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Più AGW meno grano, ma nell’anno (forse) più caldo la produzione è al record

Data la risonanza mediatica che ha avuto, difficilmente vi sarà sfuggita l’anticipazione che l’Organizzazione Meteorologica Mondiale ha rilasciato una decina di giorni fa: secondo le loro stime, il 2014 sarà l’anno più caldo di sempre, ovvero quello in cui la temperatura media del pianeta è stata più alta da quando si fanno misure oggettive e da quando si suppone di disporre di serie storiche sufficientemente affidabili. Si tratta di un concetto di ‘sempre’ come comprenderete piuttosto relativo, così come molto relativa è la robustezza scientifica di una classifica che vede gli anni separati da centesimi o millesimi di grado quando l’errore della misura è un ordine di grandezza superiore. Ciò non toglie però, che il 2014 nel suo complesso sarà probabilmente annoverato tra quelli con la temperatura media superficiale più elevata. Come minimo un primus inter pares, con ciò intendendo che gli anni che lo hanno preceduto lo sono stati mediamente altrettanto.

Per cui, pur essendo palese il fatto che di crescita delle temperature statisticamente misurabile non si possa parlare più da oltre tre lustri, quello che stiamo vivendo è un periodo che le osservazioni della temperatura superficiale (che comunque non sono l’integrale del sistema clima) identificano come caldo. O, se preferite, un periodo in cui sono in evidenza gli effetti sulle temperature superficiali del riscaldamento globale, antropico o meno che sia.

Un Global Warming che dovrebbe proseguire, almeno secondo i modelli climatici, sebbene si tratti degli stessi modelli che non hanno previsto che l’aumento delle temperature avrebbe subito una battuta d’arresto su cui si è inoltre attivato un acceso dibattito scientifico. Con questa ipotetica prosecuzione, fanno sapere dei ricercatori che hanno recentemente pubblicato un lavoro su Nature Climate Change, dovrebbe arrivare anche un serio impatto sulla produzione globale di cereali, su cui pende la stima di un calo del 6% per ogni grado centigrado di temperatura che il pianeta dovrebbe subire.

Rising temperatures reduce global wheat production

A questa conclusione gli autori della ricerca sono giunti impiegando un set di 30 modelli di simulazione della produzione cerealicola testati con osservazioni sul campo per un range di temperature che va da 15 a 32°C. Nei test, leggiamo dall’abstract, le discrepanze più significative tra simulazioni e resa reale dei campi sono stati riscontrati sulla parte superiore dell’intervallo considerato, cioè verso le temperature più alte. Ciò significa, o potrebbe significare, che più le temperature crescono, meno funzionano i modelli. Non esattamente una bella notizia se il problema è capire cosa potrebbe succedere in un mondo più caldo.

Ora, al di là del fatto che una cosa è la temperatura media superficiale globale e altro sono le variazioni della temperatura stessa a livello regionale, ossia per esempio dove effettivamente si coltiva, viene in mente un altra cosa. Più o meno in contemporanea con il comunicato stampa della WMO, ce n’è stato un altro della FAO, un lancio che ha accompagnato l’uscita dell’ultimo rapporto Crop Prospect and Food Situation, nel quale si legge che il 2014 – ripeto forse il più caldo di sempre – vedrà anche un altro record, quello della produzione mondiale di cereali. Non solo, grazie al nuovo record, anche le scorte faranno segnare la consistenza più elevata degli ultimi 15 anni. Evidentemente deve essergli sfuggito qualcosa. Così come sfugge da anni a quanti prospettano disastri alimentari di vario genere in conseguenza di altrettanto vari disastri climatici, che la produzione di cibo su questo pianeta sull’orlo del baratro non ha mai smesso di crescere, facendo segnare record su record soprattutto nelle ultime decadi, ossia quelle in cui sono aumentate le temperature. Certamente ha giocato un ruolo determinante l’innovazione tecnologica, ma ho il sospetto che i periodi caldi siano climaticamente favorevoli per le colture, voi che ne dite?

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Published inAttualità

2 Comments

  1. luigi mariani

    Premetto che non essendo abbonato a Nature Climate Change non posso leggere l’articolo (nei prossimi giorni cercherò di procurarmelo) per cui mi limito qui di seguito a commentare l’abstract e le considerazioni di Guido.

    Inizierò osservando che se prendiamo le serie storiche FAO delle rese globali dei cereali (di qui in avanti Yfao) dal 1962 al 2013 osserviamo una crescita relativamente costante di 0.04 t/ha, per cui dalle 1 t/ha del 1961 si passa alle 3.64 t/ha del 2013. E’ una progressione fantastica e che giustifica il fatto che la percentuale di esseri umani con problemi di sottonutrizione è calata nello stesso periodo dal 37% all’11% della popolazione mondiale
    Se prendiamo le serie storiche delle temperature globali di Hadcrut4 (Xcru) troviamo che nello stesso periodo le temperature sono aumentate di 0.45°C, anche se in modo molto meno monotono rispetto alle produzioni cerealicole (come ben sappiamo).
    Se analizziamo la correlazione lineare esistente fra le due serie otteniamo l’equazione Yfao = 0.3249 Xcru – 0.5476 con un R2 del 75%. Ciò indica che le temperature sono correlate positivamente con la produzione. Inoltre applicando il test tau di Kendall http://en.wikipedia.org/wiki/Kendall_tau_rank_correlation_coefficient) ricaviamo che la correlazione è altamente significativa (confidenza superiore al 99%).

    Possiamo pertanto dire che gli ultimi 53 anni di dati danno ragione a Guido ed al contempo falsificano la frase finale dell’abstract e cioè “Global wheat production is estimated to fall by 6% for each °C of further temperature increase and become more variable over space and time.”. In altri termini, non solo non c’è il calo del 6% (che su 3.64 t sono 218 kg) per ogni °C di aumento ma viceversa dll’equazione sopra riportata si evince che si ha un aumento di 324.9 kg per °C di aumento delle temperature.
    E’ ovvio altresì che per ogni processo biologico c’è un minimo, un optimum ed un massimo, per cui immagino che l’aumento delle rese non possa porseguire all’infinito al crescere delle temperature globale (crescere che, giova ricordarlo, si è interrotto nel 1998). Tuttavia rammento anche che la tecnologia ha tantissime frecce al proprio arco (nuove varietà, agrotecniche adattate, ecc.).
    In conclusione lascio a voi ogni deduzione ulteriore. Mi limito a dire che, di fronte una realtà fattuale così diversa da quanto gli autori (che poi sono una marea) ricavano, mi pare che il titolo e l’abstract siano quantomeno azzardati.

  2. Fabio Vomiero

    E non potrebbe essere altrimenti visto che la produzione di cereali dovrà sostenere una popolazione sempre più numerosa che ha già abbondantemente superato i sette miliardi e dovrebbe raggiungere i nove miliardi entro il 2040. Con il variare delle condizioni climatiche tutti gli ecosistemi si riadattano di conseguenza, in generale, pertanto l’informazione contenuta in questo studio di una possibile diminuzione di resa netta del grano potrebbe anche starci, magari contemporaneamente aumenterà la produzione netta di qualcos’altro. Tuttavia il fatto che il 2014 abbia segnato probabilmente il record di produzione (distinguere eventualmente tra grano e cereali in genere, non credo faccia molta differenza), come dice bene Guidi, ci porta però da un’altra parte, verso un ambito più socioeconomico che include la gestione delle pratiche agricole e l’innovazione tecnologica. E’ questo secondo me che fa e farà la differenza. Dal punto di vista dei cambiamenti climatici è ovvio che un campo di mais in Veneto risponderà diversamente rispetto ad un analogo campo di mais dell’Ucraina per esempio, il problema è che nessuno è ancora in grado di poterlo prevedere. Saluto sempre tutti cordialmente.

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