I blocchi sono strutture circolatorie caratteristiche delle medie latitudini e il loro lungo persistere è spesso all’origine di grandi anomalie termiche e pluviometriche. Ciò li pone spesso all’attenzione di tutti noi e sotto i riflettori dei media, i quali tuttavia utilizzano molto raramente il termine “blocco”.
Il lavoro di Barnes et al. Exploring recent trends in Northern Hemisphere blocking, apparso di recente sulla rivista scientifica Geophysical Research Letters, analizza i trend temporali nei blocchi per l’emisfero boreale sui tre periodi 1990-2012, 1980-2012 e 1948-2012, evidenziando un’elevatissima variabilità interannuale e l’assenza di chiari trend temporali nel nostro emisfero.
Cosa sono i blocchi
I blocchi (blocking in lingua inglese) sono grandi aree depressionarie e/o anticicloniche stazionarie così chiamate perché “bloccano” il regime zonale tipico delle medie latitudini del nostro pianeta deviando le grandi correnti occidentali (westerlies) dal loro normale percorso (che sappiamo essere da ovest verso est, centrato grossomodo intorno ai 50° di latitudine nord) e costringendole a più o meno tortuose deviazioni.
Per meglio comprendere il concetto, invito ad osservare la figura 1a, ottenuta utilizzando gli stupendi strumenti che NOAA mette oggi a nostra disposizione. Tale figura mostra il regime circolatorio medio del trentennio 1981-2010 all’altezza standard di 500 hPa. Per comodità del lettore ho tracciato solo le isoipse comprese fra 5440 m e 5640 m con passo di 40 m, le quali costituiscono un buon tracciante del percorso medio delle westerlies, percorso che come vedete è pressapoco da ovest verso est, anche se nel’emisfero nord si notano alcune significative ondulazioni fisse imposte dalla grande orografia (ad es. le montagne rocciose) Nella figura 1b è invece riportata la media 1981-2010 per il bimestre dicembre – gennaio.
Le isoipse tracciate in figura 2 rappresentano invece la media della circolazione a 500 hPa per il periodo dal 1 dicembre 2013 al 29 gennaio 2014. Da tale carta emerge la presenza di un grande anticiclone di blocco con asse sulla costa ovest del Nord America. Sul suo fianco orientale l’anticiclone scarica aria fredda artica verso gli Stati Uniti centro-orientali1 determinando una consistente ondata di freddo. Questa osservazione ci permette di cogliere una caratteristica chiave dei blocchi e cioè la loro capacità di dar luogo a spiccate anomalie termiche e pluviometriche, cui le nostre società sono da sempre particolarmente sensibili.
In proposito si citano i tre seguenti esempi validi per le medie latitudini:
- le fasi piovose sono spesso associate a scorrimenti di aria calda subtropicale su un “materasso” d’aria più fredda pre-esistente (fronte caldo) ovvero a risalita orografica della massa d’aria stessa; in presenza di grandi depressioni di blocco a lunga persistenza il fenomeno può tradursi in situazioni alluvionali;
- le fasi con temperature superiori alla norma sono spesso associate all’avvezione di masse d’aria subtropicale stabile che ha luogo all’interno di grandi promontori anticiclonici; in presenza di promontori anticiclonici subtropicali di blocco a lunga persistenza il fenomeno può tradursi in grandi siccità e/o grandi ondate di caldo;
- le grandi ondate di freddo sono di norma legate all’avvezione di masse d’aria artica o polare continentale che ha luogo sul fianco orientale di grandi anticicloni di blocco protesi da latitudini subtropicali verso l’artico; in presenza di promontori anticiclonici subtropicali di blocco a lunga persistenza il fenomeno può tradursi in grandi ondate di freddo.
Per comprendere la rilevanza socio-economica del fenomeno si deve aggiungere che le aree dell’emisfero boreale più interessante da blocchi sono l’Atlantico settentrionale (0°E) ed il Pacifico Nord orientale (180°E)2, per cui conoscere frequenza, persistenza e eventuali trend delle grandi strutture di blocco nell’emisfero boreale riveste un’importanza strategica per l’areale europeo e nordamericano.
I risultati di Barnes et al
Barnes et al. (2014) hanno analizzato i trend recenti nei sistemi di blocco allo scopo di verificare l’eventuale presenza di incrementi o diminuzioni nelle frequenza in coincidenza con la diminuzione delle superfici glaciali. Per garantire risultati robusti, gli autori hanno utilizzato 3 algoritmi automatici di blocking detection (descritti nel lavoro ed indicati con gli acronimi B1D, D2D e M2D) associati a quattro differenti rianalisi (ERA, NCEP, NCEP2, MERRA). Gli autori hanno operato rispettivamente sui periodi 1980-2012 e 1990-2012 e con riferimento ai quattro trimestri invernale (DJF), primaverile (MAM), estivo (JJA) ed autunnale (SON).
La figura 3, tratta dal lavoro di Barnes et al., mostra che:
- la gran parte dei box rappresentativi delle diverse fasce longitudinali dell’emisfero Nord non presenta trend significativi nelle diverse stagioni e per i tre diversi metodi di blocking detection;
- in nessun caso si hanno trend significativi nel periodo autunnale;
- nessun trend significativo interessa l’area Euro-Atlantica (fascia fra 300 e 360°W e fra 0 e 60°E).
Nelle conclusioni gli autori sottolineano che nessuno degli indici di blocco utilizzati evidenzia chiare tendenze emisferiche a livello annuale, mentre trend positivi o negativi a livello stagionale sono stati riscontrati solo per specifiche regioni isolate. Più in particolare in nessun caso tutti e tre i metodi impiegati sono stati in accordo nell’esprimere una tendenza significativa su una data area. I blocchi hanno peraltro dimostrano un’enorme variabilità interannuale evidenziando così la difficoltà nel separare la risposta da fattori forzanti dalla variabilità naturale. Una tale chiave di lettura (grande variabilità interannuale, sostanziale assenza di trend) è stata confermata estendendo l’analisi alla serie storica di rianalisi NCEP per il periodo 1948-2012.
Conclusioni
In sintesi dunque niente di nuovo sul fronte dei blocchi: pare che l’olocausto climatico non verrà da lì, il che si pone in contrasto con le molte profezie di sventura circa i trend nelle ondate di caldo e di freddo e nelle fasi a piovosità accentuata che hanno funestato l’ultimo ventennio. Peraltro l’assenza di trend nei blocchi mi pare un ulteriore elemento che spinge a ritenere corretto l’affrontare il rischio climatico con l’ausilio delle climatologie degli ultimi 30-50 anni, un approccio questo che sarebbe del tutto inidoneo in presenza di trend conclamati.
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Note:
- Per inciso si noti che quando le grandi correnti occidentali giungono sull’Europa assumono un andamento di tipo diffluente con tendenza ad espandersi anche verso il Mediterraneo. Ciò può spiegare la sensibile anomalia pluviometrica positiva cui abbiamo assistito nell’ultimo bimestre.
- Dati sulla frequenza dei blocchi sulla sdserie 1950-2000 e per il periodo invernale sono presentati nel sito NOAA dedicato alla climatologia dei blocchi (http://www.cpc.ncep.noaa.gov/products/precip/CWlink/MJO/block.shtml)
E’ un’osservazione ad occhio fatta su di una mappa piccola ed a bassa risoluzione, ma sbaglio o (nell’emisfero boreale) le quote di geopotenziali sembrano più o meno tutte più meridionali della media finora? Segnatamante sul Nord America centro-orientale ed in Asia: è perché la media 1981-2010 è annuale, mentre qui analizziamo solo l’inverno?
Caro Guido, in effetti ha ragione Filippo: la mia carta 1981-2010 presente nel post è la media annua, molto interessante per tanti aspetti (ed in effetti è quella che ho prodotto per prima quando ho iniziato a scrivere il commento) ma che non è la più adatta per un confronto diretto con la media dicembre 2013- gennaio 2014.
In ragione di ciò ho provveduto poco fa’ a produrre la nuova carta media 1981-2010 per il bimestre dicembre-gennaio e te l’ho già inviata via e_mail. Spero tu possa inserirla al più presto.
Grazie e ciao.
Luigi
Filippo, domani aggiorniamo il post tenendo conto del tuo commento.
gg
Visto!