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Siamo piccoli, molto piccoli. Poche speranze di spodestare la Natura dal centro dell’universo

Quanto è vecchio il mondo? Domanda semplice, basta cercare un po’. L’universo si stima che abbia poco meno di quattordici miliardi di anni, tanti ne sarebbero passati dal big bang; la Terra è un po’ più giovane, giunta a qualcosa di paragonabile all’attuale quattro miliardi di anni fa e mezzo.

Quanto è stata abitabile nel modo in cui la intendiamo tale? Molto, molto meno, se si prende in considerazione l’apparizione degli esseri viventi da cui si è evoluta la nostra specie. Di lì in avanti, però, si è trattato di alti e bassi. Il caso? Sì, se si pensa alla possibilità di farci qualcosa, no se si immagina il sistema intero come qualcosa animato da dinamiche ben precise.

Solo che abbiamo un difetto, di tutto quel che accade, quello di cui no riusciamo a dare una spiegazione tendiamo a considerarlo non vero. E’ il prezzo della ragione, della scienza, ma anche, almeno per alcuni periodi storici, il limite al progresso della conoscenza.

Vivere il pianeta, anche se siamo diventati molto più bravi a gestirne gli effetti, significa avere soprattutto a che fare con i capricci del tempo e del clima. Per il primo nel quotidiano, per il secondo nell’arco di mesi, anni, o ancora di più. Di certo, se caldo e freddo, pioggia e siccità, alternandosi nel breve  hanno decretato i destini di molti nostri simili, le stesse alternanze nel lungo periodo hanno segnato la fortuna o il declino di intere civiltà. Per esempio l’optimum olocenico, senz’altro caldo e favorevole, ha accompagnato lo sviluppo delle civiltà medio-orientali da cui è partita la corsa dell’occidente, passando per l’optimum romano che ha visto la civiltà romana colonizzare l’Europa intera.

Sicché il clima è sempre cambiato, ma perché?

Beh, senza andare troppo per il sottile, lo riassume Henrik Svensmark in un articolo open source uscito su Europhysics News:

Le domande più importanti con le risposte più sorprendenti sono spesso le più semplici a cui rispondere. Una è: Perché il clima cambia in continuazione? Le evidenze storiche e archeologiche di riscaldamento e raffreddamento globale capitati molto tempo prima della Rivoluzione Industriale richiedono spiegazioni naturali.

The daily averages of aerosol and cloud parameters preceding and during Forbush decreases in the cosmic ray flux (red dashed curve), averaged over the 5 strongest events between 1987 and 2005, (a) The Aangstroem exponent from the AERONET data (indicating the density of aerosols in the atmosphere), (b) cloud water content over the oceans (SSM/I data), (c) liquid water cloud fraction (MODIS data), and (d) low IR-detected clouds (ISCCP data).
The daily averages of aerosol and cloud parameters preceding and during Forbush decreases in the cosmic ray flux (red dashed curve), averaged over the 5 strongest events between 1987 and 2005, (a) The Aangstroem exponent from the AERONET data (indicating the density of aerosols in the atmosphere), (b) cloud water content over the oceans (SSM/I data), (c) liquid water cloud fraction (MODIS data), and (d) low IR-detected clouds (ISCCP data).

E’ in pratica un’esegesi della teoria dell’influenza dei raggi cosmici sul clima, della loro interazione con la copertura nuvolosa e quindi con le temperature, passando attraverso le testimonianze di questa relazione che ci giungono dalle serie storiche di molti parametri atmosferici e loro dati di prossimità. Qui sopra la figura 1 dell’articolo cche mostra la stretta relazione tra le variazioni di brevissimo periodo dei raggi cosmici (Forbush Decrease, qui su CM) e vari dataset della copertura nuvolosa. Tra i riferimenti bibliografici anche l’articolo di Shaviv che abbiamo commentato su CM solo un paio di mesi fa. Una lettura semplice ma molto esplicativa.

La trovate qui sulle pagine della rivista on-line e qui in pdf.

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Published inAttualitàClimatologia

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