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Depositi alluvionali nel lago di Ledro e periodi caldi e freddi

Discuto alcune informazioni climatiche che si possono derivare dai depositi alluvionali dei laghi alpini: l’occasione è stata la lettura del lavoro di Wirth et al, 2013 relativo al lago di Ledro (TN) in cui si studiano le carote estratte dal fondo del lago e costituite da materiale, organico e inorganico, che viene asportatao per dilavamento dai monti circostanti e depositato nel lago. Dallo studio degli strati è possibile dedurre, fra l’altro, il numero di eventi piovosi (floods) e la loro intensità (usando come proxy lo spessore degli strati stessi); si può quindi ipotizzare, ad esempio, la struttura meteorologica dell’Atlantico, la direzione dei venti occidentali (westerlies) e la loro relazione con le fasi negative e positive dell’Oscillazione Nord-Atlantica (NAO).

Gli autori formano un gruppo compatto (con frequenti inserimenti esterni) dell’ETH (Istituto Federale di Tecnologia a Zurigo) e hanno al loro attivo osservazioni in numerosi laghi a nord e a sud delle Alpi e in diverse parti del mondo. Il lavoro sul lago di Ledro è approfondito e accurato: il loro confronto tra numero e intensità degli eventi piovosi, dati proxy, NAO, TSI (irraggiamento solare totale) è mostrato in fig.1 (è la loro fig.S6 delle informazioni supplementari liberamente disponibili e un’estensione della fig.3 del lavoro, disponibile a pagamento).

fig1
Fig.1: Confronto tra i dati osservati (quadri d,f,g,i,j) e vari proxy. È la fig.S6 delle informazioni supplementari. Notare che il quadro c) (ΔTSI) ha la scala rovesciata. Il quadro e) è la somma mobile (su finestra di 30 anni) degli eventi alluvionali intensi nei laghi a nord delle Alpi. Qui si usa l’acronimo MCA (Medieval Climate Anomaly) invece di MWP (Medieval Warm Period). Da notare che la “sommma mobile su finestra di 30 anni” equivale al “numero di eventi” nelle ordinate dei grafici successivi.

Malgrado io stia usando i dati degli autori, disponibili al sito NOAA-NCDC dei dati paleoclimatici, qui, trovo alcuni risultati non conformi a quelli degli autori e vorrei discuterli.
Dall’abstract dell’articolo si legge:

“… our dataset proposes for a warming scenario, a decrease in summer floods, but an increase in the intensity of autumn floods at the South-Alpine slope”
… in uno scenario di riscaldamento, il nostro data set propone una diminuzione degli eventi piovosi estivi ma un aumento dell’intensità delle pioggie autunnali nel versante meridionale delle Alpi

Con tutta evidenza, sto guardando un altro film: infatti, se uso il numero totale di eventi per anno di fig.2 (pdf) vedo che, su tutto il periodo di 2000 anni considerato, questo numero tende a crescere (linearmente) ad un tasso di circa 4.6 eventi ogni mille anni.

fig2
Fig.2: Numero totale di eventi per anno. Nel grafico sono riportate le estensioni temporali del Periodo Caldo Romano (RWP), del Periodo Caldo Medievale (MWP) e della Piccola Etaà Glaciale (LIA). Le bande verticali grigie mostrano la durata dei minimi solari elencati a destra. Del minimo senza nome noto che à stato riportato in fig.1 dagli autori.

Per capire meglio a quale periodo si debba attribuire la crescita del numero annuale, riporto in fig.3 (pdf) il numero di eventi ripartito per stagione

fig3
Fig.3:Numero di eventi per stagione. Notare la piccola influenza degli eventi di primavera e inverno: questo giustifica l’uso delle sole due stagioni più significative nei grafici successivi. Da notare anche che il numero medio delle piogge autunnali non cambia sensibilmente nei due millenni.

Le piogge autunnali mostrano una frequenza media (quasi) costante per cui la crescita osservata in fig.2 è da attribuire alla crescita delle piogge estive, in contrasto con quanto scritto nell’abstract (a meno che gli autori non si riferiscano ad una freccia del tempo invertita, da oggi al passato).
Questo si vede meglio in fig.4 dove sono mostrati gli eventi delle due stagioni principali. (pdf)

fig4
Fig.4: Numero di piogge in estate e autunno. Notare la crescita dei valori estivi (in rosso).

Allo stesso modo, in fig.5 (pdf) non si vede nessun particolare aumento dello spessore degli strati autunnali e quindi dell’intensità delle precipitazioni. Si osservano due forti picchi di intensità delle piogge nel 223 dC (1727 BP) e nel 900 dC (1050 BP) e, fra alti e bassi, niente che possa far supporre un effetto sistematico, connesso o meno a riscaldamento o raffreddamento.

fig5
Fig.5: Spessori degli strati (in mm) per le stagioni principali (estate, autunno).

Anche i minimi solari non sembrano avere relazione con l’intensità delle piogge, sia estive che autunnali.

C’è però un aspetto che gli autori non sembrano aver notato e che a me è apparso evidente sia in fig.2 che in fig.4: un aumento medio sistematico, seguito da una brusca diminuzione sia durante il MWP che durante la LIA. La stessa cosa non succede durante il RWP nel quale il numero di eventi mostra un comportamento diverso: a fronte di una situazione autunnale quasi inalterata, dall’inizio del MWP il numero di eventi alluvionali estivi si mostra in modo completamente differente rispetto al periodo (direi un raddoppio o una triplicazione del numero medio di eventi estivi). Riassumendo:

  1. Sembra esserci stato un cambiamento, almeno nel numero delle piogge estive, all’inizio del Periodo Caldo Medievale, attorno al 950 dC.
  2. Da questo momento il numero degli eventi (estivi e autunnali) cresce in media fino alla fine del periodo, sia esso caldo o freddo (MWP e LIA), per poi diminuire bruscamente: nel giro di circa 100 anni si passa da 10-12 a 0-2 eventi per stagione.
  3. Il Periodo Caldo Romano è caratterizzato da un numero di eventi estivi compreso tra 0 e 3, praticamente costante per circa 600 anni. Gli eventi autunnali, dopo un picco attorno al 100 dC, diminuiscono di numero in modo più “dolce”, con una pendenza media di circa la metà rispetto ai periodi successivi.
  4. La grandezza che davvero cambia è il numero di piogge estive mentre in autunno, a parte una leggera tendenza all’aumento, il numero non mostra significtivi cambiamenti negli ultimi 2000 anni.
  5. Il periodo attuale è caratterizzato da una forte diminuzione del numero delle piogge: questo farebbe supporre la fine di un periodo climatico e l’inizio di un nuovo regime, caldo o freddo che sia.

Gli spettri

A differenza di quanto è successo finora, i miei spettri sono diversi quelli pubblicati (fig.S5 delle informazioni supplementari): in particolare, gli autori sottolineano la presenza di un picco a 11 anni, di chiara firma solare; una serie di massimi tra 2.5 e 3 anni e tra 6 e 10 anni che sarebbero dovuti alla NAO. E poi massimi a 770, 510, 409, 272, 133 anni per gli eventi estivi e 510, 406, 166, 60 anni per gli eventi autunnali
La fig.6 (pdf) mostra i miei spettri MEM per le due stagioni principali.

fig6
Fig.6: Spettri MEM del numero di eventi nelle due stagioni principali. Gli spettri per tutte le stagioni sono nel sito di supporto.

Si notano 3-4 massimi di cui il primo, a 532 anni e perfettamente collimato tra le due stagioni, è l’intervallo tra MWP e LIA. Gli altri massimi mostrano sfasamenti stagionali e sono probabilmente attribuibili all’intervallo tra massimi secondari e principali di fig.2.
Esistono, solo per gli eventi autunnali, un massimo a 154 anni e un massimo di periodo 62 anni (l’unico in comune con gli spettri degli autori): quest’ultimo è un valore che si incontra frequentemente nell’analisi spettrale di dataset di varia natura. Lo attribuirei all’influenza della NAO sulle precipitazioni del versante alpino meridionale, sottolineando ancora che non c’è alcuna traccia di questo periodo nei dati estivi e che, quindi, la variazione netta del 900-1000 dC sarebbe indipendente dalla NAO.
In fig.7 (pdf) un ingrandimento di fig.6 in cui si notano, forse, deboli e debolissime influenze astronomiche (Sole e pianeti maggiori) con i massimi a 19.5 e 8.97 anni.

fig7
Fig.7: Ingrandimento di fig.6. La scala verticale è amplificata 15 volte. Sottolineo che tutti i miei spettri terminano, per scelta, al periodo di 2 anni (frequenza= 0.5).

In conclusione, la relazione ipotizzata tra periodi climatici e aumento delle piogge a partire dal 900-950 dC è esattamente quello che sembra: un qualcosa che ho notato ma per il quale non ho una giustificazione di tipo fisico (di causa-effetto). E non conosco il perchè del repentino cambiamento di regime delle piogge estive a partire da circa il 1100 dC: dall’essere quasi trascurabili rispetto al numero degli eventi autunnali, al diventare paragonabili e, in qualche caso, più numerosi.
Per gli spettri: ovviamente qui non è in discussione la serietà degli autori e, per quanto riguarda me, dopo anni di verifiche sulla correttezza dei miei spettri e dopo aver ripetutamente controllato le procedure relative a questo caso, non posso che confermare i risultati delle figg.6 e 7, senza però avere una spiegazione sensata per le differenze con gli autori del lavoro.

Tutti i grafici e i dati, iniziali e derivati, relativi a questo post si trovano nel sito di supporto qui

Bibliografia

  1. Stefanie B. Wirth, Adrian Gilli, Anaëlle Simonneau, Daniel Ariztegui, Boris Vannière, Lukas Glur, Emmanuel Chapron, Michel Magny, Flavio S. Anselmetti: A 2000 year long seasonal record of floods in the southern European Alps., Geophysical Research Letters, 40, 1-5. 2013. doi:10.1002/grl.50741.
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Published inAttualitàClimatologia

2 Comments

  1. Luigi Mariani

    Gentle dottor Zavatti,
    grazie anzitutto per l’interessante nota. Circa poi il picco nelle precipitazioni estive che si nota intorno al 1250, esso potrebbe a mio avviso coincidere con la prima avanzata glaciale che prelude alla fine dell’Optimum Climatico Medioevale.
    Il fatto che sia l’abbondante piovosità estiva e non quella autunnale ad innescare il deterioramento climatico che porterà alla PEG mi pare un argomento su cui riflettere (anche in relazione all’atualità).
    Luigi Mariani

    • Sono d’accordo, anche perché quello attorno al 1250 è il primo momento (e
      l’unico negli ultimi 2000 anni) in cui le piogge estive superano in numero
      quelle autunnali (per l’intensità è diverso: dal 1200 circa le
      precipitazioni estive sono sistematicamente più intese di quelle autunnali,
      come si vede in fig.5). Nel periodo che va dal 1500 ad oggi la situazione è
      diversa: le piogge autunnali sono nettamente più frequenti (di circa il 30%
      ai picchi) di quelle estive… chiedo scusa, mi rendo conto che parlare di
      piogge può generare confusione: qui ci riferiamo ad eventi alluvionali che per
      l’autunno sono senz’altro piogge ma per l’estate possono essere e sono
      scioglimento della neve invernale e primaverile e trasporto a fondo valle
      del materiale vario che forma gli strati. Quindi l’aumento della frequenza
      estiva attorno al 1200 va ascritto in gran parte all’aumento delle
      precipitazioni nevose nelle due stagioni precedenti (che infatti mostrano
      incidenza quasi nulla sulle frequenze).
      Riprendendo il discorso dal 1500 ad oggi (ma la stessa cosa era successa
      alla fine del Periodo Caldo Medievale) si può dedurre una diminuzione delle
      precipitazioni nevose dopo il 1820-30, e quindi una diminuzione della
      frequenza estiva, ma anche una minore frequenza autunnale delle piogge.
      Senz’altro tutto questo dipende dalla situazione meteorologica, dalla
      circolazione atmosferica complessiva, ma perché il fenomeno si ripete
      quasi identico a distanza di poco più di 500 anni? Da cosa dipende la
      periodicità? Perché il cambiamento dopo il 1100? E vorrei anche
      sottolineare la presenza, alla fine sia del MWP che della LIA, di un
      “rimbalzo”, un massimo secondario, in particolare nella frequenza delle piogge
      autunnali, centrato nel 1320 e nel 1967-68 e di aspetto quasi identico nei
      due casi, che sembra annunciare la fine di una fase climatica e l’inizio di
      un’altra. I dati non ci permettono di vedere la fine del “rimbalzo” attuale,
      che forse sta avvenendo in questi anni o è appena avvenuto, ma ci permettono
      di pensare al prossimo ingresso di una nuova situazione.
      Ho aggiunto nel sito di supporto il fit lineare degli aumenti e delle
      successive diminuzioni delle frequenze degli eventi. Per maggiore chiarezza
      i fit si riferiscono agli eventi totali annuali e non a quelli stagionali.
      Ho anche aggiunto i valori numerici dei parametri e ricordo che i fit sono
      calcolati per ascisse BP e che quindi il segno delle pendenze è invertito.

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