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IPCC all’italiana, ovvero, come ti salvo la Penisola

Con quello di cui parliamo oggi avevo pensato di passarci le vacanze. Non avendole praticamente fatte, i buoni propositi sono andati a farsi benedire e quindi temo che dovrò passarci qualche nottata. Dal momento che non so né quando inizierò, né quanto ci vorrà, ho deciso di chiedervi di condividere lo sforzo.

Il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha pubblicato tre documenti molto corposi che in pratica rappresentano qualcosa di molto simile ad un report dell’IPCC in salsa tricolore.

  1. “Rapporto sullo stato delle conoscenze scientifiche su impatti, vulnerabilità ed adattamento ai cambiamenti climatici in Italia” (pdf, 19.632 MB);
  2. “Analisi della normativa comunitaria e nazionale rilevante per gli impatti, la vulnerabilità e l’ adattamento ai cambiamenti climatici” (pdf, 2.677 MB);
  3. “Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici” (pdf, 13.694 MB).

Con questa pubblicazione si inaugura la stagione di una strategia nazionale sui cambiamenti climatici, dallo stato della conoscenza, agli impatti, alla mitigazione, alla legislazione internazionale e nazionale.

Qui di seguito il breve sommario che sulle pagine del MATTM accompagnano la pubblicazione:

In particolare, il “Rapporto sullo stato delle conoscenze”, frutto del contributo dei maggiori Istituti ed Enti di ricerca, Fondazioni e Università competenti in materia, coordinati dal Centro Euro Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici, analizza le variabilità climatiche passate, presenti e future nonché gli impatti e le vulnerabilità nel nostro Paese.L’”Analisi della normativa comunitaria e nazionale rilevante per gli impatti, la vulnerabilità e l’adattamento ai cambiamenti climatici” presenta l’esame della normativa comunitaria in materia incluso il suo recepimento a livello nazionale. Illustra, inoltre, la “Strategia di adattamento europea” adottata ad aprile 2013 dalla Commissione Europea, gli strumenti esistenti per l’integrazione dell’adattamento nelle varie politiche settoriali comunitarie (il mainstreaming dell’adattamento), nonché offre una panoramica delle strategie nazionali di adattamento adottate in numerosi Paesi europei.Il documento “Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici” identifica i principali settori che subiranno gli impatti del cambiamento climatico, definisce gli obiettivi strategici e le azioni per la mitigazione degli impatti. Questo documento, base di lavoro per la definizione della “Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici”, è stato rielaborato a seguito della consultazione pubblica, al fine di considerare i suggerimenti e le osservazioni di tutti gli stakeholders.

Per la produzione di questi rapporti è stata conseguita un’importante azione di coordinamento che in futuro dovrà essere messa a sistema, per colmare i gap conoscitivi esistenti con l’auspicio di superare gli attuali limiti normativi e organizzativi del monitoraggio meteo-climatico in Italia. Sarà altresì necessario assicurare il flusso di tutte le informazioni necessarie per una verifica dei progressi futuri in relazione alla mitigazione e riduzione dei rischi causati dal cambiamento climatico.

Vi invito quindi a consultarli e, ove doveste ritenerlo utile, a stimolare la discussione sulle nostre pagine. Dal canto mio, inizierei con un grande classico, le temperature, che del resto sono ovviamente trattate in cima al report. Quella qui sotto è la curva delle temperature medie in Italia dal 1800 ai giorni nostri.

T_medie Italia
Figura 1.2: Temperatura media annuale per l’Italia nel periodo 1800–2011. I dati sono espressi in termini di anomalie rispetto al periodo 1961-1990. La curva rappresenta la serie che si ottiene mediante l’applicazione un filtro gaussiano passa-basso (Fonte: ISAC-CNR).

La curva viene approfonditamente analizzata nel capitolo dedicato, con l’inclusione di una tabella che mette in comparazione i trend di diversi periodi alla scala nazionale e globale. Il risultato è che da noi la temperatura è aumentata di più di quanto non abbia fatto a scala globale, che l’ultimo decennio è stato il più caldo e che dalla metà degli anni ’80 in poi la temperatura media del Belpaese è sempre stata superiore alla media di riferimento, che nella fattispecie è il trentennio 1961-1990.

Cosa si vede in questa serie?

  1. Il trend positivo ha inizio nel 1860;
  2. L’andamento è chiaramente oscillante, ma ci sono periodi (per esempio 1908-1930 circa) in cui la pendenza positiva è paragonabile a quella dell’ultimo ventennio del secolo scorso, sia per rateo che per durata;
  3. Nonostante sia ovviamente impossibile riportare i dati globali alla scala nazionale, anche per questa serie si registrano la lieve inversione del trend del secondo dopoguerra e la pausa che il riscaldamento glob, no, nazionale si è preso dall’inizio del nuovo secolo.

Circa il punto uno c’è da chiedersi dove fosse la forzante antropica 150 anni fa. Sul punto due sussiste la stessa domanda che ancora non ha trovato risposta relativa alle serie storiche globali: se prima non è stato il forcing antropico a far aumentare le temperature, perché avrebbe dovuto esserlo poi? E infine il punto tre, purtroppo ignorato in questo report più di quanto non lo sia stato nel report IPCC, sembra proprio che nessuno abbia notato che la temperatura media ha smesso di crescere anche da noi, proprio quando ha smesso anche a scala globale.

Naturalmente, questa è solo una piccola anticipazione, nei prossimi giorni faremo qualche altra breve analisi. Ho come l’impressione che ci sarà parecchio da discutere.

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Published inAttualità

3 Comments

  1. Uberto Crescenti

    Basta leggere che il documento è stato curato dal Centro Euro Mediterraneo per capire che siamo in piena sintonia con l’IPPC. Si da per scontato che stiamo andando verso un aumento della temperatura globale, cosa che non è possibile prevedere. Mi viene in mente l’opinione di Matt Ridley che nella sua lectio magistralis tenuta presso la ROOYAL society of Arts di Edimburgo il 31 ottobre 2011 ebbe a dire: ” Mai contare sul consenso di esperti riguardo al futuro. Gli esperti sono degni di essere ascoltati sul passato. La futurologia è pseudoscienza”. Ma questi signori devono in qualche modo giustificare la loro organizzazione.
    Buone feste ed auguri.

    • Luigi Mariani

      Caro Uberto,
      affermare l’idea che il clima proceda per discontinuità si sta rivelando durissimo perchè IPCC ed accoliti pensano che tale evidenza neghi il nesso causale con CO2. Se tuttavia si pensa a quanto tempo ci ha messo ad affermarsi la teoria eliocentrica (dalla sua prima enunciazione ad opera di Aristarco di Samo – III secolo a.C. – si è dovuto attendere fino al XIX secolo) penso che possiamo pazientare ancor un altro poco…..
      Per ora invito Guido a riflettere circa la possibilità che su CM si crei una galleria di immagini con relative didascalie che sfidino i luoghi comuni più radicati (es. sul Mediterraneo piove sempre meno, la tropicalizzazione, le bombe d’acqua, i sottonutriti, la produttività delle colture, la desertificazione, ecc.). Potremmo chiamarla “sfida al luogo comune” o qualcosa del genere.
      Contraccambio gli auguri.
      Luigi

  2. luigi Mariani

    La 2.1 che mostri è quella di ISAC CNR e penso sia frutto di analisi eseguite su pochi osservatori storici. Assai più eloquente circa l’attuale stasi delle temperature in Italia è la 2.2, di fonte ISPRA, che è relativa al periodo 1961-2013 e che mostra un calo dal 1961 al 1980, poi una rampa che si interrompe nel 1994 ed a seguire la fase stazionaria attuale.
    Questa fase di stazionarietà in cui stiamo a tutti gli effetti vivendo si presta a moltissime deduzioni in tema di “clima attuale” ed adattamento allo stesso.
    Peccato che scorrendo il documento “Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici” non mi è dato di cogliere la dovuta attenzione a questo peculiare comportamento delle serie storiche ed alle conseguenze che ne derivano in termini gestionali.
    Questa mancata attenzione alle discontinuità ed alla fase di stazionarietà attuale è particolarmente deprimente in quanto il primo articolo scientifico sull’argomento fu quello di Werner et al del 2000 (Werner P.C., Gerstengarbe F.W., Fraedrich K., Oesterle K., 2000. Recent climate change in the North Atlantic/European sector, International Journal of Climatology, Vol. 20, Issue 5, 2000, pp. 463-471) e personalmente ho scritto il mio primo lavoro nel 2000, seguito da diversi altri, fra cui L Mariani, S G Parisi, Cola G, Failla O (2012). Climate change in Europe and effects on thermal resources for crops. International Journal of Biometeorology, ISSN: 0020-7128, doi: 10.1007/s00484-012-0528-8.

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