legge si tranquillizzi non sto parlando del nucleare, perlomeno non solo).

    Tutto ciò comporterà sicuramente situazioni di “ingiustizia” attuativa e umiliazioni che corrono il rischio, se non ben gestite e lasciate all’approccio ideologico/politico (di cui questo contesto è saturo), di svilire l’accordo generando un profondo rifiuto. E con esso la prima crisi attuativa importante!

    Ciao

  4. Giorgio Stecconi

    GEOPOLITICA: questa parola tanto dimenticata quanto importante nel governo del pianeta mi ha indotto ad una riflessione.
    Tra 2 giorni verrà scelto il presidente degli Stati Uniti, la più potente carica elettiva del nostro pianeta. Tutti e due i candidati hanno fatto pubbliche dichiarazioni a favore della “lotta” al ricaldamento globale causato dall’uomo.
    Entrambi puntano ad una diminuzione delle emissioni di co2 ponendo però molta attenzione, come dice anche l’ex portavoce vaticano, a non danneggiare l’ecomonia del proprio paese. Su questo punto non vi è differenza tra i due programmi elettorali, nessuno dei due grandi partiti americani, come il presidente Bush, e anche se in maniera meno evidente l’ex presidente Clinton, vuole correre il rischio di danneggiare l’ecomonia in nome di fanatismi ecologici.
    Sicuramente la potente lobby del carbon trading sta esercitando tutta la sua capacità persuasiva nei confroni dei candidati presidente, ma forse un’alro motivo può essere alla base del desiderio bipartisan americano della riduzione delle emissioni di co2: spingere l’america ad affrancarsi dalla dipendenza, che in questo momento ha, dal petrolio dei paesi del golfo persico.
    La regione è altamente instabile e mille motivi non ancora noti a noi grande pubblico possono indurre la leadership americana a cavalcare il tanto temuto riscaldamento globale per un grande obiettivo….. Geopolitico.

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