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Groenlandia: Non sarà stata verde ma è certamente stata più calda

Ormai è noto, quello della Groenlandia che si chiama così perchè i Vikinghi di Eric il Rosso (evidentemente fissati con i colori 🙂 ) l’avrebbero trovata verde in quanto più calda è un mito. L’area dove si stabilirono gli insediamenti poi abbandonati secoli era ed è molto ostile, ma i primi coloni seppero organizzare un’operazione di marketing. A quanto pare però neanche la tempra di quel popolo ha potuto resistere più di tanto in un ambiente così impervio.

Miti a parte, dalla Groenlandia, così come dall’Antartide, le due riserve di ghiaccio permanente sulla terraferma dove è possibile trarre informazioni con i carotaggi, arrivano informazioni preziose riguardo al clima del passato che dovrebbero far riflettere quanti vanno parlando ogni due per tre di disastro climatico alle porte.

Dal sito di Jo Nova, un paio di grafici interessanti tratti da una recente pubblicazione scientifica in cui, per la prima volta, sono stati assemblati e analizzati dei dati di prossimità riferiti a carotaggi nel ghiaccio neanche troppo recenti ma, evidentemente, mai assemblati.

Nel primo, la firma inequivocabile, ancorché regionale (ma lo sono tutti i dati di prossimità), dell’alternarsi di periodi caldi e freddi in epoche in cui di attività antropica davvero non si poteva parlare. Si riconoscono tanto il Periodo Caldo Medioevale che la Piccola Età Glaciale, insieme ad altri eventi di pari ampiezza ma di durata decisamente inferiore, da cui si deduce la sensibilità delle oscillazioni climatiche a scala regionale a fattori indipendenti da quel che succede a macroscala.

greenland-north

Nel secondo, la serie di dati vicari messa in relazione con alcune forzanti “esogene”, tra cui l’attività solare, da cui si evince la relazione Sole-clima, ancorché, sia chiaro, ancora ben lungi dall’essere spiegata e dimostrata. Inoltre, anche la discussione di un evento particolare in chiara controtendenza, in cui l’estensione del ghiaccio marino imprime un feedback locale che sovrasta il segnale delle forzanti esogene. E, infine, la prevalenza di un gradiente di temperatura est-ovest più accentuato di quello nord-sud, a conferma del contributo prevalente delle modalità che assume la circolazione atmosferica sui due versanti a scala temporale interannuale.

greenland2-north

Interessante. Chissà perché ci è voluto così tanto tempo per mettere insieme questi dati.

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Published inAttualitàClimatologia

6 Comments

  1. max

    a proposito di groenlandia:
    di oggi
    http://www.climatecentral.org/news/maps-greenlands-melt-season-19196
    merita un post tutto suo? se non altro per l’abbondanza di luoghi comuni? 😀

    PS: io dove sta la statua di Leif Ericksonn (nella foto in alto) ci sono stato, vi posso garantire che in estate, se il tempo è bello (e lo è quasi sempre, in prossimità dei margini dell’Inlandis l’alta pressione è abbastanza costante), si sta bene a maniche corte, di giorno 😀

  2. Donato

    Una doverosa premessa: gli autori sconsigliano di tradurre i loro diagrammi in termini di temperature assolute a causa della difficoltà di correlare le temperature groenlandesi alle concentrazioni di ossigeno 18. Non esiste, infatti, consenso tra i ricercatori circa il valore dei coefficienti di conversione delle concentrazioni di ossigeno 18 e temperatura atmosferica. Essi hanno definito, pertanto, caldo un campione “ricco” di dell’isotopo 18 dell’ossigeno e freddo un campione “povero” dello stesso isotopo.
    La figura 6 riportata nell’articolo di G. Guidi deve essere letta, pertanto, in questa ottica.
    .
    Tutto ciò premesso in aggiunta alle considerazioni di L. Mariani vorrei far notare come l’attuale periodo caldo non ha nulla di eccezionale o di “senza precedenti” né in intensità, né in lunghezza. Sempre guardando la fig. 6 si vede, infatti, che tra l’850 ed il 1100 è individuabile un periodo di circa 250 anni in cui le anomalie delle temperature possono essere paragonate a quelle attuali. In tale periodo la forma del diagramma e l’intensità delle anomalie sono, infatti, quasi del tutto sovrapponibili a quello del periodo moderno (successivo al 1850 e fin quasi alla fine del secolo scorso).
    .
    Altri aspetti importanti dello studio segnalato da G. Guidi sono, secondo il mio modesto parere:
    – la “riscoperta” dell’influenza solare sul clima della Groenlandia settentrionale;
    – la mancanza di influenza delle eruzioni vulcaniche (sempre sul nord della Groenlandia);
    – una fortissima correlazione con AMO (solo relativamente al periodo 1100-1600 perché nel periodo 1600-1990 tale correlazione scende molto forse a causa di errori nella datazione dell’AMO in questo periodo);
    – la mancanza di una spiegazione logica per l’evento del 1420 di cui ha parlato L. Mariani (tutte quelle prese in considerazione dagli autori sono giudicate poco plausibili da loro stessi);
    – l’indipendenza del clima della Groenlandia settentrionale dalla NAO.
    .
    L’aspetto più importante del lavoro mi sembra, però, quello che riguarda il forte riscaldamento moderno (ECTW) 1920/1940: maggiore di quello fatto registrare tra il 1995 ed il 2005. Esso può essere considerato indipendente da forzanti esterne ed imputato solo a dinamiche interne al sistema climatico che coinvolgono le interazioni atmosfera-ghiacci marini. La cosa rende, secondo gli autori, il nord della Groenlandia un buon posto per seguire le variazioni climatiche al netto delle forzanti esterne: buono a sapersi!
    .
    E dopo il disclaimer iniziale quello conclusivo: le conclusioni di questo studio sono più forti di quelle di altri studi in quanto “riassumono” i dati desunti da una lunga serie di perforazioni effettuate a latitudine, longitudine ed altitudine diverse e non sono, quindi, affette dagli stessi errori delle serie desunte da un un’unica perforazione che possono essere influenzati dalla posizione della perforazione stessa (rappresentano il 10% della superficie groenlandese).
    Molto interessante!
    Ciao, Donato.

  3. Luigi Mariani

    Dal diagramma di figura 6 colpisce anzitutto la potenza del riscaldamento nella prima parte del XX secolo (ETCW), che peraltro i GCM faticano non poco a descrivere in quanto il forcing antropico da CO2 era ancora a livelli relativamente ridotti.
    Si noti poi la potenza del picco intorno al 1420.
    Circa la tua considerazione sul ruolo chiave della circolazione varrebbe la pena di confrontare il diagramma di figura 6 con quello della NAO negli ultimi 1000 anni proposto da Trouet et al nel 2009 (Trouet V., Esper J., Graham N.E., Baker A., Scourse J.D., Frank D.C., 2009. Persistent Positive North Atlantic Oscillation Mode Dominated the Medieval Climate Anomaly, Science, 3 april 2009, Vol 324). Se occorre posso fornirne copia.
    Ciao.
    Luigi

    • Certo Luigi, sarà interessante.
      gg

    • Vorrei far notare come l’aumento di concentrazione di CO2 nell’atmosfera non è stato proporzionale alle emissioni.
      Se nel 1860 la concentrazione di CO2 nell’atmosfera aumentava di 1 ppm per l’emissione antropica di 565 Mt di C;
      nell’anno 2000, per avere lo stesso incremento (1 ppm) sono state emesse ben 4141 Mt di C.

      Maggiori dettagli li trovate qui:
      http://www.sviluppoerisorse.eu/dati/confronti/ConfEmisPpmTemp.aspx

      Per non parlare del decennio finito nel 1950, in cui, a fronte dell’emissione di 13427 Mt di C, non c’è stato nessun aumento di concentrazione della CO2 nell’atmosfera.

    • Se poi guardiamo alla percentuale di CO2 rimasta nell’atmosfera,
      guardando la serie storica dal 1965 al 2015,
      scopriamo che è difficile trovare una correlazione.
      Se nel 1992 solo il 16% della CO2 delle emissioni antropiche è rimasta nell’atmosfera,
      nel 1977 ne è rimasta il 95%.

      Questo porta a credere che non siano le emissioni antropiche le uniche e principali cause dell’aumento di concentrazione di CO2 nell’atmosfera.

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