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Contrordine compagni, l’Artico non si scioglierà (a breve, però)

Una notizia buona ogni tanto non guasta. Per non sbagliare la ripetiamo, perché ne abbiamo parlato anche qualche giorno fa.

Oggi mentre scorrevo, disfatto dalla calura, distrattamente l’home page dell’ANSA, il mio sguardo è caduto su un orso polare che saltava da una lastra di ghiaccio all’altra. Il ghiaccio di questi tempi fa gola e mi sono gettato sulla news .

Roba da non credere: il ghiaccio marino artico ha aumentato il suo volume, nel corso dell’estate del 2013, del 41% su base annua. Detto in altri termini rispetto al 2012 (in cui avevamo avuto una riduzione del suo volume del 14% rispetto all’anno precedente) nel corso del 2013 si è registrato un aumento del volume del ghiaccio marino artico del 41% rispetto al 2013.

La fonte della notizia è il gruppo di studio di CryoSat-2 e, in particolare, uno articolo pubblicato su Nature Geoscience:

Increased Arctic sea ice volume after anomalously low melting in 2013

di R. L. Tilling, A. Ridout, A. Shepherd e D. J. Wingham, da ora Tilling et al., 2015.

Lo studio si basa su oltre 88 milioni di misurazioni effettuate dalla sonda di CryoSat-2 che ha determinato lo spessore del ghiaccio marino artico tra il 2010 ed il 2014. I dati raccolti hanno consentito di ricostruire, per la prima volta, non solo l’estensione e la superficie del ghiaccio marino artico ma anche il suo spessore. Le misurazioni satellitari appaiono in buon accordo anche con i dati provenienti da palloni aerostatici, rilevi elettromagnetici e rilevazioni sonar (circa 80 milioni) effettuate da sommergibili di varia natura che transitano sotto la calotta artica.

Secondo gli autori l’incremento di volume del ghiaccio artico deve essere imputato alle temperature estive del 2013 che sono risultate di circa il 5% più basse del solito. Le basse temperature hanno determinato un rallentamento della fusione dei ghiacci artici che hanno potuto, pertanto, accumularsi soprattutto nel settore a nord della Groenlandia ove hanno raggiunto spessori di molti metri.

La notizia è certamente importante in quanto il volume del ghiaccio artico è diminuito costantemente dalla fine degli anni settanta ad oggi. La velocità del processo di fusione del ghiaccio marino (perdita di volume e di massa) non poteva essere determinata con precisione. Allo scopo di colmare questa lacuna è stata progettata la missione CryoSat-2 che ha cominciato a generare dati a partire dal 2010.

Conoscere la velocità con cui diminuisce la massa del ghiaccio artico consente di verificare le previsioni dei modelli accoppiati oceano-ghiaccio marino e calcolare con precisione la data in cui l’Oceano Artico sarà libero dai ghiacci.

Fin qui le dichiarazioni degli autori ed i comunicati stampa. Come al solito non mi fido mai molto di quanto scrivono i giornali per cui ho cercato di leggere l’articolo (molto breve, ad essere sincero) e studiare un po’ i grafici e le tabelle riportate nell’articolo. La fig. 1 mostra in modo plastico l’aumento dello spessore del ghiaccio nell’area a nord della Groenlandia tra il 2010 ed il 2014 sia nel periodo autunnale (ottobre-novembre) che in quello primaverile (marzo-aprile).

La tab. 1 rappresenta in forma numerica quanto dedotto dalle tavole grafiche. Il volume totale di ghiaccio autunnale passa da oltre 9000 km3 nel 2010 ad oltre 10000 km3 nel 2012 e 2014 (passando per un minimo di circa 8000 km3 nel 2011 e 2012).  Il volume totale di ghiaccio primaverile ha un andamento diverso: passa da oltre 25000 km3 nel 2010 ad oltre 26000 km3 nel 2014 senza far registrare le oscillazioni che hanno caratterizzato il volume autunnale. Per comodità espositiva i dati da me forniti sono arrotondati e privi di intervalli di incertezza ed hanno solo lo scopo di fornire gli ordini di grandezza delle quantità in gioco: nell’articolo i numeri sono riportati senza approssimazione e con i relativi margini di incertezza.

Tilling et al., 2015 ha posto a confronto anche le previsioni di un modello accoppiato oceano-criosfera (PIOMAS) con i dati rilevati da CryoSat-2. I grafici di fig. 2 e fig. 3  (quadro a), a mio giudizio dimostrano che PIOMAS sottostima i massimi  primaverili mentre riesce a replicare efficacemente i minimi autunnali. Il modello risulta molto in accordo con i dati rilevati per quel che riguarda i giorni di fusione durante l’anno.

Questa prima serie di misure ha consentito, pertanto, di appurare che PIOMAS riesce a replicare abbastanza bene il reale comportamento del ghiaccio marino artico per cui le sue previsioni possono considerarsi affidabili. Questa conclusione degli autori mi lascia un poco perplesso perché cinque anni di dati difficilmente possono rappresentare un test significativo per un modello matematico. Il fatto che esso è riuscito a rappresentare la realtà, seppur per un periodo molto corto, lascia, però, ben sperare per il futuro.

Possiamo, quindi, tirare un bel sospiro di sollievo circa le sorti dei ghiacci marini artici? Neanche per sogno in quanto, per usare un’espressione di uno degli autori  (Andy Shepherd) in un comunicato stampa: “La comprensione dei meccanismi che controllano la quantità del ghiaccio artico, un elemento fondamentale delle dinamiche del sistema globale del clima, ci porta un passo più vicini ad avere previsioni affidabili su quanto durerà. Con questo aumento di volume è improbabile che la regione sia libera dai ghiacci questa estate, ma ci aspettiamo un nuovo aumento delle temperature in futuro: ciò significa che gli eventi del 2013 hanno semplicemente riportato indietro le lancette di qualche anno”.

Si tratta del solito tributo da pagare al catastrofismo imperante? Vedremo. Nel frattempo godiamoci questo insperato recupero del ghiaccio marino artico. Nel passato a chi, come me, faceva notare che la superficie del ghiaccio era stabile o in lieve aumento, si replicava che quel che contava era il volume che era in diminuzione. Oggi possiamo dire che la stabilità riguarda non solo la superficie del ghiaccio artico, ma anche il volume. Non sappiamo se questa stabilità proseguirà anche nel medio e lungo periodo, per ora accontentiamoci. La cosa certa è che il ghiaccio artico ci farà compagnia ancora per un bel pezzo e questa è un’ottima notizia.

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Published inAttualità

16 Comments

  1. Possiamo, quindi, tirare un bel sospiro di sollievo circa le sorti dei ghiacci marini artici?”
    Certo che no, Donato, come dici nel post ricordando opportunamente le parole degli autori. Però nella Tab2 delle informazioni supplementari c’è una rassicurante lista dei tassi di crescita del volume del ghiaccio autunnale in 10 regioni marine, tutti positivi (in altre 6 regioni sono nulli). Nella parallela lista per il ghiaccio primaverile i tassi sono negativi in due soli bacini (mare della Groenlandia e Bacino euroasiatico) e nulli in altri due mari e per il resto sono positivi. Direi che c’è da sperare.
    Sono anche impressionato dalla capacità di PIOMASS di prevedere i dati (hai ragione: sottostima i massimi autunnali, in particolare l’ultimo), in particolare i giorni di scioglimento del ghiaccio. Grazie per avermi fatto conoscere questo aspetto.
    Franco

    • donato

      Franco, l’andamento degli ultimi cinque anni è rassicurante, ma non possiamo intonare peana di trionfo perché, come credo che tu converrai, la serie è troppo breve. L’autocorrelazione dei dati è piuttosto forte (quest’anno, per esempio la progressione della superficie dei ghiacci marini artici è praticamente identica al 2013 ed al 2014 per cui non dovremmo avere sorprese), ma la suscettibilità a improvvisi mutamenti meteorologici non deve farci restare tranquilli.
      E poi bisogna vedere che cosa succede su periodi climatologici.
      Ciao, Donato.

  2. Uno dei problemi fondamentali di oggi deriva dai GIORNALISTI.
    Quando i media generalisti parlano o scrivono di argomenti tecnici cadono nell’errore (ORRORE) di non verificare le notizie. Si affidano al primo fantomatico esperto prendendo per oro colato tutto quello che dice. Il contraddittorio, fondamentale per la scienza, NON ESISTE. Ma soprattutto è irrilevante !
    Soprattutto se dall’argomento si ottiene un titolone da SCOOP.
    Ecco quindi i titoloni altisonanti ma soprattutto impossibili da verificare (perchè a lunghissimo termine) che, davanti al grande pubblico, fanno diventare la scienza del clima una grande bufala.

    • donato

      “Ecco quindi i titoloni altisonanti ma soprattutto impossibili da verificare (perchè a lunghissimo termine) che, davanti al grande pubblico, fanno diventare la scienza del clima una grande bufala.”
      .
      Più che una grande bufala un grande “al lupo, al lupo!” che fa perdere credibilità a tutto il settore. Da un’indagine dell’ONU sembrerebbe, infatti, che su dieci argomenti di interesse mondiale, il cambiamento climatico occupa il decimo posto (l’ultimo) come fonte di preoccupazione degli intervistati. Considerando il battage pubblicitario, non c’è male.
      Ciao, Donato.

  3. Fabio Vomiero

    Il 2013 infatti, in Artico, sembra essere stato un anno molto interessante sotto il profilo dei dati della banchisa a settembre (quando si misura il minimo annuo), in quanto si notano grossi recuperi sia in termini di estensione, (con un anomalo naso di ghiaccio che si estende verso le coste della Siberia orientale), sia in termini di volume, che di spessore medio del ghiaccio, con un passaggio a Nord Ovest finalmente impraticabile dopo molti anni di libero accesso. Un “en plein” come si usa dire, peraltro del tutto inaspettato, anche se, dobbiamo ricordare che l’anno precedente (il 2012), al contrario, probabilmente aveva battuto ogni record negativo di estensione, almeno da quando esistono le rilevazioni satellitari. Secondo me possono emergere le seguenti considerazioni.
    1. Occorre come sempre, tenere comunque ben distinte le fenomenologie di carattere stagionale (influenzate dal meteo), da quelle di carattere climatico e quindi dal trend sul lungo periodo che continua ad essere comunque sostanzialmente negativo.
    2. Le temperature estive in artico sembrano quindi rappresentare un punto critico fondamentale per l’esito stagionale della banchisa, e ciò non è affatto scontato, perché si parla spesso anche di contributi di pattern circolatori, correnti marine, attività geologica, albedo e quant’altro. Certamente pattern circolatori e temperature sono legati tra di loro da una corrispondenza biunivoca.
    3. Come metteva bene in evidenza Guidi in un post precedente, il lavoro sembra rafforzare il concetto di come il ghiaccio artico possa essere più resiliente di quanto forse si potesse immaginare.
    4. Il fatto di per sé, non è comunque straordinario, almeno per il momento, in quanto già da tempo i modelli climatici sembrano pronosticare per il futuro un sensibile aumento della viabilità interannuale della banchisa in estate (fonte NSIDC).

    Infine volevo cogliere l’occasione per far notare in una frase di Donato, a mio avviso emblematica, “come al solito non mi fido mai molto di quanto scrivono i giornali per cui ho cercato di leggere l’articolo”, cosa significhi in realtà essere consapevolmente critici dal punto di vista scientifico. Perché è questo l’atteggiamento più corretto che ci insegna la scienza, che poi è l’esatto contrario di come invece, tende a ragionare molta gente comune, per stereotipi, per luoghi comuni, per sentito dire, purtroppo.
    Saluto tutti cordialmente

    • Donato

      Fabio, come al solito i tuoi commenti offrono sempre spunti di riflessione.
      In merito ai punti 1) e 2) sono completamente d’accordo in quanto oscillazioni ad alta frequenza come quelle del 2012 e del 2013 sono imputabili al tempo meteorologico e non al clima. Si sapeva che il ghiaccio artico è fortemente sensibile ai venti e le boe che tracciano il movimento della banchisa polare lo testimoniano. Eppure il minimo del 2012, chiaramente dovuto a particolari condizioni meteorologiche, è stato attribuito al cambiamento climatico anzi è stato indicato come un inequivocabile segno del disfacimento climatico in atto. Tilling et al., 2015 ha calcolato l’incidenza dei fattori che determinano la variabilità interannuale del ghiaccio artico marino scoprendo che il fattore che presenta una correlazione maggiore è costituito dal numero di giorni di fusione (R2=0,78) seguito dal vento (R2=0,38). Entrambi i fattori mi sembrano fortemente legati al tempo meteorologico più che a fattori climatici. Per quel che riguarda il numero di giorni di fusione del ghiaccio, bisogna riconoscere che a partire dal 1979 è aumentato in modo costante, per cui esso contiene quasi certamente una traccia climatica. A questo punto sorge una domanda: perché il numero di giorni di fusione è aumentato dal 1979?
      La risposta a questa domanda potrebbe rappresentare la soluzione del problema della fusione dei ghiacci artici marini. La più banale delle risposte potrebbe essere perché le temperature nell’Artico sono aumentate. Tale risposta non sarebbe, però, sufficiente in quanto non sono solo le temperature a influenzare la fusione del ghiaccio, ma tutta una serie di fattori che hai indicato nel punto 2).
      Come si vede lo studio per trovare la soluzione è ancora lungo 🙂 .
      Ciao, Donato.

    • Qui c’è un’interessante approfondimento sulle condizioni meteorologiche prevalenti per i primi mesi della stagione di scioglimento.
      gg

  4. alessandrobarbolini

    I vari Mercalli lombroso saranno il.lutto…
    Anzi negheranno

    • Macché lutto, macché negazione. Semplice omertà.

  5. Prima di tutto una domanda:
    .
    “La velocità del processo di fusione del ghiaccio marino (perdita di volume e di massa) non poteva essere determinata con precisione. Allo scopo di colmare questa lacuna è stata progettata la missione CryoSat-2 che ha cominciato a generare dati a partire dal 2010. […] La notizia è certamente importante in quanto il volume del ghiaccio artico è diminuito costantemente dalla fine degli anni settanta ad oggi. “
    .
    Ma quanto sono affidabili le ricostruzioni pre-2010? Voglio dire, se solo ora abbiamo uno strumento (peraltro, come dici, ancora da tarare) che è in grado di darci con precisione l’andamento del volume, cosa sappiamo realmente di quello che succedeva prima? Non può essere che il ghiaccio superficiale si scioglieva, mentre quello sommerso aveva un andamento ballerino?
    .
    Seconda considerazione:
    .
    “Secondo gli autori l’incremento di volume del ghiaccio artico deve essere imputato alle temperature estive del 2013 che sono risultate di circa il 5% più basse del solito. Le basse temperature hanno determinato un rallentamento della fusione dei ghiacci artici che hanno potuto, pertanto, accumularsi soprattutto nel settore a nord della Groenlandia ove hanno raggiunto spessori di molti metri.”
    .
    Dopo che ne avete parlato qui – nei giorni scorsi leggevo vari commenti alla previsione di un nuovo minimo di Maunders per il 2030: i più si sono affrettati a sostenere che gli effetti saranno “trascurabili”. Eppure, se non erro, il minimo precedente fece la differenza tra fiumi gelati in superficie o no in Europa centrale. Se un calo della temperatura del 5% è in grado di far lievitare il ghiaccio del 40%, a spanne il nuovo minimo solare potrebbe avere un grande impatto sul ghiaccio artico… no?

    • Donato

      Fabrizio, per quel che ho potuto capire le osservazioni satellitari sistematiche dell’Artico iniziarono nel 1979: da allora la superficie, l’estensione e la concentrazione dei ghiacci artici marini sono noti con precisione accettabile. In precedenza le osservazioni satellitari erano più sporadiche e le carte artiche abbastanza approssimative.
      Il PIOMAS dispone di stime del volume dei ghiacci artici a partire dal 1979 e, credo, che tali stime siano state effettuate sulla scorta di dati estemporanei relativi allo spessore. Nell’articolo gli autori fanno riferimento a qualcosa come 80.000.000 di misure derivate da profili sonar effettuati da sottomarini, rilievi effettuati da palloni-sonda (circa 80000) e via cantando.
      La novità di CryoSat-2 consiste nel fatto che l’altimetro di cui è dotato esegue misure sistematiche del “livello” del ghiaccio marino. Lo spessore del ghiaccio viene desunto dalle condizioni di equilibrio idrostatico dello stesso e non in modo diretto. In altre parole assunta una certa densità, si determina lo spessore immerso a partire da quello emerso.
      Il sistema, a mio avviso, funziona bene per le anomalie in quanto le variazioni di livello dello stesso punto tra due rilievi successivi, consente di determinare subito e con affidabilità la variazione di spessore, meno semplice e certa, invece, è la determinazione del volume assoluto o dello spessore assoluto del ghiaccio artico.
      Diciamo che con CryoSat-2 è aumentata la precisione delle misurazioni (il margine di errore è di qualche millimetro) e quindi delle stime in quanto i ricercatori hanno avuto modo di costruire una griglia piuttosto dettagliata con cui determinare il volume del ghiaccio marino artico. L’omogeneità delle misure è, inoltre, sicuramente maggiore rispetto al passato.
      .
      Per quel che riguarda il minimo solare prossimo venturo (se ci sarà 🙂 ) se come abbiamo scoperto qualche giorno fa il massimo solare ha raffreddato la Groenlandia con uno sfasamento di circa 11 anni, potremmo dedurre che un minimo solare potrebbe sortire l’effetto contrario 🙂 .
      A parte gli scherzi penso che dobbiamo stare attenti a creare dei legami diretti tra il sistema climatico e i fattori capaci di modificarlo: è troppo complesso, secondo me, per creare delle relazioni dirette. La linearità non fa parte del sistema climatico terrestre: né per la CO2, né per il resto. E’ l’unica cosa relativa al clima di cui, dopo tanto tempo passato a studiare, mi sono convinto.
      Ciao, Donato.

    • “Il PIOMAS dispone di stime del volume dei ghiacci artici a partire dal 1979 e, credo, che tali stime siano state effettuate sulla scorta di dati estemporanei relativi allo spessore. Nell’articolo gli autori fanno riferimento a qualcosa come 80.000.000 di misure derivate da profili sonar effettuati da sottomarini, rilievi effettuati da palloni-sonda (circa 80000) e via cantando.
      La novità di CryoSat-2 consiste nel fatto che l’altimetro di cui è dotato esegue misure sistematiche del “livello” del ghiaccio marino. ”

      Ma era proprio il mio punto (anche se dopo il tuo intervento ho capito meglio qualcosa). Riassumo, e vediamo se ho capito veramente: il dato del volume è misurato per proxy, in maniera indiretta. Ma diciamo che dal 2010 il proxy è decisamente migliore (mi sembra evidente che un satellite può campionare meglio di qualche sottomarino). Sicuri sicuri che l’effetto del 2013 sia veramente nuovo, o magari il proxy precedente era troppo grossolano? Oppure solo la temperatura misurata dalle boe è soggetta ad aggiornamento sistematico? Ovviamente verso l’alto 🙂 Scherzi a parte, mi pare di aver capito che le misurazioni proxate delle temperature globali nel passato sono state riaggiustate molte volte.

      PS Se poi gli effetti del possibile venturo minimo di Maunders si vedranno nel 2050 o nel 2035, poco mi cambia 🙂 Il mio punto riguarda la facilità con cui il ghiaccio si riformerebbe.

    • donato

      Si, in effetti è proprio così.
      Ciao, Donato.

  6. Se parliamo di ghiacci sulla Groenlandia, è chiaro che essi ci saranno ancora per parecchi secoli, anche perché se si fa un calcolo termodinamico, è impossibile sciogliere tutto quel ghiaccio in periodi più brevi, anche se le temperature aumentassero di parecchi gradi.
    Invece, il ghiaccio marino (25.000 kmc), che è solo una piccola percentuale (1 %) di quello della Groenlandia (3.000.000 kmc); non è detto che riesca a resistere per un lungo periodo.

    Vi chiedo:
    la maggiore umidità, dovuta a temperature anche maggiori del solito o a Venti in direzione Artica, non possa aver fatto aumentare le nevicate nell’Artico e quindi la dimensione e spessore del ghiaccio?

    • Donato

      Secondo gli autori dell’articolo la neve ha influenzato in modo del tutto marginale la variazione del volume dei ghiacci artici (< del 5%). I fattori che maggiormente hanno influenzato l'incremento del volume dei ghiacci artici sono stati i venti ed i giorni di fusione degli stessi durante l'anno.
      .
      Per il resto non so se storicamente il volume dei ghiacci artici è stato molto più grande di quello di oggi. Dal 1979 l'Artico sta perdendo circa 3000+/-1000 chilometri cubi di ghiaccio marino per decade ( http://psc.apl.washington.edu/wordpress/wp-content/uploads/schweiger/ice_volume/BPIOMASIceVolumeAnomalyCurrentV2.1.png ). Di questo passo il ghiaccio marino artico dovrebbe scomparire (in estate) nell'arco di 30/40 anni. Negli ultimi 5 anni questa tendenza si è invertita come ci consente di affermare sia il PIOMAS sia lo studio di cui stiamo parlando. Per sapere cosa sia successo prima del 1979 ci vorrebbe la palla di vetro così come per conoscere il futuro. Tutto dipende dai venti e dal numero di giorni all'anno di fusione. Solo il tempo ci dirà cosa succederà, il resto sono solo speculazioni. Cinque anni fa nessuno avrebbe scommesso un centesimo sulla ripresa dei ghiacci artici, oggi è una realtà. Tra dieci anni? Forse non ci sarà più ghiaccio artico in estate, ma potrebbe anche darsi che esso sia ancora in crescita. Allo stato NON abbiamo alcun modello matematico che sia in grado di prevedere il volume del ghiaccio artico da qui al 2025 (ma neanche al 2016 🙂 .
      Ciao, Donato.

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