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4600 anni di dendrologia e l’Hockey Stick

Durante la preparazione di un altro post, ho analizzato un dataset dendrologico, cioè una serie temporale di indici di crescita degli anelli di alberi situati in una zona ben definita, un po’ particolare: nella versione con i dati fino al 1980 e per le cronologie relative alla Sheep Mountain (SHP,California), ha costituito un importante elemento nella definizione dell’Hockey Stick di Mann-Bradley-Hughes 1998 e 1999 (lavori noti con le sigle MBH98 e MBH99).

Per la controversia sull’Hockey Stick vedere ad es. Wikipedia, qui e, per un recente sviluppo su nuovi dati, due post di Steve McIntyre su Climate Audit, qui.

I dati dendrologici sono disponibili nel sito NOAA-NCDC, dove sono disponibili anche la mappa e tutte le informazioni necessarie. Il dataset che ho scaricato si chiama ca667.rwl ed è aggiornato al 2005. Forniscono i dati Salzer e Hughes (l'”H” dei lavori MBH citati nel riquadro sopra). Il dataset è costituito da 311 “sotto-dataset” chiamati cronologie, ognuna delle quali fa riferimento ad un tipo albero e ad un intervallo temporale, per un totale di circa 142500 valori singoli. Gli specialisti scelgono accuratamente una o più cronologie da cui estrarre le informazioni finali e la calibrazione in temperatura dei dati.

fig1
Fig.1: I dati del dataset ca667 mediati su tutte le cronologie disponibili. Il grafico in rosso rappresenta i dati filtrati (filtro passa-basso) con passo 11 anni.

Io ho preferito calcolare il valori medi, per ogni singolo anno, su tutte le cronologie disponibili e ho voluto lasciare i valori originali di larghezza degli anelli e non trasformare questo dato in temperatura o anomalia. Questi dati sono riportati in Fig.1 (pdf), da cui appare nettamente a) una crescita costante della larghezza degli anelli degli alberi a partire da circa il 1830 e b) che un fenomeno simile non si osserva almeno nei 1000 anni precedenti, cioè il certificato di nascita dell’Hockey Stick. Però, avendo a disposizione più di 4600 anni, possiamo vedere che esistono periodi in cui il tasso di crescita (o di diminuzione) degli anelli è paragonabile o superiore al tasso di crescita successivo al 1830 (con qualche cautela, dovuta al post-1980, potremo chiamarlo “tasso di crescita attuale”).

Per mettere in evidenza le crescite e le diminuzioni, nella Fig.2 (pdf) ho annotato lo stesso grafico di Fig.1 con i periodi di crescita e diminuzione, con le rispettive pendenze, in unità delle ordinate per anno, con le estensioni dei minimi solari (da Oort a Dalton) e con le estensioni del Periodo Caldo Romano (RWP), del Periodo Caldo Medievale (MWP) e della Piccola Età Glaciale (LIA).

fig2
Fig.2: Come Fig.1, con annotati i vari elementi descritti nel testo.

cm32.html

Le pendenze sono calcolate in modo grossolano come rapporto tra la variazione in ordinata e variazione in ascissa, con riferimento ai dati filtrati (linea rossa). I valori numerici usati sono quelli della tabella successiva.

 _______________________________________________
|Start-End  |Range,t| Ring Index|Range,i|  i/t  |
|___________|_______|___________|_______|_______|
|  year     | years |  adimens. | adim. |  yr^-1|
|===========|===================================|
|-2000,-1920|   80      300,850     550    6.9  |
|-1860,-1790|   70      400,870     470    6.7  |
| -800,-900 |  100      700,250     450   -4.5  |
| -380,+140 |  520      600,220     380   -0.7  |
|  140,250  |  110      220,550     285    2.6  |
| 1830,2005 |  175      300,800     500    2.9  |
|===========|===================================|

L’unica pendenza nettamente inferiore a quella attuale riguarda il periodo -380,+140 che copre quasi esattamente il Periodo Caldo Romano: qui non mi è chiaro perché in periodo mediamente caldo debba esistere una così netta diminuzione del tasso di crescita degli anelli. Credo sia un aspetto del noto “problema della divergenza” tra tasso di crescita degli alberi e temperatura che potrebbe rendere poco attendibili -almeno in certi periodi- le calibrazioni in temperatura dei dati dendroclimatici. Un altro esempio dello stesso problema si nota, a mio parere, durante la LIA, caratterizzata -periodo freddo- da almeno tre picchi di crescita degli anelli. In conclusione, e osservando tutto dalla prospettiva della crescita degli anelli, si può dire che la crescita attuale esiste e si configura come un episodio dei molti (almeno sei identificati qui) che hanno caratterizzato la variabilità naturale del nostro pianeta.

Per parafrasare i risultati del lavoro di Esper et al., 2014, descritto su CM da Guido Guidi qui, relativo alle temperature dell’Europa settentrionale, si può dire che la crescita degli anelli è costantemente diminuta ad un tasso di 25 unità per millennio negli ultimi 4600 anni. I valori numerici dei fit sono nel sito di supporto e qui riporto le pendenze (in unità delle ordinate per anno) di tre periodi con e senza la crescita attuale.

Periodo pendenza
± dev.std.
-2649,2005 -0.025±0.001
200, 2005 +0.028±0.005
200,1830 -0.025±0.005

Post-1980
Steve McIntyre, nei post citati all’inizio, sottolinea come i dati di Sheep Mountain (SHP) mostrassero una forte crescita fino al 1980 mentre i valori successivi, fino al 2009, sono caratterizzati da una diminuzione generalizzata relegando così i primi ad una fluttuazione statistica. Queste considerazioni vengono fatte sulla base di una o più cronologie, anche definite dall’esposizione nord-sud o est-ovest degli anelli studiati. In più, i dati fino al 2009 non sono ancora disponibili sul dataset NOAA e sono stati digitalizzati da McIntyre dalle figure di Salzer et al.,2014.

Nel dataset sono disponibili i dati fino al 2005 e, anche se non riguardano solo le cronologie SHP, mostrano in Fig.3 (pdf) la rapida diminuzione della crescita dopo il 1980 e fino al 1994, e una successiva risalita.

fig3
Fig.3:Zoom degli ultimi 55 anni del dataset ca667.rwl per evidenziare la diminuzione dopo il 1980 e la successiva risalita dopo il 1994.

 

Tutti i grafici e i dati, iniziali e derivati, relativi a questo post si trovano nel sito di supporto qui
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Published inAttualitàClimatologia

6 Comments

  1. Franco Zavatti

    @Donato
    come sai, i commenti ai nostri post ci arrivano un po’ prima che siano
    pubblicati e quindi io preparo le risposte in anticipo, con piccoli file di
    testo. Poi, più che altro per dimenticanza, li conservo nelle cartelle che
    contengono il post. I commenti che ricevo li cancello dai miei mail perché
    “tanto li trovo su CM”. Guido mi dice che questa perdita non era mai
    successa prima per cui, almeno per una volta, viva la dimenticanza e ho
    potuto lasciare una piccola traccia dei commenti di dicembre scorso. Se avevi
    avuto l’impressione di aver già scritto le cose che stavi scrivendo,
    complimenti! Hai molto più memoria di me.

    @Mariani
    “Alla luce di quanto sopra viene spontaneo osservare che il ricorso
    alla dendrocronologia per ricostruire i climi del passato dovrebbe essere
    fatto con molta, molta prudenza, cosa che spesso mi pare non accada.”

    Completamente d’accordo quando si ha a che fare con
    temperatura-ricavata-da-anelli e anno e ho il sospetto (la certezza) che
    in queste perplessità non siamo soli, in giro per il mondo.
    Invece credo di aver imparato a fidarmi di crescita-di-anelli e anno, cioè
    dei dati grezzi (raw con i file .rwl), anche mediandoli su vari tipi di
    alberi della stessa zona (cosa che, mi sembra di capire, chi si occupa di
    queste cose, normalmente non fa). Se facciamo le medie sulla popolazione
    umana di certo le possiamo fare anche su altri viventi.

    Il diagramma termo-pluviometrico da associare ai dati dendrocronologici è
    senz’altro un’ottima idea. Lo farei, se solo avessi la più pallida idea di
    come si costruisce. Cercherò di documentarmi.

    (da qui sono un po’ OT)

    Pacchetto R: purtroppo ho una specie di idiosincrasia nei confronti dei
    pacchetti precostruiti, da imparare mettendosi nella testa degli autori.
    Non so usare Excel et similia e quando ricevo file .csv li trasformo in
    testo e li elaboro. Ho studiato il TEX ma non so usare la sua versione
    semplificata LATEX che va per la maggiore; non conosco Office, se non
    brutalmente e quando scrivo uso html (direttamente, senza editor specifico) e TEX.
    Quando ho avuto bisogno di fare grafici, ho scritto il mio programma Bongo
    (quello che uso nei grafici dei post) insieme al suo interprete di comandi.
    Per “amore” di Bongo ho studiato il PostScript (i tre libri) e ho scritto un
    driver che mi permette di far uscire i grafici in formato .ps. Questi ultimi
    anni di climatologia mi hanno permesso di far evolvere Bongo, che ora è in
    grado di fare elaborazione dati quanto mi è sufficiente. Quando è necessario
    scrivo il mio codice in fortran. E quando, in passato, è servito, ho studiato
    l’Assembler.
    Conosco Gimp abbastanza bene, ma per cambiare formato ai grafici uso comandi
    di ImageMagick da tastiera.
    Ho provato a scaricare R e a istallarlo, ma non ho la testa giusta per farlo
    funzionare.
    Cercherò informazioni sul diagramma di Bagnouls Gaussen e vedrò se mi sarà
    possibile costruire qualcosa.

    • Franco Zavatti

      Non ho dimenticato l’ottimo consiglio di L. Mariani di associare ai dati degli alberi il diagramma di Bagnouls-Gaussen. Nel sito di supporto ho aggiunto il diagramma e i dati per il posto più vicino alla Sheep Mountain che sono riuscito a trovare: lo Yosemite National Park.

  2. Luigi Mariani

    Zavatti scrive giustamente che ” faccio fatica a parlare di crescita degli anelli e a non pensare istintivamente all’aumento di temperatura; solo razionalizzando so che la crescita dipende da altri fattori ambientali.”
    In effetti quando io penso alla California penso ad un clima simil-mediterraneo con condizioni di aridità che limitano per periodi significativi dell’anno la crescita dei vegetali, per cui la carenza idrica può diventare l’elemento critico (e le immagini delle Sheep Mountains presenti in rete avvalorano una tale idea).
    Certo, per escludere l’aspetto aridità dalle forzanti si potrebbero scegliere ambienti termicamente marginali (es: vicini al limite altitudinale o latitudinale settentrionale di una data specie arborea). Tuttavia in tali ambienti il rischio è di incorrere in altre limitazioni (es: carenze di nutrienti legate alle temperature più o meno basse).
    Insomma: pensando gli alberi come termometro capace di rispondere linearmente alla temperatura si fa anzitutto un insulto agli alberi, che come tutti i viventi sono molto più complessi di uno “stupido” termometro.
    Alla luce di quanto sopra viene spontaneo osservare che il ricorso alla dendrocronologia per ricostruire i climi del passato dovrebbe essere fatto con molta, molta prudenza, cosa che spesso mi pare non accada.
    Come ultima proposta (che faccio per primo a me stesso) penso che quando si commenta su CM un proxy (dendrocronologico o altro) sarebbe utile che si producesse anche un diagramma termo-pluviometrico medio mensile dell’areale d’origine del proxy (l’ideale sarebbe il diagramma di Bagnouls Gaussen che è facilissimo da realizzare in R con il pacchetto CLIMATOL). Ciò in modo da aiutare il lettore nel capire a che tipo di clima ci si riferisce.

  3. Franco Zavatti

    Solo per mantenere un po’ di memoria, ripropongo la mia risposta al commento di Donato del 26.12.2014, dopo la prima pubblicazione del post, che purtroppo non ho conservato.
    Donato, grazie per i complimenti. I tuoi commenti sono in generale
    condivisibili ma io mi sono scontrato con una serie di considerazioni dalle
    quali esco con molti dubbi:

    1)ho cominciato a guardare questi dati (e quelli relativi al prossimo post,
    se mai riuscirò a scriverlo) per caso, per confrontare le certezze di un
    mio amico e le mie incertezze sull’affidabilità della dendrologia. Quindi
    dei dettagli della dendrologia non so praticamente nulla.
    Sono comunque convinto che se non c’è di meglio, anche dati incerti sono
    utili per avere almeno un’idea del clima del passato.

    2) quando ho graficato la fig.2 mi sono reso conto che la relazione diretta
    che credevo esistesse tra temperatura e crescita degli anelli è, a dir poco,
    vaga anche se

    3) faccio fatica a parlare di crescita degli anelli e a non pensare
    istintivamente all’aumento di temperatura; solo razionalizzando so che la
    crescita dipende da altri fattori ambientali.

    4) Per questo forse non è corretto che abbia evidenziato i periodi caldi e
    freddi, come testimoniato dal fatto che MWP e LIA hanno medie di
    accrescimento praticamente uguali e quindi quasi indipendenti dalla
    temperatura (e d’altra parte la foresta amazzonica è certo molto ricca,
    ma in Alaska e nel Nord Europa gli alberi crescono ugualmente, e direi
    piuttosto bene).
    Spero però che l’idea originale di mostrare che la crescita attuale è solo
    un episodio come altri che si sono succeduti nella storia della Terra sia
    ancora ben visibile nel post. Il periodo di quasi 5000 anni, poi, mi sembra
    rappresentativo di una fetta significativa dell’Olocene, sempre meglio
    dei “fenomeni mai visti negli ultimi 1000 anni” di “manniana” memoria.

    • donato

      Franco, mentre scrivevo questo commento avevo l’impressione di aver già scritto cose simili. Ho cercato il post sugli alberi californiani, ma non sono riuscito a trovarlo per cui mi sono convinto di aver avuto un abbaglio. Ho continuato a scrivere il commento, però, stando alla tua replica credo che la sostanza è la stessa del precedente (che continuo a non trovare). Nessun problema: repetita iuvant. 🙂 🙂
      Buona domenica a te ed a tutti i lettori di CM.
      Ciao, Donato.

  4. donato

    Più rifletto sui dati di prossimità e più mi convinco che parlare di temperature globali è poco più che una convenzione (per non usare un termine più forte che mi è venuto in mente, ma che è meglio non dire e, soprattutto, non scrivere 🙂 ).
    Credo che nel futuro lo faremo ancora (parlare di temperatura globale), ma sono convinto che abbia poco senso e non possiamo certo considerarla un indicatore dello stato del pianeta. Lo so, non sono un climatologo, non ho la patente, non sono un uomo di scienza, al massimo si può dire che sono uno che legge opere di divulgazione scientifica, ma mi sono convinto che parlare di clima globale porta a degli errori madornali.
    .
    In questo post di F. Zavatti, ma in tutti i lavori scientifici che ho avuto modo di leggere, si notano delle profonde divergenze tra zona e zona: l’emisfero nord e quello sud non vanno d’accordo, il Pacifico e l’Atlantico si comportano in modo differente, l’Europa e gli USA vanno ognuno per la propria strada (non solo dal punto di vista geopolitico 🙂 ) e potrei continuare ad libitum.
    Nel grafico di fig. 2 del post di F. Zavatti (ma anche in altri tipi di ricerche scientifiche) si vede chiaramente che durante il periodo caldo medievale gli alberi californiani si sono comportati come se in quell’area vi fosse un clima freddo: l’accrescimento annuale si è drasticamente ridotto. Si giunge alla conclusione che secondo i dati desunti dalle diatomee del mare a nord dell’Islanda il clima nell’emisfero settentrionale era caldo, ma secondo i pini californiani il clima era freddo: due conclusioni del tutto antitetiche.
    A questo punto dobbiamo renderci conto (dati alla mano) che dobbiamo fare una scelta: o i dati di prossimità non rappresentano il clima o parlare di clima globale equivale a discutere del sesso degli angeli.
    .
    Lo stesso dilemma mi assale quando mi occupo di livello del mare: in alcuni bacini aumenta, in altri diminuisce, in altri ancora è stazionario. Eppure andiamo a calcolarci il livello medio globale dei mari! Mah!
    Stesso discorso si può fare per il contenuto di calore degli oceani, per le temperature superficiali, per i ghiacci marini o per quel che volete voi.
    Mi sa che il problema principale della moderna scienza del clima è la globalizzazione. 🙂
    Ciao, Donato.

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