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L’ultimo dei meteorologi

Oggi, 2 aprile, la Stampa di Torino è uscita con un articolo dal curioso titolo “L’Italia ossessionata dal meteo perde anche l’ultimo meteorologo” (qui) e che è centrato sull’intervista all’ex collega (nel senso di direttore di servizio meteorologico regionale) Stefano Tibaldi, scienziato di valore di cui ricordo fra l’altro il noto blocking index (Tibaldi e Molteni, 1990).

Tale articolo mi dà modo di riandare a cose che misi nel cassetto nel 2001, quando da direttore del servizio meteo regionale delle Lombardia mi licenziai rinunciando ad una brillante (si fa per dire) carriera nell’ente pubblico per fare libera professore ed insegnare a contratto agrometeorologia all’università degli studi di Milano.

Vediamo allora di analizzare le tematiche poste dall’articolo ad iniziare dal titolo, che trovo un tantino sciocco, nel senso di “privo di sale”. Ciò in quanto Oliver Sutton, grande meteorologo già direttore del servizio meteorologico britannico, inizia il suo libro “La nuova meteorologia” (Sutton, 1962) con la frase “la meteorologia è una scienza, la previsione del tempo è una professione“, per cui i lettori si tranquillizzino: i meteorologi in Italia non scompaiono di certo perché sono spariti gli ordinari dalle università.

Ciò detto, voglio qui ricordare che come Associazione Italiana di Agrometeorologia, quando nel 2007 prese corpo l’idea di cancellare l’insegnamento dell’agrometeorologia da tutte le università del regno, inviammo ai presidi delle facoltà di agraria una lettera con cui segnalavamo l’insensatezza di laureare persone che non avevano ricevuto un briciolo di istruzione formale in merito a quelle che sono le variabili guida essenziali per il processo produttivo agricolo (radiazione solare per la fotosintesi e poi temperatura, pioggia, ecc.), su come tali variabili si misurano e su che cosa le determina (la circolazione atmosferica alle diverse scale, l’effetto serra). Nessuno  rispose alla nostra “ingenua” lettera ed io stesso, quando mi presentai al consiglio del corso di laurea cui era agganciato il mio scorso di agrometeorologia per perorarne il mantenimento, mi accorsi con tristezza dell’inutile spreco di energie a fronte della totale mancanza d’interesse da parte dei docenti  delle altre materie.

Pertanto capisco appieno la tristezza di Stefano Tibaldi e tuttavia conosco abbastanza il mondo accademico per capire come sia potuta maturare la decisione di non rimpiazzare i docenti di ruolo di prima fascia di fisica dell’atmosfera. E per cercare di farci una ragione di una decisione tanto irrazionale (e qui si vede a cosa serve la cultura…), mi vien spontaneo citare  la brillante frase di Peter Weil (1968) “We cannot hope to understand the causes of climatic stability or change by restricting ourselves to any one field of earth science. Nature is ignorant of how our universities are organized…“.

Entrando infine nel merito di alcuni altri punti toccati dall’articolo, debbo dire che:

1. non mi spiace affatto che in Italia non esista una laurea in meteorologia in quanto poi un laureato del genere avrebbe elevatissime possibilità di intraprendere la professione del disoccupato. Meglio allora una laurea in fisica con specializzazione in fisica dell’atmosfera.

2. non concordo con l’idea secondo cui in Italia non esisterebbe un servizio meteorologico nazionale. Ciò in quanto nel bene o nel male tale ruolo è assolto dal 1924 dal Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare, con cui debbo dire di avere un legame affettuoso e del tutto disinteressato che mi deriva dall’aver conosciuto grandi personaggi legati a tale servizio come Ezio Rosini, Edmondo Bernacca, Andrea Baroni, Mario Giuliacci, Sergio Borghi, Cosimo Todaro, Sabino Palmieri, Giuseppe Frustaci, Giorgio Fea, Michele Conte e tanti altri, fino all’amico Guido Guidi.

  

Bibliografia

Weyl, P. K., 1968. “The Role of the Oceans in Climatic Change: A Theory of the Ice Ages.” Meteorological Monographs 8: 37-62. 

Sutton O.G., 1970. La nuova meteorologia: previsione e controllo del clima. Edizioni scientifiche e tecniche Mondadori, 1970 – 244pp. 

Tibaldi, S., and F. Molteni, 1990. On the operational predictability of blocking. Tellus , 42A343-365.

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Addendum

Luigi, come sempre, hai colto nel segno. Grazie per aver messo il mio nome accanto a uomini che hanno fatto la storia della meteorologia moderna nel nostro Paese, sebbene personalmente non credo di meritarlo. Ma grazie soprattutto per il sentimento di amicizia che ricambio di cuore.

gg

 

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Published inAttualitàMeteorologia

12 Comments

  1. Valerio

    Ringrazio Jacopo per avermi coinvolto in questa interessante discussione, e mi permetto di condividere la mia esperienza in quanto uno degli ultimi laureati in Fisica, curriculum Fisica dell’Atmosfera e Meteorologia dell’Universitá di Bologna. Il mio percorso di studi mi ha permesso una preparazione abbastanza solida riguardo gli aspetti teorici della materia, e sicuramente sarebbe stato ancora più solido se avessi avuto un background FAM (come si era soliti chiamare gli studenti e laureati triennali di fisica dell’atmosfera e meteorologia), invece che di astrofisica. Forse quello che è mancato rispetto a un corso di studi quale quello portato a termine da Jacopo è stata una formazione tecnica vera e propria in materia di modellistica numerica, in particolare, carenza che in altre universitá veniva o viene colmata dall’impegno di taluni professori (mi viene da pensare ad esempio, per quanto riguarda scienze nautiche alla Partenope di Napoli, al Prof. Pierini). Quello che mi è rimasto di questa esperienza, confrontandola con altri colleghi, é la sensazione di precarietá dovuta all’assenza di standard didattici per la materia. Pertanto si ha sempre avuto la sensazione di dovere l’esistenza del percorso di studi che si stava portando avanti alla dedizione del prof. Rolando Rizzi e all’impiego di docenti a contratto quali i dottori Andrea Buzzi, Francesco Tampieri e Vincenzo Levizzani, senza una reale concezione organica, da parte del dipartimento di Fisica e dell’Università tutta, di questo corso, della necessità di tenerlo aperto e di mantenere vivi gli sbocchi occupazionali dopo la laurea. Questo un po’ per necessità (la mancanza di fondi, la prossimità all’area tematica della Geofisica, l’assenza di un numero di studenti tale da giustificare un aumento delle cattedre), un po’, detto francamente, per miopia istituzionale, per cui davvero sembrava che la sussistenza del corso di laurea fosse interesse esclusivamente di alcuni professori, dell’Arpa Emilia Romagna (grazie all’interessamento del dott. Cacciamani) e di parte del CNR-ISAC. Difatti non mi risulta che il corso di laurea sia ancora attivo, né a livello triennale, né magistrale, nonostante ultimamente sembra che qualche cosa si stia muovendo grazie all’ingresso da associato della prof.ssa Di Sabatino.
    Dalla mia parziale esperienza, mi risulta che le cose non vadano molto meglio nelle altre università italiane. Il prof. Benzi a Tor Vergata é ordinario di fisica teorica, e già qualche anno fa (parlo del 2009) il corso FAM si esauriva alla triennale, per poi essere accorpato a geofisica alla magistrale. Mi sembra che Torino abbia subito la stessa sorte, mentre non ho notizie di L’aquila. A parte questo, mi preme osservare che non sono del tutto in accordo circa l’assenza di sbocchi occupazionali, anche nella ricerca. Tali sbocchi ci sono, ma sono all’estero, come testimonia il fatto che tre dei miei colleghi di studi sono stati ingaggiati presso università straniere. Quanto al sottoscritto, sto svolgendo un dottorato nel settore, per ora ancora in Italia (presso l’università del Salento).
    La presenza di un servizio meteorologico nazionale, civile o militare che sia, dovrebbe implicare una sinergia con l’ambiente accademico che non mi pare si sia mai instaurato. Non ho notizia di alcuno che sia andato a formarsi presso l’Aeronautica Militare, non ho mai conosciuto nessuno di essi ad alcuna delle varie conferenze e workshops a cui ho partecipato recentemente, non esiste un modello di riferimento nazionale, fatta eccezione per la partecipazione al progetto europeo COSMO, e non mi è mai stata fatta presente la possibilità di accedere ai prodotti scientifici dell’AM. Eppure abbiamo un know how che non è da meno a nessun Paese Europeo, abbiamo prodotti avanzati sia nel campo della meteorologia che della fisica del clima, abbiamo infrastrutture che, sebbene ulteriormente da potenziare (mi viene da pensare ai supercalcolatori del Cineca e del Cmcc), ci pongono senz’altro nelle condizioni di competere ad armi pari con il resto del mondo.
    Ci sono molte persone nel mondo che ritornerebbero a lavorare in Italia, se il quadro normativo fosse semplificato, e la disciplina, anche solo sulle allerte meteo, fosse razionalizzata. Sono d’accordo che la meteorologia é una scienza, e il meteorologo é una figura professionale, ma prendendo ad esempio la Svizzera, Meteoswiss ha un organico di meteorologi che dialogano incessantemente con il mondo della ricerca, vedi per esempio lo IAC-ETH di Zurigo. I primi erogano un servizio, alla cittadinanza e alle amministrazioni. Ma tale servizio non può essere di qualità senza una ricerca scientifica all’altezza e di qualità. Chiediamoci pertanto se il nostro servizio meteorologico, non importa se militare o civile, dialoghi sufficientemente con la ricerca, e viceversa. Io non credo che l’interazione sia sufficiente, e va necessariamente implementata. Infine, oltre ai servizi e alla ricerca, non va dimenticato quello da cui siamo partiti: una didattica all’altezza, che permetta allo studente di scegliere se dedicarsi all’una o all’altra cosa. Senza di essa, pare quasi banale dirlo, sia i servizi che la ricerca a breve moriranno (e ormai questa la direzione in cui stiamo andando in Italia, a quanto pare).
    Vorrei concludere dicendo qualche parola sul clima, visto che è stato a mio parere giustamente citato. Non è erroneo cercare sinergie tra le scienze sociali e le scienze del clima, visti gli impatti che la variabilità climatica ha sulle attività umane, in particolare in un paese orograficamente complesso e iper abitato come il nostro, purché non diventi la scienza subordinata alle esigenze dell’economia e della politica, cosa che farebbe venir meno i postulati fondamentali del metodo scientifico. In questo però diventa fondamentale un altro tipo di servizio, quello che divulga la scienza e istruisce la società. D’altronde in fondo la professione meteorologo risponde ad una domanda di scienza da parte della società, é l’interesse della società a portare i ragazzi ad appassionarsi a questa disciplina e sceglierla come professione, e solo una corretta divulgazione (quale, perdonatemi la franchezza, credo non faccia la Meteorologia) potrà dare dignità al mestiere e alla scienza che ne é alla base, elevandolo al di sopra del pantano in cui versa, tra l’oroscopo e il sudoku all’ultima pagina di un giornale.

    • Lugi Mariani

      Valerio, la ringrazio moltissimo per la sua testimonianza chiara e dettagliata, Mi pare più che mai utile per comprendere il sistema.
      Come elemento aggiuntivo segnalo che in Italia sta venendo avanti l’albo dei meteorologi. In proposito segnalo che in rete è presente un elenco parziale che comprende oltre 600 colleghi (http://www.altostratus.it/Meteo_Albo.htm e http://www.altostratus.it/previsorideltempo/2014_Censimento.pdf). Questo mi induce a dire che non siamo come l’ultimo dei moicani.
      Luigi

      Luigi

  2. alessandrobarbolini

    Che tempo fa alle 19 ;50 non c’è più perché il monotono quiz penoso gli fa più ascolto

  3. Luigi Mariani

    Ringrazio moltissimo tutti per il modo alto con cui hanno contribuito a questo piccolo dibattito.
    Il mio scritto mirava in primis al tema dell’università in Italia e di quello che oggi dovrebbe garantire in termini di preparazione. E su questo non ci piove che ci vogliono la fisica dell’atmosfera, la climatologia, la biometeorologia e l’agrometeorologia, ecc. In questo contesto potrebbe senza dubbio trovar posto un corso sul tipo di quello di cui ha parlato Jacopo, cui consiglio di preparasi a fondo e faccio al contempo un sentito “in bocca al lupo”. Rispetto ad un corso di questo tipo ribadisco tuttavia la mia diffidenza circa le possibilità effettive di trovar lavoro nel settore. A tale riguardo Jacopo cita diversi filoni in merito ai quali si tratta di capire quanti siano concretamente percorribili (Teo, che opera nel settore della ricerca, potrebbe forse dirci qualcosa di più). Ai fini di un chiarimento circa le reali possibilità di trovar lavoro sarebbe anche molto interessante riferirsi alle lauree in meteorologia attivate in passato presso alcune università italiane (http://www.nimbus.it/meteorologi/studiare/LaureaInMeteo.htm) per capire se sono ancora attive e per verificare quanti dei laureati hanno poi trovato lavoro nel settore meteorologico.
    Circa poi il servizio meteorologico dell’aeronautica, la mia postilla finale è stata dettata da motivi affettivi e, poiché sono da anni da anni lontano dal settore operativo, non mi sento in tuta sincerità in grado di dire quale sia l’architettura di servizio adatta al nostro Paese oggi. Mi auguro solo che le regioni credano nella necessità di coordinarsi fra loro più di quanto ci credessero quando io ero in servizio e che si crei una struttura centrale forte ed in grado di definire normative cogenti, in modo tale da evitare lo spreco di risorse garantendo altresì quegli standard operativi comuni di cui l’utente ha necessità assoluta (mi viene in mente la necessità di disporre di dati meteo nello stesso formato e con le stesse modalità d’accesso per tutto il territorio nazionale, come ai tempi del vecchio e glorioso servizio idrografico, affondato senza pietà dalla Bassanini ter).
    Ringrazio ancora tutti e contraccambio gli auguri di buona Pasqua.
    Luigi

  4. Jacopo

    Caro professor Mariani, mi associo ai complimenti per il suo piacevole articolo. Ho 24 anni e ho appena iniziato un dottorato in Meteorologia al Politecnico Federale di Zurigo. Leggendo il suo articolo ho pensato alcune cose, che volevo condividere a partire dalla mia esperienza.

    _ Riguardo all’assenza di un corso di laurea in Meteorologia, anzi più correttamente in Fisica dell’Atmosfera e del Clima: io la considero una grave mancanza del nostro sistema universitario. Intendo per scienze dell’atmosfera non solo la meteorologia, ma anche la chimica dell’atmosfera, la modellistica, il clima e il cambiamento climatico, l’agrometeorologia, su scala globale e locale. L’ho vissuto in prima persona: se voglio specializzarmi in scienze dell’atmosfera, perché dover fare anche nella laurea magistrale materie completamente inutili allo scopo, tuttavia necessarie per una laurea magistrale in fisica (e.g. teoria quantistica avanzata, stato solido, ma anche sismologia e geodesia)? Sono molto contento in questo senso di aver vinto una scholarship per un Master a Zurigo. 90 crediti, tutti di scienze dell’atmosfera: a volte mi sembrava di essere nel paese dei balocchi, tutti i corsi mi appassionavano!
    _ Una laurea in scienze dell’atmosfera potrebbe raggruppare vari ambiti di ricerca, che insieme potrebbero davvero fare “massa” e sinergie con altri corsi di laurea. Esempi possibili: implicazioni politiche, sociali ed economiche del cambiamento climatico, in Italia e in Europa ; downscaling di scenari climatici per il nostro paese (qualcosa del tipo ENSEMBLES/CH2011, ne ha sentito parlare?), per preparare strategie di adattamento a medio/lungo termine; collaborazione nello sviluppo e miglioramento di modelli regionali, già esistenti (Moloch, Cosmo) o eventualmente nuovi ; collaborazioni con l’ESA per progetti sul remote sensing. Eccetera…
    _ Concordo con Lei sulla confusione tra meteorologia (scienza) e meteorologi (come professione). Ma in questo senso, credo che un percorso di laurea del tipo che ho descritto potrebbe solo essere utile alla formazione di meteorologi professionisti. E non solo di meteorologi, ma anche di esperti a tutto campo di climate change, modellistica, pronti a portare la loro competenza in molte aree. Non vedrei per persone con un tale ventaglio di competenze un segnato destino di disoccupazione.
    _ Anche perché, e qui concludo, la presenza di un tale ente di ricerca favorirebbe un generale innalzamento della qualità delle previsioni. Apprezziamo tutti l’aeronautica per il lavoro che svolge, e abbiamo nel cuore le persone che ha citato nel suo articolo, ma guardando ai nostri pari in Europa, l’affidamento delle competenze meteorologiche alla Difesa rappresenta un’anomalia. E’ più una cosa da Affari Interni: meglio collegato alla Protezione Civile e alla protezione dei cittadini, e in generale più accessibile da parte degli altri ministeri e da personale non militare. Inoltre, per lavorare in AM come meteorologo bisogna essere un ufficiale e aver frequentato l’Accademia Militare: davvero questo deve essere un prerequisito per un ragazzo/a che vorrebbe fare il meteorologo per il suo Paese?

    La ringrazio di aver ospitato il mio intervento, che comunque vuole essere il più costruttivo possibile. Sarei lieto di conoscere la sua opinione al riguardo. Buona Pasqua!
    Jacopo

    • Fabio Spina

      “Una laurea in scienze dell’atmosfera potrebbe raggruppare vari ambiti di ricerca, che insieme potrebbero davvero fare “massa” e sinergie con altri corsi di laurea. Esempi possibili: implicazioni politiche, sociali ed economiche del cambiamento climatico, in Italia e in Europa […]” . Ma si tratta della laurea in fisica dell’atmosfera o degli impatti dell’atmosfera?
      Francamente il tuo interessante intervento apre molti argomenti degni di approfondimento, attenzione però a non creare facoltà alla moda come si è fatto in passato per altri settori, la fisica dell’atmosfera non è il “climate change”, altrimenti tra pochi anni finirà tutto.
      Anche se non ha nulla a che vedere con l’esigenza di un “Servizio Meteorologico Nazionale”, diverso da un SMND, una piccola correzione è che per entrare in AM non è necessario aver frequentato l’accademia.
      Per quanto riguarda l’appartenere al Ministero Difesa credo che il Met Office lo è stato fino al 2011 http://www.clickgreen.org.uk/news/national-news/122350-uk-met-office-switches-departments-in-whitehall-shake-up.html ora “It is an executive agency and trading fund of the Department for Business, Innovation and Skills and a member of the Public Data Group”. In Italia quanti l’accetterebbero? (http://en.wikipedia.org/wiki/Met_Office e http://www.metoffice.gov.uk/about-us ) In Italia sembra che debba fare meteorologia solo il settore pubblico, perché non ci sono iniziative del tipo http://www.forecastadvisor.com/ ?

    • Jacopo

      Grazie Fabio per gli spunti.
      _ Hai ragione, idealmente una laurea del genere riguarderebbe cose che non “passano mai di moda”. Il climate change senz’altro, non passerà presto di moda a giudicare dalle iniziative e dalla ricerca in atto in tutto il mondo. Spiego meglio quella “sinergia” come la intendo: l’Italia non ha alcuna strategia di adattamento al climate change (che è oramai quasi impossibile da mitigare/evitare, quindi occorre adattarsi). Ad esempio: il sud Italia si dovrà aspettare più o meno precipitazioni, e in quale periodo dell’anno? Come cambierà il clima diversamente, tra i due versanti dell’Appennino? Ovviamente sappiamo che sono simulazioni di GCM, passibili di ogni critica, ma sono il meglio che al momento abbiamo. Occorrono simulazioni ad alta risoluzione, che possano essere effettivamente utili per tutti, dai politici all’ “uomo della strada”, per prendere decisioni su investimenti e strategie future basandosi sulle ultime conoscenze disponibili. Un’interfaccia importante tra scienza e decisioni pubbliche e private è il servizio meteorologico nazionale, in questo senso.
      _ Mi è capitato sottomano l’ultimo concorso per diventare Tenente meteorologo all’AM, emesso a giugno 2014. E’ vero che non si deve per forza essere nell’esercito per entrare come meteorologo. Ma se venissi preso al concorso, dovrei comunque affrontare un periodo di formazione prettamente militare a Pozzuoli: a me questo non interessa, non capisco perché dovrebbe essere un prerequisito per avere un buon meteorologo in Italia.
      _ Non sapevo che il MetOffice fosse appartenuto al ministero della Difesa. E’ interessante in questo senso che l’abbiano trasferito all’Economia e Innovazione, e nell’articolo si saluta positivamente l’incremento dell’accessibilità dei dati (“estabilishment of a Public Data Corporation”). Guardando ancora in giro, MeteoFrance > Trasporti, MeteoSvizzera > Interno, Deutsches WetterDienst > Trasporti, KNMI (Olanda) > Ambiente e Infrastrutture. Non so quanti in Italia lo accetterebbero: questa storia dell’Open Data l’ho già sentita anche a MeteoSvizzera e in Europa molti si stanno muovendo in questa direzione.

  5. Da utente, faccio solo un commento. Non mi interessa tanto la mancanza di un servizio meteo nazionale civile, mi interessa che ci sia un ente nazionale che faccia il lavoro seriamente e se questo ente è militare non ho nessun problema. Anzi, potrei anche dire che non ha senso creare un doppione mangiasoldi (visto che già abbiamo un … ventuplone con i servizi meteorologici regionali).

    Però manca qualcosa: il sito web dell’AM è più orientato verso un’utenza “professionale” (forse il termine è esagerato: diciamo che è meno accattivante per “l’utente della strada”) e manca un’app ufficiale dell’AM. Il risultato è che poi la gente va su portali e app private che… ecco, non dico altro. Quindi, se l’AM deve fungere da servizio meteo nazionale, dovrebbe essere dotata anche di quelle “piccole cose” che poi, in termini di fruizione del servizio, fanno la differenza.

  6. teo

    Luigi mi associo al tuo ricordo di amici presenti e non piu’ presenti dell’AMI, del loro lavoro, dell’importanza di questa istituzione

  7. Fabio Vomiero

    Complimenti prof. Mariani, che bel pezzo, quanti interessanti spunti di riflessione in poche righe e nelle amare parole di Stefano Tibaldi, che personalmente, purtroppo, non ho mai avuto l’onore di “conoscere” mediaticamente. Concordo pienamente con la sua analisi, come sempre molto lucida ed obiettiva. Il problema non è la mancanza di un ente serio che faccia meteorologia, l’Aeronautica Militare ha sempre fatto bene il suo dovere, semmai il problema riguarda il fatto di quanto spazio mediatico le si voglia concedere. Perché una trasmissione come “Che tempo fa” non esiste più, ad esempio. L’aneddoto sulle dinamiche accademiche è straordinario, chissà quanti di simili se ne potrebbero raccontare. Io, per esempio, sono un biologo di formazione e successivamente alla laurea, ho seguito con rassegnato interesse il percorso di modifica estrosa (tanto per usare un eufemismo) che ha subito questo importante corso di studi. Ho come l’impressione che in Italia, dovendo dimostrare che bisogna cambiare (come è giusto che sia), si tenda sempre a cambiare in peggio, a dimostrazione che, come un cane che si morde la coda, evidentemente non possediamo ancora gli strumenti concettuali adeguati che ci consentono di fare le scelte giuste. L’Università e la ricerca scientifica, oltre che la scuola e la formazione in generale, rappresentano il futuro di un Paese, se non capiamo questo, siamo un paese destinato al fallimento, a mio avviso. Buona Pasqua a tutti.

  8. Franco Zavatti

    Bel commento sull’amarezza dei meteorologi alla lenta (?) fine della loro
    scienza, commento al quale mi associo.
    Capisco il punto di vista di Tibaldi sull’esigenza di un servizio meteo
    civile (esiste anche in Islanda e potrebbe esistere anche da noi), ma se poi
    dovessi ascoltare “roba” tipo quella che ascolto da certi meteorologi del CNR
    mi verrebbe subito da dire: viva il servizio meteo dell’Aeronautica che fà
    previsioni a tre giorni (sa fare anche le altre, a più lunga scadenza, ma le
    considera per quello che sono), non si occupa di titoli “sensazionali” e non
    si esercita nella politica meteorologica. Certo, ha altri scopi rispetto ad un
    servizio civile ma a me (e direi a molti altri) va bene così.
    Per tornare al post, ho conosciuto Stefano Tibaldi appena tornato da
    Reading, quando ha usato la possibilità, per ricercatori che fossero stati
    almeno tre anni all’estero, di avere un posto di ruolo qui da noi e, parlando
    con lui al bar, ho subito visto l’impegno e l’energia che voleva mettere per
    sviluppare sempre più la meteorologia, almeno a Bologna. Pensavo che fosse
    molto più giovane di me e che non fosse ancora l’ora della sua pensione; la
    notizia mi ha sorpreso.

    La storia del corso di Agrometeorologia mi ricorda da vicino la storia del
    corso di Didattica della Geografia (a Scienze della Formazione) che ho
    tenuto per 13 anni all’Università di Bolzano e che, con il nuovo
    ordinamento, è stato cancellato e raggruppato nel corso di Geografia e
    Didattica della Geografia al quale fanno capo sia i corsi per la scuola
    dell’infanzia (ex asilo) che per la primaria (ex elementare). Ovviamente
    è molto diverso insegnare gli elementi di Geografia alle due classi di età
    e credo che i risultati di queste “riforme” si vedranno nel prossimo futuro.

    Ho letto in un commento di Alberto Guidorzi la frase “Meno male che sono
    un vecchio e non vedrò le conseguenze dell’insipienza umana attuale…”:
    credo di non poter fare altro che associarmi, con convinzione e tanta tristezza.
    Franco

  9. Uberto Crescenti

    Luigi Mariani, di cui mi onoro di essere amico, ha messo il dito nella piaga. Luigi ha parlato della sorte dell’agrometeorologia, in linea con il nostro sistema universitario. Per esperienza pluriennale (sono stato professore ordinario per oltre 40 anni e addirittura per 12 anni rettore) ho potuto toccare con mano come quasi sempre i professori non sono interessati allo sviluppo generale della cultura, ma al proprio orticello che va incrementato il più possibile anche se ciò non avrà alcuna utilità per gli studenti.

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