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Energia? Dipende da come gira il vento…

Ho scritto gira e non tira nel titolo di questo post per un motivo ben preciso. Non ho intenzione di tediarvi con l’ormai acquisita scomoda verità dell’energia eolica disponibile solo quando tira vento, su questo mi pare si sia fatta chiarezza da un pezzo. Si tratta più che altro di riprendere un articolo uscito su assoelettrica.it, in cui si fa una disamina di come, scienza e conoscenza per come sono rappresentate presso l’IPCC, abbiano seguito il vento più che la ragione sui temi energetici.

Il panel, lo sappiamo, nasce come organismo politico con il compito (più precisamente uno scopo e la differenza non è sottile) di accertare il livello di responsabilità dell’uomo nelle dinamiche del clima, identificare delle soluzioni al problema e proporne l’attuazione. Data per scontata l’ipotesi (scopo, non compito) che l’uomo abbia in effetti un peso discriminante sul clima attraverso le emissioni di gas serra, si è identificato il problema nella necessità di eliminarle. Siccome la maggior parte delle emissioni deriva dalla produzione di energia, eliminarle vuol dire cambiare sistema di approvvigionamento. Questo è stato chiaro sin dal principio, cioè sin dal primo report che l’IPCC ha rilasciato nel 1990.

Da allora di report ne sono arrivati altri quattro, per un totale di cinque, più alcune uscite estemporanee su temi specifici, eventi intensi e resilienza, scenari di emissione e, soprattutto, per quel che attiene all’argomento di oggi, energia. Ora, cambiare sistema di approvvigionamento energetico, eliminata la bacchetta magica, vuol dire intervenire sulle fonti di energia. Dovendo bandire quelle fossili, si è guardato soprattutto alle rinnovabili. Ma, è interessante leggere da un lavoro fatto dalla ricercatrice Suzanne Waldman, come sia mutato nel tempo l’atteggiamento dell’IPCC, che ricordiamo NON è un organismo scientifico ma politico, nei confronti dell’energia nucleare, che notoriamente è attualmente l’unica fonte energetica a emissioni zero, con l’aggiunta del potenziale di soddisfare percentuali di fabbisogno cui le rinnovabili neanche si avvicinano. Naturalmente, è d’uopo sottolineare che anche l’energia nucleare ha i suoi problemi, ma questi sono discorsi facili per noi, perché tanto sappiamo che non l’avremo mai, per cui non si può essere tacciati di farci su dell’attivismo.

E così, da risorsa che nel breve termine avrebbe potuto favorire la transizione energetica nei primi due report (1990 e 1996), pur con i primi caveat inerenti i temi della sicurezza e della conservazione delle scorie comparsi nel secondo, l’energia proveniente dall’atomo resta sì importante nel terzo report (2001), ma non se ne deve aumentare il dispiegamento. Nel quarto report  (2007), l’idea resta più o meno quella, nucleare sì ma con cautela, non più di tanto e soprattutto non più di quello che c’è già; piuttosto, ecco comparire le prime fantastiche previsioni di sviluppo siderale delle rinnovabili. Vaticinio culminato nel 2011, anno di Fukushima e annus horribilis dell’energia nucleare, con la ‘previsione’ del 77% della domanda di energia mondiale soddisfatta dalle risorse rinnovabili entro metà secolo. Uno di tanti scenari, ma sicuramente il più gettonato, usciti con lo special report dedicato per l’appunto alle fonti energetiche. Per finire, con il quinto e più recente report del 2013, forse colpiti da una crisi di realismo, gli esperti dell’IPCC reintegrano l’energia nucleare tra le fonti a zero o basse emissioni.

Cosa è successo nel frattempo? Due cose soprattutto. Le fonti rinnovabili sono letteralmente esplose, fino a che non è scoppiata anche la bolla delle politiche incentivanti. E, tra varie rinunce e ripensamenti sull’atomo, il ricorso al carbone, di gran lunga la fonte energetica a più alte emissioni, ha continuato a veder crescere la sua percentuale nel mix energetico globale.

Ed è così tutt’oggi, nonostante negli ultimi anni si sia prepotentemente affacciato sullo scenario lo shale gas (e lo shale oil), che sta dando ormai una quasi totale indipendenza energetica agli Stati Uniti, nonostante il dumping sui prezzi al barile messo in campo dai produttori di petrolio e nonostante i timori che suscita sull’impatto ambientale. E volete sapere, tra comitati del no che da noi sorgono già anche se non sappiamo neanche cosa sia lo shale gas e tra nuclei di rifugiati del picco del petrolio che fanno opposizione, chi c’è in prima fila a sostenerlo? In effetti ne abbiamo parlato qualche giorno fa, ma questo aspetto ci era sfuggito. Carlo Rubbia, Nobel per la fisica, già sostenitore del fallito progetto Desertec e novello (quasi) scettico sui temi del clima che cambia. Come cambia il vento.

Basta così per oggi, devo andare a installare le luci di Natale, ovviamente rigorosamente prodotte in Cina e alimentate da un mix energetico di cui non conosco la natura ;-).

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Published inAttualità

Un commento

  1. Mario

    Fusione, fusione, fusione e ancore fusione… nucleare, secondo me.
    🙂

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