Salta al contenuto

Dal global warming alla global governance

La globalizzazione potrebbe essere astrattamente riassunta nel percepire come importanti e condizionanti delle realtà altrimenti molto lontane dal nostro sentire. A questo mi è capitato di pensare alcuni giorni fa, assistendo ad una parte della trasmissione “Ballarò“. Si parlava ovviamente della crisi finanziaria, tra gli ospiti convenuti c’era anche Luigi Abete, presidente degli industriali di Roma.

Perchè la globalizzazione? Perchè Abete ha spiegato molto semplicemente che quella che ci è stata sin qui descritta come una crisi di proporzioni globali non è esattamente tale. Il Fondo Monetario Internazionale (IMF), l’istituto specializzato delle Nazioni Unite che è la fonte più autorevole per ciò che concerne la salute economica del mondo, stima la crescita mondiale nell’ordine del 3% per l’anno prossimo (percentuale corretta al 2% dal sito ufficiale dell’IMF).

Però ad avere prospettive di crescita pressochè nulle sono i paesi occidentali (USA ed Europa), proprietari del 20% circa delle risorse monetarie di tutto il mondo. Ciò significa che il resto del mondo, ovvero la maggioranza, gode di salute molto migliore. Guardando le cose in quest’ottica si comprendono anche gli accadimenti di questi giorni. L’11 novembre scorso si è svolta a Brusselles una conferenza durante la quale, il Prof. Johan Rockström, che non è un climatologo, ma uno studioso dei cicli idrogeologici, ha affermato che il riscaldamento globale sta producendo effetti più gravi di quelli previsti e che non si può escludere che già oggi ci si trovi ad un punto di non ritorno. Del resto questo lo aveva detto anche il capo dell’IPCC soltanto pochi mesi fa. Nessuno dei due ha ammesso di avere il minimo dubbio, magari instillato dal fatto che il riscaldamento del pianeta si è arrestato già da quasi dieci anni. Non c’è da stupirsi, tra gli organizzatori e sponsor della conferenza troviamo il PIK (Postdam Institute for Climate Impact Research), un istituto creato nel 1992 (l’anno della Conferenza di RIO per intenderci), il cui direttore, soltanto pochi mesi fa affermava che il 20% della perdita dei ghiacci artici in Groenlandia potrebbe essere direttamente collegata alle emissioni delle nuove centrali a carbone cinesi. Direttamente. Purtroppo latitano dichiarazioni più recenti che ci spieghino come si colloca nel discorso l’attuale naturale ed evidente ripresa dei ghiacci artici. E così da una quasi certezza (90%) delle origini antropiche del riscaldamento globale, espressa nel 2007 dall’IPCC già priva di alcun significato statistico e fondata sulla scienza non sperimentale ma tutta virtuale delle simulazioni climatiche, siamo passati alla certezza assoluta ed anche al riconoscimento di qualche altro colpevole.  A questo punto mi piacerebbe anche capire il significato del logo alquanto “bizzarro” del PIK e della presenza del Club of Rome tra coloro che hanno organizzato questo evento. Ma intanto i media assorbono, assetati come sono di dichiarazioni ad effetto. Potere della comunicazione globalizzata e dei lavori preparatori alla difficile discussione che attende i leader europei alla fine dell’anno, quando si dovrà decidere del dopo Kyoto.

In tutta evidenza essendo quelli che se la passano peggio, sentiamo il bisogno di avere compagnia e, visto che siamo anche la principale causa del nostro malessere, gradiremmo anche poter dividere colpe e conseguenze delle stesse con qualcuno. Così per la finanza internazionale, così per la paventata crisi del cambiamento climatico, che forme di comunicazione urlate e molto poco informate hanno contribuito a rendere globale, anche se la sua percezione e la sua realtà sono molto più locali che generalizzate. Paradossalmente questi due ambiti di difficoltà sembrano destinati a divenire una sola cosa, con la corsa allo sviluppo delle tecnologie per le risorse rinnovabili che molti si augurano possa fornire la spinta necessaria a far risorgere l’economia. Alcuni, non pochi, pensano invece che questa corsa finirà per sfiancare definitivamente il cavallo, prima che si possa giungere alla stazione di posta. Eppure la soluzione prospettata sembrerebbe proprio l’uovo di Colombo, perchè si teme che ne possa scaturire una fritatta?

Difficile a dirsi, forse dipende dal fatto che la paventata catastrofe del clima sta subendo qualche battuta d’arresto, forse hanno avuto peso le clamorose smentite che ha avuto il documentario clima-fiction di Al Gore, pesantemente criticato in tutti gli ambienti scientifici, o forse ancora pesano alcuni incidenti di percorso come quelli in cui è incappato lo stesso Panel delle Nazioni Unite (IPCC) che, semplicemente posizionando male una virgola su una tabella, ha moltiplicato per un fattore 10 il contributo all’innalzamento dei mari dallo sciogliemto dei ghiacci. La catastrofe è alle porte, anzi no, abbiamo trovato l’errore, lo correggiamo, ma lasciamo che colui che ha vinto il Premio Nobel con noi vada in giro a raccontare che il mare crescerà di 6, anzi 10, anzi 20 metri nei prossimi cent’anni. E così, mentre lui si compra una casa in riva al mare, gli abitanti delle Maldive comprano terra sulle colline di qualche altra nazione…non si sa mai. Come dire, chi semina vento non raccoglie tempeste, ma dollari.

Alcuni giorni fa, prima ancora che si conoscesse il responso delle urne americane, uno dei più accaniti critici della teoria del riscaldamento globale di origine antropica, Christopher Monkton, per intenderci quello che ha segnalato l’errorino di cui sopra, aveva scritto una lettera pubblica ad uno dei due candidati. Più precisamente a Mc Cain, ma questo conta poco, vista l’identità di vedute che accomuna i due ex contendenti in merito all’argomento. Non credo l’abbiano letta in molti, se così fosse stato sarebbe circolata almeno la voce che in essa si smontano una per una tutte le certezze del global warming di origine antropica, non basandosi su di una odiosa forma di scetticismo, ma sulla letteratura peer-reviewed che tanto piace al mondo scientifico. Sono certo però che moltissimi altri avranno letto quanto pubblicato a firma di Al Gore sul New York Times il nove novembre scorso, e ripreso da la Repubblica il giorno dopo. Il nostro eroe “suggerisce” la politica energetica e ambientale del nuovo corso statunitense (ma non le aveva vinte un altro le elezioni?), fissando in cinque punti fondamentali il futuro della sua nazione e, lasciatemelo dire, anche nostro. Non è poi così importante l’approccio fideistico che pervade tutto il documento, quanto piuttosto lo è questa frase: “stabilendo un prezzo per l’ inquinamento da bioissido di carbonio qui in patria (SIC)”. Benvenuta carbon tax, finalmente si arriverà a pagare direttamente per il nostro sconsiderato stile di vita, e con noi anche quelli che a questo stile ci si stanno appena affacciando o contavano di farlo in futuro. Chi la riscuoterà, per conto di chi e per farne cosa non è dato saperlo, o forse sì. Benvenuta global governance.

Reblog this post [with Zemanta]
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAttualitàSegnalati

3 Comments

  1. […] oggi quel sogno sta per diventare realtà. Ne abbiamo già parlato qui , in tempi per così dire non sospetti, nel post “Dal Global Warming alla Global […]

  2. FAbio Malaspina

    Chi si ricorda pochi mesi fa quando gli orsi annegavano per la riduzione sparizione del ghiaccio in Alaska? Basta rileggere la storia dei poveri Orsi dell’Alaska http://www.greenreport.it/contenuti/leggi.php?id_cont=15251 di settembre 2008 e confrontarla con i dati http://www.meteogiornale.it/news/read.php?id=19004 oppure http://www.meteogiornale.it/reportages/read.php?id=3699&chapter=1 per scoprire che la catastrofe non è poi così imminente. Incoerenza su dati e dichiarazioni che già in passato era stata messa in luce ad esempio su http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=259063 . Purtroppo la “nuova global governance” non propone nuovi stili di vita, ma lavora affinché per mantenere i “vecchi stili” si paghi, al fine di creare un’enorme quantità di denaro da gestire. Nessun cittadino vuole più pagare nuove tasse tradizionali, nessuno invece fiata se l’imposizione è per il bene del pianeta. L’imposizione fiscale passata dalla rendita fondiaria sul lavoro nel secolo scorso, probabilmente in futuro sarà sull’energia consumata (già sulla benzina la parte fiscale è circa 70%).L’efficienza energetica sicuramente è un obiettivo da perseguire, ma senza catastrofismi.Le lampadine a basso consumo si dovrebbero usare sia che i modelli prevedano un riscaldamento globale sia un raffreddamento, il vero problema è come “trovare” i soldi per farle comprare a chi ha un reddito con il quale si possono coprire solo altre priorità. Complimenti per l’articolo.

  3. Lorenzo Fiori

    Forse è arrivato proprio il momento di affrontare le tesi di questo benedetto Monkton per stabilirne l’attendibilità…tempo permettendo…
    se qualcuno di voi vorrà darne un breve sunto iniziale ben venga…

Rispondi a FAbio Malaspina Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »