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Deglaciazioni e effetto-serra

Tipicamente, un interglaciale inizia con un rapidissimo aumento di temperatura, seguito da un graduale, anche se irregolare, raffreddamento fino ad un nuovo minimo al termine del successivo periodo glaciale. Anche le notevoli oscillazioni presenti durante i periodi glaciali (oscillazioni di Dansgaard-Oeschger, eventi di Heinrich) presentano un analogo andamento, benché su scale di tempo più brevi. Si tratta di caratteristici “denti di sega” (lento accumulo di ghiacci, seguito da rapide deglaciazioni). Questo comportamento può essere attribuito alla peculiare non-linearità della criosfera: le calotte glaciali, infatti, non possono crescere più rapidamente di quanto permesso dal regime delle precipitazioni, mentre possono sparire anche molto velocemente quando ricevano un adeguato flusso di calore.

Se si applicano ad un tradizionale modello climatologico le sole, ben note, forzanti astronomiche (teoria di Milankovitch), si ottengono andamenti con le stesse, corrette, frequenze di base, ma di forma molto più arrotondata rispetto alle registrazioni sperimentali ottenute dall’analisi delle carote di ghiaccio. E’ quindi essenziale che il modello tenga conto correttamente, oltre che delle forzanti astronomiche, anche della dinamica della criosfera e della relativa albedo (cioè, capacità di riflettere le radiazioni solari), delle concentrazioni dei gas ad effetto-serra (gas-serra: sia naturali, che causati dall’Uomo) e delle correnti marine.

Oltre a CO2 e metano, anche il vapor d’acqua rappresenta un importantissimo gas ad effetto-serra; occorre tuttavia osservare che, essendo il vapor d’acqua condensabile in relazione alla temperatura atmosferica, esso non è una variabile indipendente, ma costituisce una retroazione positiva (destabilizzante) per variazioni di temperatura di qualunque origine, e quindi anche di quelle dovute ad altri gas-serra.

Introducendo allora nei modelli anche gli effetti dei gas-serra (essenzialmente CO2 e metano, emessi o assorbiti da litosfera, oceani e biosfera), e tenuto conto del conseguente contributo del vapor d’acqua, si possono ottenere andamenti molto più simili a quelli sperimentali, ed in particolare si può spiegare l’innesco della deglaciazione con una causa prima di tipo astronomico (forte radiazione solare ad inizio estate alle alte latitudini settentrionali), a cui consegue una serie di fenomeni che in retroazione positiva accelerano il riscaldamento e la deglaciazione, quali:

 

  1. Una rapida e violenta emissione di gas-serra (CO2 e metano) dalle paludi e dalle torbiere di Alaska, Canada e Siberia;
  2. Una rapida fusione delle calotte glaciali artiche con “allagamento” di acqua dolce dell’Atlantico Settentrionale, il che, come noto, può rallentare fino ad annullare la Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC);
  3. Il blocco dell’AMOC rallenta il riscaldamento dell’emisfero settentrionale o addirittura provoca “sussulti” glaciali come lo Younger Dryas), ma causa anche un rapido riscaldamento dell’Atlantico Centro-Meridionale, ed il conseguente degasamento della sua CO2.

Questa analisi spiega il fatto che nelle registrazioni paleoclimatiche la CO2 talvolta “segue” la temperatura, ma ovviamente non esclude, anzi presuppone, per spiegare la rapidità delle deglaciazioni, che la CO2 a sua volta sia causa di un rilevante effetto-serra.

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Published inAttualità

Un commento

  1. donato

    Articolo molto interessante che si innesta in un filone molto dibattuto qui su CM (solo pochi giorni fa L. Mariani ha pubblicato un articolo, http://www.climatemonitor.it/?p=36403,
    in cui si parlava dello stesso argomento, ovvero dell’innesco di un interglaciale, visto, però, dall’ottica di Shakun et al., 2012 ).
    Nell’articolo del prof. Mathis l’argomento viene ripreso dal punto di vista più tradizionale (che tra l’altro condivido) che vede nelle variazioni di tipo astronomico la causa che determina l’innesco del periodo interglaciale.
    Con questo commento vorrei, però, porre al centro dell’attenzione il periodo con cui si apre l’articolo di A. Mathis:
    “Tipicamente, un interglaciale inizia con un rapidissimo aumento di temperatura, seguito da un graduale, anche se irregolare, raffreddamento fino ad un nuovo minimo al termine del successivo periodo glaciale.”
    .
    Se ho interpretato bene il pensiero dell’autore mi sembra di capire che il sistema climatico terrestre tende a mantenersi in uno stato di equilibrio caratterizzato da condizioni glaciali, cioè fredde: stiamo parlando di interglaciali per cui si suppone di trovarci all’interno di un’era glaciale (come quella attuale), caratterizzata, appunto, da condizioni fredde.
    Gli interglaciali sono, pertanto, delle parentesi calde all’interno di una condizione tipicamente fredda il cui innesco è causato da perturbazioni astronomiche e modulata da dinamiche interne al sistema climatico terrestre ben illustrate dalla successione causale indicata dall’autore.
    Se le dinamiche dell’innesco e le retroazioni che consentono all’interglaciale di nascere ed auto sostenersi possono essere considerate piuttosto chiare, non altrettanto sono, a mio avviso, le cause che riportano alle condizioni glaciali o, per essere più esplicito, le cause che impediscono l’innesco di quella catena di eventi che dovrebbe determinare, attraverso l’azione continua delle retroazioni citate, un riscaldamento che si amplifica fino a determinare, al limite, la fine dall’era glaciale (scomparsa delle calotte glaciali polari e dei ghiacciai terrestri).
    Liberando una grande quantità di anidride carbonica e metano nell’atmosfera (per degassamento degli oceani e per decongelamento delle torbiere e delle tundre artiche) il processo dovrebbe, infatti, auto alimentarsi portando il sistema da condizioni glaciali a condizioni non glaciali. Se tutto ciò non avviene deve esistere un meccanismo di auto regolazione del sistema che lo impedisce.
    A mio giudizio, considerando il sistema climatico un sistema dinamico non lineare complesso, deve esistere un attrattore strano che lo stabilizza all’interno di un ben preciso spazio delle fasi (stocastico più che deterministico).
    .
    Sempre con riferimento a quello che A. Mathis definisce “…. graduale, anche se irregolare, raffreddamento fino ad un nuovo minimo al termine del successivo periodo glaciale”, sarebbe interessante (e mi propongo di approfondire la questione) cercare di capire la successione temporale di eventi che porta ad un graduale riassorbimento della CO2 atmosferica, alla formazione delle calotte glaciali polari ed al ripristino della AMOC, cioè alle condizioni glaciali interrotte dall’interglaciale. In particolare sarebbe utile cercare di capire perché, arrivati ad un certo punto del riscaldamento causato dal cosiddetto effetto serra (dovuto a CO2, metano, N2O, in primo luogo e ad H2O aeriforme nei modi diversi esemplificati da A. Mathis), esso si arresta e si torna alle condizioni di partenza. Ha ragione, forse, chi sostiene che la sensibilità climatica all’equilibrio non è costante, ma varia in modo caotico in funzione della temperatura atmosferica e dell’irradiazione solare?
    .
    A tutto ciò bisogna aggiungere, infine, la CO2 di origine antropica che va ad alterare un sistema già di suo piuttosto caotico. L’argomento non è, però, oggetto del post per cui preferisco soprassedere sulla questione e ragionare solo in termini di variazioni naturali del sistema climatico.
    .
    Dall’articolo sembrerebbe emergere, infine, che la concentrazione atmosferica della CO2 varia (aumenta) in seguito all’aumento delle temperature: se questa è l’interpretazione corretta io concordo pienamente con l’autore. Con questo, comunque non voglio assolutamente intendere che la variazione della concentrazione di CO2 sia solo conseguenza e mai causa, in quanto, una volta emessa, contribuisce all’aumento ulteriore delle temperature, a nuovi degassamenti degli oceani ecc., ecc. fino a che il processo si arresta senza evolvere verso condizioni di collasso dell’intero sistema a causa del superamento di punti di non ritorno. Ed anche in questo caso mi devo chiedere perché.
    Ciao, Donato.

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