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La Cina e il suo ‘esplosivo’ accordo sul clima

Quanto segue l’ho ricevuto via mail da Agostino Mathis, che ha già firmato degli interventi sulle nostre pagine nel recente passato. Con la sua autorizzazione ve lo propongo, rimandandovi ad alcune considerazioni alla fine del testo. Buona lettura.
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Ritorno sull’argomento delle prospettive del nucleare in Cina, a seguito del noto accordo tra Cina e USA sul clima. Come ricorderete, la discussione era nata a partire dall’articolo “Il piano cinese antismog: mille centrali atomiche” (Libero, 25 novembre 2014), che comunque allego nuovamente per chi non l’avesse letto.
In tale articolo si riportava il parere del premier cinese Xi Jinping, secondo cui, tra le tre opzioni per soddisfare gli obiettivi di riduzione di emissioni di gas-serra al 2030, e cioè eolica, solare, e nucleare, la meno costosa sarebbe stata la nucleare.

Il confronto veniva fatto tra: 50.000 parchi solari (presumibilmente ciascuno da 100 MW nominali e per una superficie occupata di 100 ettari, e quindi in totale 5.000 GW di potenza nominale e una superficie occupata di 5 milioni di ettari, pari a 50.000 kmq); oppure 500.000 torri eoliche (presumibilmente ciascuna da 6 MW nominali, e quindi in totale 3.000 GW di potenza nominale e un territorio impegnato dell’ordine di 500.000 kmq); oppure 1.000 impianti nucleari (presumibilmente ciascuno da almeno 1 GW nominale, e quindi in totale circa 1.000 GW di potenza effettiva e un territorio impegnato dell’ordine di un migliaio di kmq).

Si noti che le tre opzioni sono paragonabili in quanto il confronto viene fatto non sulle potenze nominali, ma sulla producibilità in energia, tenendo conto del rispettivo fattore di carico. Allora i 3.000 GW nominali dell’eolico, con un fattore di carico del 30%, si riducono a circa 1000 GW effettivi, mentre i 5.000 GW nominali del solare, con un fattore di carico del 20%, si riducono anch’essi a circa soltanto 1.000 GW effettivi. Un impianto nucleare può invece avere un fattore di carico anche superiore al 90%, e quindi la potenza effettiva è vicina a quella nominale. Inoltre, le fonti intermittenti e non programmabili (come la solare e l’eolica) richiederebbero che in rete fosse disponibile circa altrettanta potenza programmabile per stabilizzare il servizio, e tale potenza in pratica dovrebbe ancora essere fornita da fonti fossili (tipicamente, gas naturale), o da grandi e costosi sistemi di accumulo, ad oggi non prevedibili (salvo, ove disponibili, i noti sistemi idroelettrici di pompaggio).

Lo schema di confronto sopra riportato è comunque poco realistico, in quanto certamente la Cina cercherà di valorizzare al meglio e contemporaneamente tutte le possibili opzioni tecnologiche in grado di produrre energia “pulita”. In proposito, posso ora inviarVi in allegato una analisi predisposta dal Breakthrough Institute, che tiene conto dei programmi già in corso o stabiliti, non solo in Cina ma anche in USA ed in Unione Europea, e della effettiva capacità realizzativa dei rispettivi sistemi industriali: si tratta del rapporto “US-China Climate Deal Underscores Need for Substantial Energy Innovation” The Breakthrough Institute – December 9, 2014.

Nella Figura 1 di questo rapporto trovate i diagrammi storici, e le proiezioni future basate sui programmi ad oggi annunciati, della frazione di energia primaria “pulita” (cioè, a bassa intensità di carbonio), per ciascuno dei tre grandi attori: Cina, USA e Unione Europea. Come si vede, tutte e tre le linee di tendenza, ormai definite fino al 2030, presentano un andamento che tende al 2050 ben al disotto del campo di valori ritenuto necessario dagli scenari di mitigazione dei cambiamenti climatici per mantenere l’aumento di temperatura atmosferica entro limiti accettabili (e cioè, frazioni di energia primaria “pulita” comprese tra il 70% e il 100%). Cina ed Unione Europea da ora al 2030 si muoverebbero comunque con la stessa pendenza positiva (sia pure con l’Europa che parte da un livello più alto), mentre gli USA sarebbero quasi stagnanti (ciò probabilmente anche a causa del “boom” degli idrocarburi non-convenzionali, che costituiscono una dura competizione economica contro tutte le altre opzioni energetiche…).

Come noto, la Cina si è posta ora l’obiettivo di raggiungere una frazione del 20% di energia primaria “pulita” per il 2030: molti commentatori (in particolare, gli italiani, quasi tutti “politicamente corretti”, cioè succubi del “tabù” antinucleare…) vanno scrivendo che quel 20% sarà ottenuto con vento e sole. Esaminando invece lo “Energy Development Action Plan 2014-2020”, recentemente approvato dal Governo cinese, risulta che nei prossimi decenni il principale contributo alla decarbonizzazione in Cina verrà dall’energia nucleare; infatti, anche se si prevede l’installazione di immensi parchi eolici e solari, essi sono incapaci di fornire alti fattori di carico e difficili da gestire in rete. Tutto ciò risulta chiaro dalle Figure successive del rapporto in esame, in particolare le Figure 4 e 5, che sono relative alla “Generation”, cioè all’energia effettivamente prodotta (e non alla “Generation Capacity”, cioè alla potenza nominale).

A seguito dell’incidente di Fukushima, la Cina aveva rivisto i piani di costruzione delle centrali nucleari, nel senso di sospendere per ora quelle previste all’interno del territorio (cioè su fiumi o laghi), e di procedere invece con quelle sul litorale marino, ma passando al più presto dai reattori di II generazione a quelli di III generazione (come l’EPR di Areva o l’AP1000 di Toshiba-Westinghouse, ambedue in corso di rapida “cinesizzazione”). Attualmente la Cina ha già impianti nucleari per 19 GW in linea e per 26 GW in costruzione. Si prevede che ne avrà in linea per 58 GW al 2020 e per ben 150 GW al 2030 (più del doppio dell’attuale potenza nucleare installate in Francia). Ciò richiederà uno sforzo mai visto nella storia dell’industria nucleare mondiale: mettere in linea 131 GW nucleare in 15 anni! Tuttavia ormai la Cina ha una base industriale ed economica, anche nel settore nucleare, ben superiore a quella degli USA o della Francia ai tempi dei loro “boom” di costruzioni nucleari.

In ogni caso la Cina, anche nei prossimi due decenni, continuerà ad aggiungere ogni anno una produzione elettrica da fonti fossili (carbone e gas) ben superiore a quella ottenibile da sole e vento o da nucleare! In conclusione, nelle Figure 10 e 11 del rapporto si possono vedere i diagrammi, in valori assoluti e relativi, delle diverse fonti di energia primaria in Cina fino al 2030: la fonte di energia che crescerà più rapidamente, sia pure da valori iniziali molto bassi, sarà la nucleare, ma il carbone al 2030 non arriverà ad un picco, bensì ad un “plateau” (che potrà durare anche molti anni, tenuto conto delle centinaia di nuovissime centrali a carbone messe in linea in questi anni, e con una vita utile di molti decenni).

Appare quindi evidente che le principali difficoltà che si oppongono al raggiungimento degli obiettivi posti dai climatologi sono non tanto o non solo di carattere politico, ma sono oggettivi limiti insiti nelle tecnologie e nelle capacità industriali ed operative per la loro implementazione a livello globale ed in tempi adeguati per far fronte ai cambiamenti climatici.

Di conseguenza, sembra inevitabile che le concentrazioni di gas-serra (che, si tenga presente, sono l’integrale delle emissioni) continueranno a crescere rapidamente e per lungo tempo. Basta infatti considerare che, dopo la Cina, anche la penisola indiana (che anch’essa “pesa” come popolazione circa venti volte l’Italia), e poi il Sud-Est asiatico, e poi l’Africa, non potranno che seguire la transizione energetica attuata dalla Cina negli ultimi vent’anni, inizialmente basata sul carbone. Vi è quindi una probabilità molto alta che la temperatura superficiale globale media del Pianeta superi di ben oltre i 2°C il livello preindustriale entro la fine di questo secolo, e continui a crescere anche in seguito. Date le costanti di tempo di riassorbimento dei gas-serra, in particolare della CO2, è inoltre chiaro che un ritorno del “Sistema Clima” alle condizioni preindustriali (o comunque alle condizioni “naturali” che si sarebbero verificate senza l’intervento antropico) non potrà avvenire prima di molti secoli.

Se si ritiene indispensabile limitare l’aumento della temperatura non oltre i 2°C al 2100 al fine di evitare rischi inaccettabili per l’ecosistema terrestre (obiettivo che ora sembra condiviso da tutti i principali paesi del mondo, tra cui i grandi paesi in via di rapido sviluppo), allora appare confermata l’inevitabilità di interventi “attivi” sul clima. In una simile prospettiva, a partire dai paesi più evoluti dovrebbe essere assegnata un’alta priorità allo studio ed alla sperimentazione di tutti i mezzi in grado di fronteggiare le conseguenze dell’effetto-serra. Queste problematiche si possono ritenere oggetto della disciplina denominata Geoengineering (un capitolo della quale è la Climate Engineering). In sostanza, si tratta di considerare il “globo terracqueo”, costituente il Pianeta Terra, come un “ambiente” da “climatizzare” con le più evolute ed efficienti tecnologie dell’ingegneria termofluidodinamica, della bioingegneria e della geochimica.

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Quanto abbiamo appena letto riguardo le politiche energetiche della maggiore potenza economica mondiale, è un classico bagno di realismo, anche se opportunamente tinto di verde. A mio modestissimo parere, la scelta di puntare verso l’energia nucleare è obbligata dalla necessità di disporre di un sistema efficiente e affidabile, che non colori il cielo di grigio più di quanto non stia già accadendo con il massiccio impiego del carbone. Un grigio che, sia ben chiaro, non ha niente a che fare con la CO2, che è sì un gas serra, ma è trasparente e non inquinante, con buona pace di gli ha affibbiato questa qualità. Se poi queste policy mettono anche a tacere il resto del mondo in materia climatica tanto meglio. Viene comunque il dubbio che in Cina, dove la sanno lunga, sappiano anche che poggiare le policy energetiche, sicuramente vitali per lo sviluppo di un Paese, su proiezioni non solo inverificabili nel lungo periodo ma che nel breve si stanno dimostrando inservibili, è una strategia perdente. Non a caso gli USA, altra potenza mondiale, hanno sposato la causa climatica solo da quando si sono resi conto di potersela permettere grazie all’abbondanza di gas naturale che sta derivando dalle nuove tecniche estrattive del fracking. Noi altri, che non le usiamo perché ne temiamo l’impatto ambientale e che abbiamo rinunciato al nucleare per scelta ideologica, siamo qui a gioire per il traffico che è tornato ad aumentare grazie al dumping sul prezzo del petrolio che l’Opec sta operando nel tentativo di recuperare quote di mercato e, se riusciranno nel loro intento, saremo nuovamente in balia delle onde, più di quanto non siamo già. Alla faccia del mezzo punto di PIL che da questo gioco al ribasso potrebbe derivare. Il tutto, dicono, per evitare che si verifichi uno scenario climatico che sarà pure quello che va per la maggiore, ma ha il grosso difetto di non avere niente in comune con la realtà. Per quanti anni ancora dovremo vedere allargarsi la distanza tra le proiezioni e il mondo reale prima che qualcuno se ne renda conto?

 
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