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No al cibo OGM per sfamare i poveri, sì alle pecore OGM per ridurre le emissioni

Schizofrenia, dissonanza cognitiva, chiamatela come volete, anche ultima follia dell’entusiasta movimento salva-pianeta. Non è roba nuova, perché la vignetta della mucca col serbatoio di metano sul groppone gira da anni, ma l’ingegnosa evoluzione del problema ruttini e clima che cambia ve la voglio raccontare.

Siamo in Nuova Zelanda, paese meraviglioso per il susseguirsi di paesaggi stile vecchio desktop di windows. Ma con un problema: in ognuno di quei paesaggi ci sono delle pecore. Trenta milioni di animali, più o meno, intenti a pascolare ruminando energicamente per farsi belli e produrre quella bella lana che costituisce il fiore all’occhiello del paese.

E così, rumina oggi rumina domani, gli ovini producono, dicono, circa il 30% delle emissioni della Nuova Zelanda. Di lì alla minaccia di disastri climatici prossimi venturi causa eccesso di gas serra il passo è breve, anzi era breve, perché in realtà, dicono, è già stato fatto. Occorre correre ai ripari, così ecco che arriva uno studio che dichiara di aver capito come fare. Una bella modifica genetica et voilà, le pecorelle continueranno a belare e produrre ottima lana senza fare né ruttini né, ci mancherebbe, fastidiose flatulenze che oltre ad inquinare puzzano pure.

Che dire? L’uovo di Colombo, con tanto di inchino al bon ton pecoresco.

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Published inAttualità

Un commento

  1. Luigi Mariani

    Caro Guido, grazie per la segnalazione, riguardo alla quale mi preme anzitutto segnalare che uno studio di A. N. Hristov pubblicato sul Journal of Animal Science nel 2011 (Historic, pre-European settlement, and present-day contribution of wild ruminants to enteric methane emissions in the United States doi: 10.2527/jas.2011-4539) evidenzia che le emissioni di metano dei ruminati selvatici negli USA prima dell’arrivo degli europei (soprattutto bisonti, la cui popolazione pre-colombiana è stimata dall’autore in 50 milioni di individui e poi cervidi) erano pari all’86% delle emissioni attuali da animali domestici. In sostanza non è che i ruminanti selvatici scherzassero!
    A ciò aggiungo che la ricerca di Attwood pubblicata su Genome Research e commentata in http://www.agresearch.co.nz/news/pages/news-item.aspx?News-id=14-09-05-1 si fonda sul fatto che il metano è prodotto dai batteri metanogeni che allignano nel rumine delle pecore, il quale è un ecosistema altamente complesso (cosa che sfugge ai più e che ci dice quanto sia bella e interessante la natura) con popolazioni di micro-organismi in perenne competizione fra loro per le risorse (il cibo che l’animale ingurgita e periodicamente riporta alla bocca per la ruminazione).
    Attwood parte dal fatto che nelle pecore a più bassa emissione di metano, le popolazioni di metanogeni sono diverse da quelle presenti in pecore ad alta emissione di metano e sulla base di tale evidenzia, si propone di selezionare pecore a bassa emissione. Il problema che io colgo in tale idea è che le popolazioni di metanogeni presenti nel rumine sono condizionate dal tipo di foraggio di cui si ciba l’animale, quanto mai variabile in quantità e qualità, specie per animali al pascolo che mi paiono prevalenti in Nuova Zelanda.

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