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Global cooling? Fino a un certo punto…

Questo titolo è destinato a sostituire un breve post di ben cinque anni fa che non so per quale ragione continua ad essere oggetto di molti pingback da parte di guarda con orrore e anche un po’ di sdegno al nostro pensiero contro-corrente. Già all’epoca segnalammo le prime voci che si levavano a ipotizzare un futuro a medio termine di raffreddamento più che di riscaldamento del pianeta. Un epoca in cui la pausa del riscaldamento globale non era ancora né consolidata né ufficialmente riconosciuta; un epoca in cui ancora non si sentiva parlare della possibilità che la variabilità naturale avesse, come dire, un ruolo più importante nelle dinamiche del clima di quanto non affermi l’ipotesi CO2-centrica tanto cara alla fonte dei suddetti pingback.

Sta di fatto che ora, anche le fonti ufficiali, dicono sì che il riscaldamento prima o poi riprenderà, sebbene non tanto presto, ma si guardano anche bene dal dire quando, visto che nessuno sa se e quando questo potrà accadere.

Capita quindi che dalla stessa fonte cui si ispirava il breve post di cui sopra, giunga un altro lavoro che ribadisce il concetto: guardando anche soltanto alla combinazione delle oscillazioni multidecadali sia del Oceano Pacifico che di quello Atlantico (AMO e PDO), è probabile che si vada nella direzione di una discesa delle temperature medie superficiali. Da quelle oscillazioni, infatti, è probabile che abbia avuto origine anche una parte importante del riscaldamento occorso nel recente passato, specie per le ultime tre decadi del secolo scorso. siccome sia l’AMO che la PDO stanno andando verso il segno negativo, ne potremmo sentire gli effetti a livello di temperatura globale.

Vero? Lo dirà il tempo (cronologico), anche se è probabile che debbano essere tenuti nella dovuta considerazione anche molti altri fattori.

Qualcuno si sarà accorto che ho messo un po’ di dubbio anche nel titolo di questo post. L’ho fatto per una ragione ben precisa. Nell’ambito del nostro interminabile ma anche appassionante dibattito sull’evoluzione del clima, ci siamo spesso interrogati sull’efficacia dell’uso alquanto disinvolto del trattamento statistico cui i dati sono spessi sottoposti. La statistica è una scienza indispensabile, ma ha un brutto difetto: se male utilizzata, permette di produrre qualsiasi tipo di risultato. Per chi cerca qualcosa, a volte, questo significa trattare i dati in modo da dimostrare di averla trovata. Ne è esempio storico e lampante l’Hockey Stick di Michael Mann, il grafico più discusso della storia del clima, ma i casi di spericolato uso della statistica sono davvero innumerevoli.

Gli autori del lavoro (Don Easterbrook e Joe D’Aleo) che ha ispirato questa nostra chiacchierata di oggi, potrebbero non essere stati immuni alla stessa tentazione. Non appena il loro lavoro è stato diffuso, infatti, uno che di statistica se ne intende, Matt Briggs, altro nome noto nella blogosfera climatica, ha sollevato una dura reprimenda sul procedimento che essi hanno usato per evidenziare la correlazione tra la sommatoria delle oscillazioni dell’AMO e della PDO e le temperature del continente americano. In sostanza, dice lui e direi che si può essere d’accordo, se le serie di dati tra cui si cercano delle correlazioni vengono allisciate con dei filtri la correlazione prima o poi salterà fuori. Ciò non esclude che vi sia in origine una relazione, ma certamente la rende più significativa in modo artificioso dando un risultato che nella fattispecie è quello atteso: AMO e PDO guidano le temperature.

Tuttavia, pur al netto di questo lungo caveat, resta il fatto che le temperature superficiali degli oceani, di cui AMO e PDO sono una funzione, sono comunque altamente correlate con quelle globali. Dati però il numero e la complessità dei fattori in gioco, la capacità predittiva di un andamento reso così chiaro e lineare da un artificio statistico è piuttosto ridotta, specialmente nel lungo termine.

Di tutto questo, come di molte altre cose che chi legge CM certamente avrà già pensato, vi invito comunque a tener conto nel leggere il lavoro in questione, che trovate qui. Ah, un’altra cosa: non è uno studio sottoposto a referaggio, almeno non ancora; ma, come dice anche Matt Briggs, quando una cosa è giusta lo è a prescindere da chi la dice. E questo lo dirà il tempo, che ora, per esempio, trascorre senza che l’annunciato e abbondantemente referato disastro climatico si faccia vedere ;-).

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Published inAttualitàClimatologia

2 Comments

  1. Istruttivo.
    Ringraziamento all’autore ed a Guido Botteri che l’ha segnalato.

  2. alessandrobarbolini

    Il clima è come un dado lanciato..ognuno vedrà una parte della sua faccia

Rispondi a Renzo Riva Annulla risposta

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