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Eventi estremi, uno studio al giorno toglie l’ansia di torno

Qualche lettore potrà pensare che su questo argomento stiamo diventando noiosi. Può darsi, ma in tempi in cui i temporali sono diventati nell’accezione comune delle ‘bombe d’acqua’, le perturbazioni delle ‘summer storm’ e gli anticicloni dei personaggi biblici, senza che nessuno abbia mai scientificamente dimostrato che questi abbiano cambiato le loro caratteristiche, insistere nel tentativo di riportare un po’ d’ordine è quasi obbligatorio.

Del resto, già da tempo sappiamo che gli eventi intensi, quasi sempre riferiti alla scala spazio-temporale del tempo atmosferico, sono intesi da quanti gridano alla catastrofe climatica come la trasposizione nella realtà quotidiana di mutazioni altrimenti del tutto impercettibili. Una specie di anello di congiunzione tra qualcosa di comprensibile solo agli addetti ai lavori e qualcosa che invece riguarderebbe tutti quanti.

Negli studi che fanno largo uso di proiezioni climatiche, infatti, molte specie di eventi intensi sono previsti in aumento, sia per frequenza di occorrenza che per intensità. Nella realtà delle osservazioni, invece, per quasi tutti questi eventi è stata riscontrata una sostanziale assenza di trend, perché i dati sono scarsi e per la tipicità di questo genere di fenomeni, che sono rari per definizione.

Sono però aumentati i danni economici e infrastrutturali. Ma, la ricerca sull’argomento ha più volte dimostrato che una volta normalizzati, cioè dopo che si è tenuto conto dell’aumento dell’esposizione al rischio – per esempio delle zone costiere ormai densamente urbanizzate- e dell’aumento della ricchezza, anche questi dati sono privi di trend. In poche parole, non è dall’aumento dei costi che si può tirar fuori l’anello di congiunzione di cui sopra. Questo supporta quanto la realtà delle osservazioni già avrebbe chiarito, cioè che per ora la tendenza del clima a cambiare non ha impatto sugli eventi atmosferici intensi.

A conferma di quanto detto sin qui, appena qualche giorno fa è stato pubblicato un nuovo studio che con metodologie nuove e dati indipendenti rispetto a quelli che si sono già concentrati sull’argomento, ha riscontrato ancora una volta una sostanziale assenza di trend nei dati relativi ai danni subiti, naturalmente anche in questo caso dopo la normalizzazione. La figura qui sotto, pubblicata anche sul blog di Roger Pielke Jr, sempre molto interessato a questo argomento, è tratta proprio da questo studio.

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Dunque, tutte linee piatte o quasi. Nello studio, inoltre, c’è anche un discorso molto interessante sulla vulnerabilità. Alcuni pensano e sostengono infatti, che una diminuzione della vulnerabilità che fosse eventualmente intervenuta negli ultimi decenni, potrebbe nascondere alla vista, ovvero controbilanciare un trend positivo degli eventi intensi. Pur ragionando in modo qualitativo, perché anche su questo i dati sono davvero scarsi e di difficilissima interpretazione, gli autori di questo paper sostengono che anche per la vulnerabilità non sia riscontrabile alcun trend. Perché i framework sulle misure di prevenzione sono molto recenti e perché spesso, nonostante tutto, le catene di allertamento, prevenzione e protezione sono tutt’altro che efficienti. Questo nei paesi più organizzati. In quelli poveri o in via di sviluppo il discorso è ben diverso, il rapido progresso porta certamente benefici, ma il segnale, questo sì, è confuso da molti fattori, per esempio gli assembramenti urbani ormai divenuti megalopoli nate in aree costiere, cioè fortemente esposte al rischio.

Quello degli eventi intensi, che il clima cambi o meno, o che lo faccia per proprio conto o per cause antropiche, resta comunque un argomento di grande attualità. Appena qualche giorno fa, per esempio, l’Organizzazione Meteorologia Mondiale ha pubblicato un Atlante degli Eventi Estremi per il periodo 1979-2012. Nell’occasione il Segretario Generale della WMO non ha mancato di sottolineare come i disastri derivati da eventi atmosferici siano aumentati. Forse non aveva ancora letto questo ennesimo paper che dice cose piuttosto diverse. Qui c’è il nostro commento alla pubblicazione dell’Atlante, con il quale però non siamo entrati più di tanto nello specifico. Lo ha fatto meglio il prof. Sergio Pinna dell’Università di Pisa, che su questo argomento ha scritto molte pubblicazioni. In un recente articolo sulle sue pagine web, il prof. Pinna è stato molto critico, soprattutto per l’omissione di alcuni eventi molto importanti e per l’inclusione di altri dal più immediato sapore mediatico. Qui per leggere la sua opinione.

Buona giornata.

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Published inAttualità

2 Comments

  1. Fabio Vomiero

    Come dice il dott.Guidi, il tema è sicuramente di grandissima attualità, però mi sembra che l’approccio utilizzato da questo tipo di studi alla fine non ci porti molto lontano in termini di vera conoscenza scientifica su questo tipo di fenomeni. La valutazione degli impatti socio-economici non mi sembra il parametro più significativo da studiare visto che ha a che fare con dinamiche sociali variabili e di difficile inquadramento. Ma allora mi chiedo, esiste qualche lavoro di metanalisi che va invece a studiare e a monitorare le frequenze e l’intensità fisica effettiva dei vari tipi di eventi estremi (ondate di caldo, ondate di freddo, tornado, uragani, tifoni, temporali grandinigeni ecc.), integrandole in una sorta di “ensemble” a livello quantomeno di macrozone? Perché solo così forse potremmo forse farci un’idea concreta, altrimenti è come dire che per la valutazione di una malattia infettiva ci limitiamo a misurare la febbre causata nell’ospite, che sappiamo essere variabile, invece di considerare tutte le caratteristiche biologiche e genetiche del microrganismo responsabile. Certamente alcuni individui neanche si accorgeranno di essere stati infettati, altri avranno la febbre alta, altri potrebbero anche morire. Di sicuro per esempio posso dire che nella zona dove abito (nord-est) le ondate di caldo (soprattutto estive, ma non solo) sono significativamente aumentate in termini sia di frequenza che di intensità rispetto al secolo scorso. Anche questo è un dato. Saluto sempre tutti cordialmente.

    • Fabio,
      ce ne sono eccome, è proprio da quelli che scaturisce il no trend. Li ha efficacemente analizzati un apposito report IPCC (SREX – lo trovi si IPCC.ch).
      Comunque le analisi socio economiche sono importanti perché studiano gli impatti e chiariscono che il problema è altrove, cioè nel fatto che come l’uomo ha sempre fatto, si deve lavorare sulla resilienza.
      gg

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