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La NAO, l’AMO e i ghiacciai del Nord Europa

E’ apparso ieri l’altro su Science Daily il lancio di un paper piuttosto interessante. Leggendo sia l’articolo di SD che l’abstract del paper, non si può fare però a meno di notare una cosa: nelle discussioni sugli effetti della circolazione atmosferica sul territorio, si tratti di temperature, di piovosità o, come nella fattispecie, di massa glaciale, c’è sempre un grande assente, la distribuzione della massa atmosferica ed il ruolo che questa ha nel battere il tempo del clima.

E questo accade anche quando si affrontano esplicitamente discussioni sugli indici che esprimono appunto la posizione dei centri di massa in atmosfera. E’ direttamente il caso della NAO, che sta per North Atlantic Oscillation, che altro non è che la differenza tra la pressione atmosferica misurata alle Isole Azzorre ove risiede l’omonimo anticiclone permanente, e l’Islanda dove c’è l’omonima depressione semi-permanente.

Modelling annual mass balances of eight Scandinavian glaciers using statistical models

Lo studio è di per se un’analisi statistica comparativa tra l’avanzata o regresso dei ghiacciai sulla terraferma della Scandinavia e le precipitazioni invernali e temperature estive dell’area. Questo perché, la quantità di precipitazioni nella stagione fredda è alla base dell’apporto di massa, mentre le temperature estive incidono sullo scioglimento e sull’ablazione.

Tanto la piovosità invernale quanto le temperature estive, specie se analizzate nel lungo periodo, sono regolate dalla circolazione atmosferica, cioè da dove va a disporsi la fascia di massimo gradiente termico – tecnicamente il flusso perturbato principale – ossia la fascia di contatto tra l’aria fredda delle depressioni sub-polari e quella più temperata dell’anticiclone atlantico. D’inverno, ad un gradiente elevato, ossia ad alte differenze di temperatura e pressione atmosferica (depressioni profonde e anticiclone robusto) corrisponde un indice NAO in territorio positivo, fattore che favorisce delle traiettorie alte di latitudine per il flusso principale e le perturbazioni che trasporta, quindi una elevata piovosità sul Nord Europa. Per converso, a gradienti più attenuati, che esprimono debolezza dell’anticiclone, corrisponde un indice NAO negativo con flusso principale basso di latitudine e perturbazioni più facilmente dirette verso il Mediterraneo, quindi minor piovosità per il Nord Europa. D’estate, tutta la configurazione sale mediamente di latitudine, la piovosità, spesso liquida e non in forma nevosa, cessa di apportare massa e la posizione delle aree anticicloniche detta il ritmo delle temperature estive, che quindi diventano determinanti nel bilancio di massa.

Quindi i ghiacciai del Nord Europa crescono/si ritraggono se l’inverno è più umido/più secco e se l’estate è più fresca/calda.

Tutto questo, parte dalla quantità di calore trasportata nel lungo e medio periodo dall’oceano, ovvero dal segno dell’indice AMO che esprime le variazioni multidecadali delle temperature superficiali dell’Atlantico e quindi anche le modalità nel lungo periodo con cui quella porzione di massa oceanica compie il lavoro di redistribuzione del calore dall’equatore verso i poli , implica cessione di calore all’atmosfera alle alte latitudini e contributo alla massa atmosferica, per giungere nel breve periodo alla posizione dell’anticiclone e delle depressioni. La distribuzione della massa quindi regola quel che accade al clima e al tempo in modo molto più chiaro e diretto di quanto non possa farlo il trend delle temperature medie superficiali, che ancora nessuno ha messo in relazione spiegabile con la posizione dei centri di massa.

Ancora interessante, in questo lavoro, è l’attribuzione del peso statistico dei due fattori piovosità invernale e temperature estive nel tempo. La prevalenza dell’uno o dell’altro in diversi periodi segue l’andamento delle oscillazioni dell’AMO e della NAO. Con il primo indice negativo e il secondo positivo, meno calore verso i poli e maggiore piovosità sul Nord Europa i ghiacciai sono cresciuti. Un periodo in cui sono scese anche le temperature medie superficiali. Con l’inversione del segno dell’AMO e della NAO, è accaduto il contrario. Fino a che non sarà possibile separare questi segnali dal trend delle temperature medie superficiali, ovvero capire quanto ci sia di esogeno (antropico) e di endogeno (naturale) in questo trend, parlare di regresso dei ghiacciai, di variazione della piovosità e di variazione delle temperature nel medio e lungo periodo climatico per cause esclusivamente antropiche è fuorviante. A dir poco.

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Published inAttualitàClimatologiaMeteorologia

3 Comments

  1. max

    vado un attimo fuori tema, ma la curiosità è troppo forte:

    “..Isole Azzorre ove risiede l’omonimo anticiclone permanente, e l’Islanda dove c’è l’omonima depressione semi-permanente…”

    ora, io sono stato sia alle Azzorre che in Islanda, e posso garantire a tutti che il meteo delle Azorre, fatta salva una T media di circa 15°/20° superiore, ha una variabilità e una piovosità fin troppo simile e paragonabile all’Islanda… ma l’anticiclone perché ha preso questo nome? 😀

    • Max, la tua curiosità è legittima.
      In effetti l’anticiclone delle Azzorre passa molto tempo nell’area, ma è anche soggetto a variazioni di robustezza e posizione. La sua origine è la discendenza della cella di Hadley, quindi ne segue l’espansione/contrazione in ragione della pressione esercitata dal getto polare. Di qui il frequente transito di perturbazioni.
      Inoltre, quando è invece bel saldo, l’inversione generata dalla subsidenza al top del boundary layer, genera a sua volta molta nuvolosità in forma di stratocumuli, che non sono proprio associabili al solleone. In condizioni post-frontali, infine, l’aria fredda sul mare genera altre nubi, le celle convettive di stabilità (OCC open convective cells o CCC closed convective cells) qualcosa di molto simile a un nido d’api e con struttura che ricorda un frattale. In effetti sull’oceano, almeno da quelle parti, il cielo sereno è un optional e il clima, sebbene mite, è molto umido. Del resto non potrebbe essere altrimenti. In sostanza Max, alta pressione non significa necessariamente bel tempo :-).
      gg

  2. Luigi Mariani

    Guido,
    non molto tempo fa ti inviai una mail in cui evidenziavo che l’aumento delle temperature globali negli ultimi 100 anni visto attraverso i dati di dataset globali del tipo di Hadcrut nasconde in realtà due componenti e cioè:
    – una componente di trend lineare (+0.75°C sul periodo 1908-2007)
    – una componente ciclica con periodo di circa 60 anni e che si lega alla ciclicità dell’AMO e che nei periodi negativi è in grado di mascherare il trend lineare mentre in quelli positivi lo enfatizza.
    Una tale chiave di lettura è purtroppo possibile solo per un paio di secoli, da quando cioè abbiamo misure strumentali.
    Volendo andare più indietro mi vengono in mente i depositi di torba, che fra l’altro furono fra i primi proxy utilizzati nel XIX secolo dai paleoclimatologi per periodizzare il clima olocenico. In particolare il botanico norvegese A. Blytt (1843-1898) studiò le torbiere del Nord Europa elaborando una periodizzazione con alternanza di periodi umidi (accrescimento della torba) e aridi (pedogenesi della torba). Egli riconobbe così 4 fasi: BOREALE (arida), ATLANTICO (umida) SUB-BOREALE (arida) e SUB-ATLANTICO (umida). Richiamando gli schemi circolatori da te presentati, la fase atlantica è quella in cui sul Centro-Nord Europa domina la circolazione da ovest (fase a westerlies intese = NAO positivo) mentre nella fase boreale le westerlies sono deboli (=NAO negativo) e sono frequenti gli impulsi da est.
    Agendo secondo tal schema Barber (2001) operando su torbiere del centro-nord Europa individuò i seguenti macroperiodi umidi (bp=anni da oggi): 8200-7800 bp, 4200-4000 bp, 2800-2300 bp, 600-700 d.C., 900-1000 d.C., 1350-1500 d.C., 1650-1800 d.C.
    Una volta perso atto di questa periodizzazione “grossolana” occorrerebbe sovrapporle le ciclicità sessantennali di AMO in modo da definire dei sottoperiodi omogenei.

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