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Antichi insediamenti d’alta quota in Val d’Aosta e nella Valle dello Spluga – Possibili legami con il clima e l’ambiente

Penso che pochi di noi abbiano davvero idea di cosa significhi vivere con continuità ad alte quote, oltre i 2000 metri di altitudine, in insediamenti di fortuna. Personalmente mi porto a quelle altitudini solo in occasione di gite estive o per motivi di lavoro e lo faccio solo dopo aver consultato il bollettino meteo onde minimizzare il rischio di trovarmi a quelle quote durante una fase di maltempo, quando piove o nevica e la temperatura percepita è di parecchio inferiore a quella termometrica per via del vento che ti ruba tutto il calore.

Debbo anche ricordare che nonostante la mia familiarità con le previsioni meteo, una simile esperienza mi è capitato di viverla un paio di volte sull’altopiano degli Andossi (in provincia di Sondrio, sotto lo Spluga, sulla sinistra orografica del torrente Liro) ove con alcuni amici conduco le ricerche descritte a questo link.

Non lontano dall’altipiano degli Andossi (sul versante opposto della valle del Liro) c’è il Pian dei Cavalli, a 2200 m di quota, ove negli anni ‘80 il professor Francesco Fedele dell’Università di Napoli mise in luce una trentina di insediamenti di cacciatori nomadi del mesolitico (Fedele e Buzzetti, 1993) (Cusini e Della Valle, 2010). Si trattava probabilmente di cacciatori che salivano in alta montagna ogni estate per cacciare il cervo in un periodo compreso fra 10mila e 7mila anni orsono, dunque durante il grande optimum postglaciale, allorchè la montagna alpina era assai più boscosa di oggi e gran parte dei ghiacciai erano probabilmente scomparsi.

A proposito di tali cacciatori ricordo che il professor Fedele ebbe a scrivere (cito a memoria) che devono essere considerati come rappresentati di una civiltà dotata di una tecnologia raffinata per quei tempi e per certi versi simile a quella degli attuali Inuit che popolano le aree artiche di Stati Uniti, Canada e Russia. Tale considerazione è peraltro confermata dalle ricostruzioni delle dotazioni dell’uomo di Simulaun.

In merito ad insediamenti d’alta quota è anche interessante segnalare che recenti ricerche archeologiche in Val d’Aosta hanno messo in luce insediamenti dei Salassi del II-I secolo a.C. ad altitudini molto elevate nei siti di Tantané la Magdeleine a 2437 m slm e Col Pierrey a 2620 m slm (Navillod, 2010). Perchè i Salassi abbiano costruito insediamenti a quote così elevate è tuttora un mistero in quanto la cacciagione è scarsissima, non vi sono minerali da cavare e manca del tutto il legname per scaldarsi. Su tal tema Prinetti (2014) scrive quanto segue: “Un dato sconcertante è rappresentato dalla scarsità di risorse in loco. Se la disponibilità di foraggio, ora quasi sempre assai ridotta, può non essere considerata un elemento significativo dati i cambiamenti climatici intervenuti, non altrettanto si può dire dell’acqua, che risulta quasi sempre assente o di difficile approvvigionamento. Anche il legname, data la quota, doveva essere comunque scarso. Risorse minerarie non sono quasi mai presenti, e dove teoricamente un giacimento sarebbe stato sfruttabile non è reperibile alcun segno di coltivazione né di metallurgia.

Io penso che tali insediamenti dei Salassi debbano comunque avere qualche legame con il clima assai mite dell’optimum romano, in quanto un popolo d’origine gallo-ligure che conosceva il territorio e le sue insidie assai meglio degli invasori romani, non si sarebbe a mio avviso infilato in un simile cul di sacco privo di risorse se non in presenza di condizioni climatiche assai più favorevoli di quelle attuali. Esprimo questo giudizio pur non sentendomi in assoluto di escludere l’idea espressa da Prinetti (2014) secondo cui tali villaggi sarebbero segno dell’estremo sacrificio dei Salassi di fronte agli invasori romani (meglio morti che schiavi…).

BIBLIOGRAFIA

  • Cusini E., Della Valle M., 2010. http://scuole.provincia.so.it/icgrosio/orme/cpcaval.htm
  • Fedele F. e Buzzetti M., 1993. Pian dei Cavalli: sui passi dei primi uomini nelle Alpi ” – Museo della Val Chiavenna
  • Navillod G.M., 2014. Il villaggio dei Salassi del Tantané la Magdeleine http://gian.mario.navillod.it/villaggio-salassi-tantane/
  • Navillod G.M., 2010. Il villaggio dei Salassi sul Col Pierrey http://tapazovaldoten.altervista.org/zvaltournenche/villaggio_salassi_pierrey.html
  • Prinetti F., 2014. Gli antichi insediamenti d’alta quota: testimoni di una tragedia dimenticata? http://www.andarpersassi.it/antichi-insediamenti-in-quota/
  • Reboulaz P., 2010. Sulle montagne Valdostane, 2000 anni fa (il villaggio di Col Pierrey) www.caivda.it/sito/MV/documenti/cai_108.pdf
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Published inAttualità

8 Comments

  1. Simone Colzani

    Pian dei Cavalli, dall’aspetto lunare, è sempre stato un enigma: perchè delle popolazioni sarebbero andate a vivere lì? Le condizioni climatiche hanno subito mutamenti significativi: senza andare a pescare i romani, basta ricordare le migrazioni dei Walser, che dal canton Vallese giunsero fino all’Austria centrale, con valichi alpini praticabili per 9 mesi senza gli odierni mezzi meccanici. Altra motivazione potrebbero essere le periodiche esondazioni del fiume Adda, che in bassa Valle avrebbe causato l’impaludamento delle zone pianeggianti (dopo l’ultima glaciazione, il Lario arrivava a Chiavenna verso Nord e a Morbegno verso E).
    Sorprendono decisamente le immagini di inizio secolo XIX della valle (quando i grandi bacini artificiali erano di là da venire) per rendersi conto dello sfruttamento intensivo della montagna. Interi versanti (da Motta a Fraciscio, per esempio) erano terrazzati con la coltivazione di specie oggi scomparse, mentre l’incuria quotidiana ha fatto comparire interi boschi dove mai ve n’erano stati.
    Tuttavia, a fronte di queste memorie (tramandatemi dai parenti di ramo materno), mi ricordo che in Angeloga (alpeggio sito a 2000 metri slm alle falde del Pizzo Stella), fino a non molto tempo fa era possibile vedere scheletri di conifere, mentre oggi il bosco lambisce soltanto la conca, arrestandosi a circa 1900 metri di quota. Calcolando lo sfruttamento della legna da parte dei valligiani, è possibile ipotizzare che la linea degli alberi fosse decisamente più alta arrivando tranquillamente a quota 2100, esattamente come a Pian dei Cavalli (che arriva a 2300 mt, sulle rive del Lago Bianco).

  2. giovanni p.

    Rispatto a quanto scritto da Mariani vorrei riportare la mia opinione formata da anni di rilevamenti nelle montagne delle Alpi Nord Occidentali. La cosa che mi ha sempre colpito é la quantita di case alpeggi borgate abbandonate che si incontrano in media ed alta montagna diciamo tra i 1000-2000 metri. La quantità di sentieri , strade acciottolate ormai abbandonato che dovevano costituire uan rete di comunicazione montana estremamente atricolata. Inoltre mi ha sempre colpito leggere dei documenti originali dei rilevamenti fatti dai grandi geologi a cavallo tra 800 e 900 come Dal Piaz Sella Vai Gastaldi e altri. Vedere i posti dove erano stai con mezzi e attrezzzature dell’epoca. Tutto questo mi ha spesso fatto pensare che al tempo lenostre montagne fossero dei luoghi molto piu antropizzati e meno selvaggi di quanto siano oggi, che gli uomoni ch ele abitavano avessero trovato un equilibrio che permetteva loro di vivere e sopravvivere in condizioni molto piu difficili di quelle attuali e non necessariamente grazie a condizioni climatiche piu favorevoli( anzi meno favorevoli trattandosi della fine della piccola era glaciale del 700-800). Allo stesso modo per questi rilevatori doveva essere piu semplice circolare anche con attrezzature e muli al seguito grazie allo stato dei sentieri dell’epoca mantenuti dagli stessi abitanti delle montagne. Cio che permise loro di osservare rocce e affioramenti che al giorno d’oggi sono pressoché scomparsi dietro coltri di vegetazione o detriti ( come mi é spesso capitato di osservare personalmente). Tutto questo per dire che quanto osservato da Mariani nei Salassi e altre popoolazioni del passato rifletteva molto probabilmente non solo un altro clima ma anche e soprattutto un altro modo di vivere e di rapportarsi nonché di adattarsi alla natura e alla sua durezza,cosa oggi impensabile alla gran parte della popolazione computerizzata e urbanizzata, abituata ad un clima artificiale quotidinao fatto di arie condizionate e riscladmenti che in pratica ribaltano le temperature naturali stagionali ( 18 gradi d’estate e 30 d’inverno, questa é la nostra realtà climatica attuale)

    • Luigi Mariani

      Sono del tutto d’accordo con le sue considerazioni. L’uomo in passato (e questo passato finisce grossomodo 50 anni fa’ ma lo abbiamo tutti rimosso, come attestano i “mulini bianchi” di cui sono piene le pubblicità) è stato in grado di adattarsi a condizioni per noi oggi impensabili e questo adattamento lo pagava in durata e qualità della vita, a livelli sensibilmente inferiori a quelli attuali (tanto facevano l’aria buona, i buoni cibi di una volta e la medicina naturale…).
      Gli stessi versanti alpini oggi sommersi dal bosco dopo un certo periodo di sfruttamento come pascolo erano stati anccora in precedenza terrazzati e coltivati a cereali, con fatiche enormi per i nostri vecchi.
      Tuttavia la vicenda dei Salassi mi sembra che superi anche lo schema di cui sopra in quanto i villaggi ritrovati sono intorno a 2500 m, in ambiti in cui la pastorizia e le colture erano molto probabilmente impraticabili, per cui la curiosità spinge a domandarci cosa diamine ci facessero lassù.
      Luigi

    • giovanni p.

      Concordo con lei e sottolineo che i terrazzamenti sono uno dei resti piu emblematici dell’antropizzazione umana dei paesaggi alpini e del faticoso lavoro dell’uomo fino a mezzo secolo fa. Mi ha sempre stupito e meravigliato vedere quanto lei ha qui sopra descritto, durante varie escursioni montane di rilevamento geologico. Pensare che la dove vi sono solo piu boschi selvatici e tappeti di rovi e arbusti esisteva una civilizzazione in dura armonia con quegli ambienti alpini mi ha sempre affascinato e spesso mi ha fatto pensare al concetto di civiltà e di progresso e alla sua relativizzazione. Per quanto riguarda i salassi non metto in dubio l’infulenza di un clima piu mite, in qualche modo dimostrato trattandosi del periodo dell’optimum “romano”. Quello che mi chiedo é se, per analogia con quanto avveniva ( o sempre piu raramente avviene) anche i salassi ( popolo di allevatori cacciatori o agricoltori ?) non ricorressero a dimore estive di alta montagna, noti a noi come alpeggi, dove veniva portato il bestiame nei periodi caldi dell’anno per poi ritornare a quote piu basse con l’arrivo della stagione invernale. Oppure vi sono testimonianze o evidenze che queste dimore ad alta quota fossero stabili lungo tutto l’arco dell’anno?

  3. donato

    Scrive L. Mariani: “Esprimo questo giudizio pur non sentendomi in assoluto di escludere l’idea espressa da Prinetti (2014) secondo cui tali villaggi sarebbero segno dell’estremo sacrificio dei Salassi di fronte agli invasori romani (meglio morti che schiavi…).”
    .
    Se i Salassi avessero desiderato morire piuttosto che diventare schiavi, potevano farlo tranquillamente a valle in combattimento. Mi sembra poco logico rifugiarsi in montagna per morire di stenti. Personalmente credo che i Salassi si siano rifugiati a quelle quote in quanto avevano la possibilità di sopravvivere anche se le condizioni di vita erano più difficili che altrove. Mi sento di condividere, quindi, l’ipotesi di L. Mariani: hanno occupato una posizione scomoda per i Romani, ma vantaggiosa per loro, una specie di “nicchia ecologica” in grado di permettere la loro sopravvivenza.
    .
    In questa ipotesi ci troveremmo di fronte all’ennesimo esempio di adattamento dell’uomo alle condizioni climatiche o, per essere più precisi, della capacità dell’uomo di sfruttare a proprio vantaggio delle particolari condizioni climatico-ambientali.
    La stessa capacità dimostrata, per esempio, dalle vicende dell’antichissimo sito archeologico di Gobekli Tepe di cui abbiamo discusso qui su CM oltre due anni fa ( http://www.climatemonitor.it/?p=22706 ).
    In quella circostanza abbiamo avuto modo di vedere come le mutevoli condizioni climatiche che caratterizzarono la fine dello Younger Dryas, costituirono la molla che fece passare l’uomo dalla condizione di cacciatore-raccoglitore a quella di allevatore-coltivatore.
    Colgo l’occasione per segnalare, su “Le Scienze” di luglio 2014, un interessante articolo di F. Salamini in cui è riportata una bella tavola cronologica che illustra in modo esemplare i passaggi critici dalla civiltà dei raccoglitori e cacciatori (i costruttori di Gobekli Tepe) a quella degli agricoltori (che secondo F. Salamini abbandonarono il sito dopo averlo seppellito intenzionalmente) in relazione agli eventi climatici che contraddistinsero la fine dello Younger Dryas. L’articolo, purtroppo, è riservato agli abbonati o agli acquirenti della rivista cartacea, ma, a grandi linee, esprime gli stessi concetti riportati da L. Mariani nel 2012.
    Ciao, Donato.

    • Per carità, la mia è solo la personale opinione di uno non esperto, ma stavo per scrivere la stessa cosa di Donato: se uno vuole morire, è proprio strano che scelga di morire di stenti nel freddo. Per dire, a Masada – con la stessa identica motivazione – si suicidarono in modo più efficace, se mi passate il termine.

      Potrebbe invece essere che si fossero rintanati in un posto dove speravano di non essere assediati, un po’ come il villaggio di Asterix; il che però non implica che per loro le condizioni fossero favorevoli. Si sa per quanto tempo furono in grado di sopravvivere?

    • Luigi Mariani

      Circa il popolo dei Salassi le fonti scritte sono scarse e anche l’archeologia credo ci dica poco, il che credo non aiuti gli storici nelle loro ricostruzioni.
      Dei Salassi parla soprattutto Strabone, geografo greco che visitò l’Italia forse fra il 20 e il 10 a.C. (http://www.treccani.it/enciclopedia/strabone_%28Enciclopedia-Italiana%29/). Ecco che cosa scrive, secondo quanto riportato in http://www.legio-i-italica.it/novae/salassi.htm):
      “Ancora in tempi recenti i Salassi, ora combattendo ora interrompendo le guerre contro i romani,continuano,nonostante tutto,a conservare la loro potenza e per l’abitudine al brigantaggio, provocano danni rilevanti a coloro che percorrono il loro territorio per valicare i monti”. In un altro passo Strabone cita:”Quando Decimo Bruto scappò da Modena, i Salassi pretesero il pagamento di una dracma a testa; e quando Messalla svernò vicino ad essi, dovette pagare in contanti la legna da ardere e gli olmi per costruire i giavellotti e le armi da esercitazione. Questi uomini una volta rubarono persino dalla cassa il denaro di Cesare Augusto e rovesciarono dei macigni su colonne di soldati, col pretesto che stavano costruendo una strada e gettando dei ponti sui torrenti”.
      A proposito di quanto sopra, ricordo che i Walser (popolo di lingua tedesca che giunse nella valli fra Piemonte e val d’Aosta nel periodo dell’optimum medioevale) si spostavano fra le vallate da loro abitate (es: fra Gressoney nella valle del Lys ed Alagna in Valsesia) attraversando gli spartiacque nei pressi della testata delle valli, il che comportava il transito su valichi che spesso erano oltre i 2000 m di quota. Tale abitudine si spiega fra l’altro con il fatto che i fondivalle erano infidi perchè paludosi e coperti di fitte foreste, il che doveva essere vero anche in epoca romana. Pertanto gli insediamenti salassi a così alte quote potrebbero spiegarsi come sorte di dogane in cui i viandanti (es: mercanti) erano costretti a pagare un pedaggio (un motivo analogo a quello che spinse nel medioevo i vari feudatari a costruire moltissimi castelli nella stessa val d’Aosta).
      Voglio anche ricordare che Francesco Prinetti nel suo scritto citato in bibliografia, paragona i Salassi agli eretici dolciniani, che nel XIII-XIV secolo diedero luogo a “soggiorni in quota” per certi versi simili.
      In assenza dunque di fonti o reperti archeologici che taglino la testa al toro, dobbiamo temo accontentarci di più ipotesi che si reggono tutte sul presupposto dell’invarianza dei moventi su cui si fondano le azioni umane anche in epoche assai diverse fra loro.

    • Simone Colzani

      Interessante la spiegazione delle dogane, ma a Pian dei Cavalli passi praticabili almeno per 6 mesi l’anno non ve ne sono: il Baldiscio e la Sancia presentano delle problematiche non indifferenti di dislivello e non sono transitabili da animali da soma.
      Sulle paludi in fondovalle, ho riscontrato analoga problematica in Friuli, dove la zona collinare prealpina era ambita per via dei numerosi pascoli privi di paludi, quando invece il Basso Friuli era malsano a causa della scarsa canalizzazione.
      I Romani, che erano maestri in questo campo avevano sistemato molte opere nei territori da loro governati e perlomeno sino al V secolo dC la manutenzione impediva alle paludi di guadagnare terreno. Poi lo spopolamento privò delle risorse necessarie (in primis personale qualificato) per continuare quest’opera.
      Il fondovalle di Campodolcino, per esempio, venne scosso da diverse alluvioni, ma i problemi idrogeologici non sono di difficile soluzione ed è plausibile ipotizzare come già gli antichi abitanti avessero sistemato sia lo sbocco della Rabbiosa nel Liro, sia quest’ultimo per evitare che ristagnasse nella piana.

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