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Territorio e eventi intensi, è una questione di approccio al problema

Paolo Leoni di Meteoreport, è intervenuto nella discussione sul post di Sergio Pinna di lunedì scorso. Ho deciso di proporvi il suo commento in forma di post. Buona lettura. (La vignetta è di Massimo Cavezzali e viene da qui)
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È evidente che nel 2014 in Italia le precipitazioni siano diventate ormai un problema; che, per definizione, va risolto.

Ma per risolvere correttamente un problema è essenziale sia l’approccio al problema sia i metodi di risoluzione applicati ad esso; in Italia, noi abbiamo sbagliato e stiamo sbagliando sia l’approccio che la risoluzione. Così facendo non otterremo mai una soluzione corretta.

Situazione attuale

Approccio al problema: le precipitazioni stanno aumentando d’intensità a causa dei cambiamenti climatici; meno giorni di pioggia, ma più fenomeni intensi. I corsi d’acqua, quindi, passano da condizioni di magra a condizioni di piena in pochissimo tempo; non solo, le portate dei corsi d’acqua aumentano progressivamente perché aumentando l’intensità dei fenomeni il bacino non riesce ad assorbire in poco tempo tutto il precipitato.

Soluzione al problema: visto e considerato che in caso di fenomeni “estremi” si allaga tutto e i fiumi esondano, evitiamo di mettere in pericolo cose e persone; quindi, allertiamo la popolazione, chiudiamo le scuole, riduciamo i servizi, etc. etc. Se e quando esonderà il fiume o si allagherà la città, così facendo, non ci saranno morti e i danni saranno “minori”.

Stando così le cose: è evidente lo stato di rassegnazione che si è creato di fronte ai fenomeni meteorologici e la conseguente totale incapacità di prevenirne gli effetti; utilizzando, tra l’altro, dei palliativi totalmente inutili.
La domanda più frequente in questi giorni è stata “scuole chiuse? E i commercianti?” Della serie, con questo sistema non salvi tutti… anzi non salvi nessuno (o quasi).

In un’Italia “ideale”…

Approccio al problema: le precipitazioni intense ci sono sempre state; negli anni, non si è registrato un significativo incremento sia dell’intensità dei fenomeni sia dell’accumulo pluviometrico complessivo.
Il territorio italiano però negli anni è cambiato molto; aree una volta verdi sono diventate completamente urbane, il deflusso dei bacini negli anni è mutato radicalmente, i tempi di corrivazione sono diminuiti sensibilmente (bacini più impermeabili).

Soluzione al problema: bisogna intervenire preventivamente attraverso “l’aggiornamento” delle opere idrauliche presenti e la realizzazione di opere nuove, efficaci ed efficienti. Casse d’espansione, aumento della capacità di deflusso della rete fognaria (ovviamente con costante pulizia della stessa), controllo periodico dei letti dei fiumi e dei relativi argini, istruire la popolazione su cosa fare e come fare in caso di abbondanti precipitazioni e/o di emissioni di allerte meteo da parte della Protezione Civile, etc. Solo attraverso questo “modus operandi” si giungerà a soluzioni efficaci ed efficienti con costi decisamente irrisori.

Curiosità (per dirne una)

La città di Parma è attraversata da un fiume (Parma) ed un torrente (Baganza), quest’ultimo sversa le sue acque nel Parma proprio nel centro della città. Sul Parma è stata realizzata una cassa d’espansione costata tra i 3 e i 5 milioni (gran parte del materiale asportato è stato venduto; quindi l’opera, al netto, è costata meno della cifra riportata). Per il Baganza c’era un progetto per una cassa d’espansione, ma non è stato mai realizzato.
A causa delle abbondanti piogge che hanno interessato tutto il bacino sia il Parma che il Baganza hanno raggiunto livelli idrometrici e di portata eccezionali (senza precedenti, dati alla mano): il Parma, grazie alla cassa d’espansione che ha invasato 12 milioni di m3 è riuscita a raccogliere le acque del Baganza senza esondare; poco prima della confluenza, il livello idrometrico del Baganza ha superato gli argini ed allagato parte della città con danni stimati per oltre 100 milioni (20 volte superiori al costo della cassa d’espansione realizzata sulla Parma). Non solo, se sul Parma non ci fosse stata la cassa d’espansione a quest’ora la città di Parma avrebbe fatto concorrenza a Venezia, insieme a Carrara, Genova, etc.
Questa “storiella” dovrebbe esser tramandata di padre in figlio: insegna perfettamente ciò che va fatto e cosa succede se non si fa.

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Published inAttualità

7 Comments

  1. flavio

    a proposito de “il territorio è molto cambiato” e “aggiornamento delle opere” segnalo la situazione del mio paesello

    dal tempo dei romani un piccolo avamposto sorto sulla riva del fosso (chiamare fiume una roba larga 6 metri e profonda 1 mi urta) accanto a, ed evidentemente a protezione de, il ponte, e cresciuto da allora fino a un mezzo secolo fa molto lentamente e più o meno secondo lo stesso schema, con edifici senza nulla sotto il piano di campagna, ed anzi diversi gradini per entrare

    poi arriva il 1951, la campagna e le strade sono inondate al livello della cintura ma nelle case, più alte, ci sono ben pochi danni

    ancora qualche anno e la motorizzazione di massa porta un grande aumento di traffico sulla strada, e, molto più che proporzionale, un aumento di gente che, specie nelle giornate di nebbia, manca il ponte e si infila dritta nel fosso (ovviamente il ponte era perpendicolare al fosso, ma la strada no, c’era da fare una curvetta per imboccarlo ed un’altra per riprendere la direzione dopo l’attraversamento), quindi si decide di coprirlo, trasformando la fogna nel viale alberato che è oggi il centro del paese

    la copertura però non è stata fatta appoggiando i tubi di amianto sul fondo e coprendoli, per una sezione dimezzata o anche più, ma scavando sotto il fondo e lasciando comunque una sezione anche più grande di quella originale, ed infatti non ha mai più dato problemi (anche perchè tutto il sistema viene pulito tre volte l’anno: dopo carnevale, per eliminare i resti della sfilata e la sabbia dell’inverno, a inizio settembre, per eliminare quelli della solita burrasca di ferragosto, e a fine ottobre, per togliere i resti della festa del paese e le foglie autunnali)

    pochi chilometri più in là invece c’è un fiume (anche questo non proprio enorme, 350 giorni l’anno è largo una decina di metri e profondo uno e mezzo) che invece ha seguito la via opposta, alzare continuamente gli argini, che ha sistematicamente superato, fortunatamente sempre nell’altra direzione, e, specie negli ultimi vent’anni, da quando hanno chiuso la cava che c’era nel fiume un po’ più a monte, è diventato proprio tutta un’alta roba, anche normalmente corre molto più alto della campagna attorno e sembra quasi vogliano farci un canale come quello di magdeburgo, e contemporaneamente, tutte le case, i negozi, gli uffici nuovi, e una parte dei vecchi, un po’ per la legge contro le barriere architettoniche, un po’ per recuperare un altro piano nel sottotetto, “sono scesi” al livello della strada, e sotto molti sono stati anche scavati garage interrati

    …se in futuro il fiume dovesse rompere quell’argine?

    invece di un’acqua alta “tipo venezia” da pozzi e fontanazzi sarebbe una vera cascata a piombare sul paese, magari su gente che sta sottoterra a cercare di salvare la macchina o che altro

    a chi dare la colpa?
    al cambiamento climatico?
    o ai tar/ sindaci/governi?
    o ai condoni/mafie/speculatori?

    insomma, per come la vedo io, serve a ben poco anche “adeguare il territorio” se poi la gente “si adegua all’adeguamento”
    era una delle pochissime cose che mi erano piaciute del governo monti, la responsabilità dell’interessato:
    ti fai la casa di marzapane in zona sismica e ti cade in testa? problemi tuoi!
    abiti in una golena e tieni in cantina un quadro di picasso? peggio per te!
    …peccato che non sia durata neanche una settimana :'(

  2. Le soluzioni adottabili per difendersi dalla “furia incontrollata dell’acqua” sono pressoché infinite; ciò che invece tende a zero è la nostra capacità e volontà di applicarle.
    Spesso ci si nasconde dietro alla famigerata burocrazia: “per fare questo c’è bisogno di questo permesso, dato da quella persona, supportato da quell’ente etc. etc.”; in realtà sono tutte scuse!

    La prova? Com’è possibile che in poco, pochissimo tempo si riescono ad ottenere i vari permessi per interrare un fiume e costruirci sopra e/o vicino strade e case; mentre, per realizzare uno scolmatore, una cassa d’espansione o altro bisogna attendere anni, decenni e spesso e volentieri la risposta è negativa?

    La colpa, a mio avviso, è di entrambe le parti: da una parte la popolazione, poco sensibile poiché poco informata sull’importanza di determinate opere e/o strutture; dall’altra, le amministrazioni che un po’ per guadagno un po’ per ignoranza non si curano di intervenire preventivamente per tutelare il territorio e speculano “sull’ignoranza” della gente.

    E la cosa buffa è che se servono 3-5 milioni per realizzare una cassa di espansione (o altro), i fondi non ci sono; mentre, dopo i disastri, incredibilmente saltano fuori decine e decine di milioni.
    Peccato però che le decine di milioni di euro utilizzate per “pulire e sistemare” sono sempre insufficienti per risanare tutti i danni, che ammontano a centinaia di milioni di euro; mentre, sarebbero state più che sufficienti per realizzare un opera che avrebbe evitato i danni per centinaia di milioni di euro!
    [Il Comune di Parma ha dichiarato un danno prossimo a 100 milioni di euro; la cassa di espansione sul Baganza, sarebbe costata 20 volte di meno, a star larghi…]
    Saluti

    • Maurizio Rovati

      [Com’è possibile che in poco, pochissimo tempo si riescono ad ottenere i vari permessi per interrare un fiume e costruirci sopra e/o vicino strade e case; mentre, per realizzare uno scolmatore, una cassa d’espansione o altro bisogna attendere anni, decenni e spesso e volentieri la risposta è negativa?]

      La risposta è nella domanda.
      Costruire un centro commerciale o industriale o residenziale, porta reddito (sia immediato che a lungo termine) nelle casse degli enti amministrativi i quali sono incentivati, per un’evidente sinergia, a concedere spazi e permessi.
      Certe opere invece, a prima vista, sono un onere passivo sia a breve che a lungo termine, e comunque si rischia sempre che vengano realizzate male (vedi quel muretto di contenimento che, a Carrara, da progetto avrebbe dovuto durare 200 anni) o “contro” altre spese più importanti e urgenti.
      Se aggiungiamo che l’emergenza e il risarcimento danni vengono coperti con fondi nazionali, non mi meraviglia affatto che ci troviamo permanentemente in questa situazione di dissesto idrogeologico e che, quindi, il capro espiatorio perfetto sia il clima-pazzo-a-causa-dell’uomo per cui, alla fine, bisogna aumentare le tasse .

  3. Sì, ma sono punti incompleti. A Genova non penso sia possibile costruire casse di espansione perché non c’è spazio. Per il Bisagno c’è l’ormai famigerato scolmatore, ma ci vorrà molto tempo per completarlo; è inutile nascondersi dietro un dito, le pastoie burocratiche c’erano ieri e ci saranno anche domani. Nel frattempo la situazione è arrivata al punto di avere tre allarmi meteo (sinora) in poco più di un mese. Le misure di emergenza, volte ad evitare che ci siano persone esposte al pericolo, sono fondamentali e devono essere attuabili in tempi brevissimi. Concordo che la soluzione non è dare Allerta 2 come se piovesse (pun intended), se non altro perché prima o poi si avrebbe un effetto assuefazione, ma non si può neanche fare semplicemente niente. Quello che servirebbe sono reti di allerta immediata. Non mi sembra complicato mettere un rilevatore a Molassana o dintorni (la prima parte della città in cui il Bisagno entra in area urbana) in grado di attivare postazioni di allarme fisse (lampeggiatori e sirene) a valle. Stessa cosa per i bacini più piccoli, come il Fereggiano e molti altri. Anche un avviso di pochi minuti può essere utile se la popolazione è contemporaneamente istruita a come comportarsi. Per i negozi c’è poco da fare, se non assicurarsi che tutti abbiano paratie pronte da montare in caso di necessità. Per le auto (che non è un danno da poco: si parla di centinaia di auto, quindi siamo nell’ordine del milione di euro) le zone a rischio dovrebbero essere servite da un parcheggio multipiano da usare in caso di necessità (Genova è una città con scarsità di spazio, ma nella zona del Bisagno c’è l’area recentemente dismessa del mercato comunale). Dal mio punto di vista, vedo un gran numero di piccoli interventi ad hoc che si potrebbero fare in tempi brevi; ma richiedono comunque una supervisione che in questo momento nessuno è in grado di fare.

    • Manuel Guzzi

      Troppa burocrazia e troppa possibilità di mettere veti di tutti i tipi da parte di enti pubblici e non. Quando ci sono impellenti necessità di Incolumità pubblica, il governo deve essere in grado di decidere velocemente, sovrastando qualsiasi altra autorità intermedia. Quella italiana, più che una democrazia, assomiglia tanto ad una collettiva licenza di farsi gli affari propri, a discapito della collettività.

  4. donato

    Inutile dire che condivido in toto l’approccio e le soluzioni delineate nella situazione “In un’Italia ideale…”. 🙂
    Quella descritta, però, sarebbe una situazione raggiungibile in un tempo più o meno lungo come dimostra la “curiosità” raccontataci da P. Leoni: basterebbe cominciare a dirottare risorse economiche sulle opere di adeguamento del territorio alle mutate situazioni idrologiche. Non si tratta di fantascienza.
    Propongo qualche soluzione: dotare obbligatoriamente le nuove costruzioni di vasche di invasamento a deflusso limitato per compensare la diminuzione di permeabilità del terreno (di natura assolutamente antropica e non naturale, badiamo bene); regimentare le acque di deflusso provenienti dalle principali infrastrutture (strade, piazze e via cantando) in modo che pervengano in modo controllato nei punti di recapito (ancora vasche di invasamento a deflusso limitato); manutenzione delle opere idrauliche realizzate o da realizzare in modo da mantenerne l’efficienza nel corso del tempo; compensare la limitazione delle capacità di invasamento dei corsi d’acqua derivante dall’occupazione scellerata delle aree golenali e dalla realizzazione altrettanto scellerata di argini artificiali che hanno ristretto il letto dei corsi d’acqua per proteggere insediamenti realizzati, scelleratamente, in aree che in passato venivano regolarmente (con gli ovvi tempi di ritorno) invase dalle acque di piena.
    .
    Aggiungo anch’io una curiosità.
    Nel 1949 Benevento fu colpita da un disastroso alluvione che distrusse parte della città ( http://www.youtube.com/watch?v=_S1cY-RPqqg ). La parte colpita era un’area di espansione della città che si trovava (e si trova tutt’ora) a valle del fiume Calore. Essa cominciò ad essere costruita nel corso del 1800 e occupò quelli che fino ad allora erano campi coltivati. In precedenza la città non era mai stata colpita da alluvioni in quanto si sviluppava a monte del fiume (notoriamente l’acqua non va in salita, ma in discesa e questo lo sapevano bene tanto gli antichi Sanniti che i Romani, di meno i loro posteri 🙂 ). Dopo di che furono realizzati argini imponenti e la città ha continuato a svilupparsi a valle del fiume (anche in altre aree oltre quella danneggiata nel 1949). Conoscendo il territorio sono convinto che, prima o poi, il Calore allagherà di nuovo quelle zone: bisogna solo aspettare un periodo di piogge appropriato, con il giusto periodo di ritorno. Io ho ereditato un appartamento in quella zona: meno male che si trova al quinto piano. 🙂
    Ciao, Donato.

    • donato

      Per un abbaglio ho “mascolinizzato” l’alluvione: invece del femminile ho usato il maschile. Mi scuso per lo strafalcione.
      Ciao, Donato.

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