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Integrazione di dati di superficie e satellitari

Tra tutti gli sconvolgimenti dei dataset tradizionali cui abbiamo assistito in questi ultimi tempi, mi sono chiesto se non fosse possibile integrare le anomalie di temperatura di due insiemi di “osservazioni” (in realtà due serie di valori ottenuti dalle osservazioni, dopo ampi e più o meno discutibili processi di ricostruzione) che normalmenbte sono tenute rigorosamente separate: i dati NOAA, recentemente ristrutturati nelle temperature oceaniche, e i dati satellitari UAH per la bassa troposfera (LT), anch’essi rielaborati nella versione 6.0 beta3 (finora l’unica modifica importante, dopo 25 anni di osservazioni).

  • I primi usano le misure al suolo (2 metri) di alcune migliaia di stazioni sparse su tutta la Terra e, tramite algoritmi di “omogenizzazione”, tentano di correggere distorsioni nelle osservazioni (ad esempio l’effetto isola di calore nelle città) o mancanze (buchi) nella distribuzione spaziale delle stazioni meteorologiche; usano poi le misure di temperatura superficiale del mare tramite boe oceaniche (sistema Argo) e in precedenza -e in parte anche adesso- tramite i condotti di acquisizione di acqua di raffreddamento per i motori delle navi. Le boe sono precise ma la loro distribuzione spaziale è tutt’altro che uniforme mentre i condotti di raffreddamento risentono della relativa vicinanza ai motori e del fatto che navi di tonnellaggio diverso acquisiscono acqua a diversa profondità. Questi dati hanno però il vantaggio di andare indietro nel tempo e di iniziare nel 1860.
  • I secondi, essendo osservazioni da satellite, devono forzatamente integrare colonne di atmosfera e quindi derivare temperature che solo parzialmente sono sovrapponibili ai dati NOAA; soffrono poi di problemi legati ai satelliti (ad es. il drift diurno) e agli strumenti di osservazione (ad es. la dimensione della superficie terrestre usata per la singola misura, cioè la risoluzione spaziale dei sensori a bordo). Hanno il vantaggio, però, di poter osservare in modo uniforme -e con lo stesso strumento- l’intera superficie terrestre e quindi senza la necessità di interpolare tra stazioni distanti e/o disomogenee. Purtroppo questi dati sono “giovani” ed iniziano a dicembre 1978.

Anche da questa breve disamina, parziale e superficiale, sembrerebbe che le due serie vadano trattate separatamente come tutti -anche io- abbiamo sempre fatto.
Però, dopo aver letto questo post su WUWT, ho tentato di ricostruire la prima delle figure utilizzando i dati UAH6 (chiamerò così la versione 6.0 beta3) fino a luglio 2015 come “dati osservati” e i dati NOAA (di giugno 2015) come “dati omogeneizzati”. Il risultato è in fig.1 (pdf).

fig1
Fig.1. a) confronto fra i dati NOAA (scalati di -0.42°C) e i dati UAH6; b) differenze tra i due dataset (UAH6-NOAA); c) relazione tra le differenze mostrate in b) e la concentrazione di CO2 a Mauna Loa (R2=0.087).

Come si vede dal quadro c), la relazione tra le differenze UAH6-NOAA e la concentrazione di CO2 è debole (R2=0.087) anche se è nel senso che NOAA ha valori più elevati di UAH6 al crescere della CO2. Questa relazione non è certo quella vista su WUWT e non ne parlerò ancora. Mi interessa mettere in evidenza che nei quadri a) e b) appare chiaramente che i due dataset sono molto simili ma con una differenza nella pendenza complessiva. La scalatura di -0.42 °C è arbitraria e dovrebbe dipendere dalla differenza tra le basi scelte per derivare le anomalie. Non ho però fatto alcun controllo a questo riguardo.

Per cercare di circostanziare meglio, ho utilizzato il criterio di un mio post precedente che definiva l’inizio della pausa per i dati NOAA a gennaio 2001. In fig.2 a) (pdf), mostro i due dataset originali e, nel quadro b), i dati NOAA scalati e i fit lineari per entrambi, divisi in due parti: da dicembre 1978 a dicembre 2000 e da gennaio 2001 a giugno 2015.

Fig.2. a) dati originali (non scalati); b) fit lineari dei dati scalati, prima e dopo gennaio 2001. Le pendenze riportate sono, per ognuno dei dataset, in alto per la prima parte e in basso per la parte finale.
Fig.2. a) dati originali (non scalati); b) fit lineari dei dati scalati, prima e dopo gennaio 2001. Le pendenze riportate sono, per ognuno dei dataset, in alto per la prima parte e in basso per la parte finale.

La fig.2 dimostra che i due dataset sono, in media, praticamente indistinguibili fino a dicembre 2000 anche se esistono differenze locali. In realtà le due serie sono molto simili fino alla fine del 2007 ma, usando il criterio esposto, considero come punto di separazione l’inizio della pausa. Dal 2001 la divergenza si accentua, essendo nulla la pendenza di UAH6 e pari a 0.1 °C/decade quella di NOAA. Come ho scritto in precedenza, UAH6 è omogeneo e non richiede le continue correzioni di NOAA: mi sento quindi autorizzato a pensare che UAH6 sia attendibile dal 2001 in poi come lo era fino al 2000 e ad utilizzare i dati NOAA scalati (ripeto, in media uguali a UAH6) dal 1860 al 2000 e i dati UAH6 dal 2001 in poi per costruire un dataset che, almeno nelle intenzioni, possa unire i vantaggi di entrambe le serie.
Il risultato finale è mostrato in fig.3 a) (pdf). Il confronto di questo dataset con NOAA di luglio 2015 mostra che le due pendenze sono, rispettivamente, 0.064±0.001 e 0.067±0.001°C/decade, con R2 uguale a 0.673 e 0.687.

Fig.3. a) Dataset composito, indicato come MIXED: NOAA (azzurro) dal gennaio 1860 al dicembre 2000 e UAH6 (nero) da gennaio 2001 a luglio 2015. b) Spettro MEM di MIXED.
Fig.3. a) Dataset composito, indicato come MIXED: NOAA (azzurro) dal gennaio 1860 al dicembre 2000 e UAH6 (nero) da gennaio 2001 a luglio 2015. b) Spettro MEM di MIXED.

Il quadro b) della fig.3 mostra lo spettro MEM del dataset composito, da confrontare con lo spettro dei dati NOAA di luglio 2015 in fig.4.

Fig.4. Spettro MEM dei dati NOAA (terra+oceano) di luglio 2015. I due quadri in basso sono ingrandimenti del grafico in alto. Per il significato della riga verticale arancione si può vedere questo post su CM.
Fig.4. Spettro MEM dei dati NOAA (terra+oceano) di luglio 2015. I due quadri in basso sono ingrandimenti del grafico in alto. Per il significato della riga verticale arancione si può vedere questo post su CM.

Dal confronto, sembra che la piccola percentuale di dati UAH6 usata permetta di definire meglio il massimo a 60 anni che nei dati solo NOAA appare meno netto e posizionato a circa 67 anni. Il massimo di 60 anni mostra una potenza circa tre volte superiore a quello solo NOAA (67 anni) mentre gli altri massimi, tutti presenti in entrambi gli spettri anche se con rapporti di potenza diversi, mostrano potenze simili.

Un commento su UAH6: nel post sull’inizio della pausa, citato in precedenza, a proposito di UAH5.6 scrivevo “… mostrano solo pendenze positive e quindi non è presente lo iato” e nei commenti Donato Barone faceva notare che era in preparazione la nuova versione 6 dei dati. Ho applicato i criteri descritti ai nuovi dati UAH6 che ora mostrano una pausa da aprile 2001. Una versione del post aggiornata a UAH6 è disponibile qui.

In conclusione, credo che l’integrazione dei due dataset NOAA e UAH6 sia possibile per avere contemporaneamente omogeneità delle misure ed estensione temporale. Dalla fig.2 si vede che probabilmente sarebbe possibile utilizzare l’omogeneità di UAH6 dal dicembre 1978, per costruire il dataset composito ma ho preferito usare i dati satellitari solo dove le differenze appaiono sistematiche e più marcate.

Tutti i grafici e i dati, iniziali e derivati, relativi a questo post si trovano nel sito di supporto qui

Bibliografia
Karl T.R., Arguez A., Huang B., Lawrimore J.H., McMahon J.R., Menne M.J., Peterson T.C., Vose R.S., Zhang H.-M.: Possible artifacts of data biases in the recent global surface warming hiatus, doi:10.1126/science.aaa5632, 2015


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Published inAttualitàClimatologia

Un commento

  1. Donato

    Quando ho visto il pannello b) della fig. 3 del post di F. Zavatti ho avuto un sobbalzo: il periodo di 60 anni spicca in tutta la sua potenza evidenziando la correlazione tra l’indice AMO e le temperature. Proprio ieri ne avevo parlato in un commento al post di L. Mariani sul cambiamento di segno dell’AMO ed oggi, lupus in fabula, è comparsa la correlazione tra le due serie di dati.
    .
    Spiace solo una cosa: per farlo apparire si son dovuti fondere due set di dati (NOAA e UAH). La ragione di questa strana “ibridazione” è spiegata in modo evidente dalla fig. 2 pannello b) del post: le serie NOAA dopo l’ultima correzione hanno una tendenza al riscaldamento nell’ultimo periodo che non è presente nella serie UAH e, a mio giudizio, neanche nella realtà. Il motivo è stato ampiamente discusso qui su CM e va ricercato in una revisione, avventata a mio modesto parere, del data set della NOAA. Condivido, pertanto, la scelta di F. Zavatti di “ibridare” i due diagrammi in quanto è molto strano che fino al 2000 le temperature della bassa troposfera e quelle di superficie avevano, grossomodo, stessa tendenza mentre dopo il 2001 la tendenza delle temperature di superficie si è impennata contrariamente a quella delle temperature della bassa troposfera. Se GW c’è deve essere uguale sia per la superficie che per la bassa troposfera che è lo strato d’aria più a stretto contatto con quello che definiamo impropriamente “superficie”.
    .
    Altro aspetto interessante, per quel che mi riguarda, è il fatto che i dati di superficie sono caratterizzati da una tendenza al riscaldamento leggermente maggiore di quella dei dati della bassa troposfera, frutto, secondo me, delle varie operazioni di omogeneizzazione cui i dati di superficie vengono sottoposti di continuo e che a lungo andare hanno finito per alterarli in modo irreparabile (vedi la scomparsa o, per meglio dire, la scarsa definizione del periodo di 60 anni).
    .
    Dopo aver letto questo post ed aver lungamente meditato sui ragionamenti di F. Zavatti che condivido pienamente, mi sono convinto ancora di più che Karl et al., 2015 non hanno fatto un buon lavoro con la revisione dei dati NOAA.
    Ciao, Donato.

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