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Alla fine c’è sempre il Sole, specie se ce lo metti

Per chi si occupa di previsioni del tempo alle scadenze oltre i pochi giorni e vive in Europa, la North Atlantic Oscillation (NAO) è il pane quotidiano, specialmente d’inverno. Si tratta, come già più volte abbiamo avuto modo di spiegare, di un indice che scaturisce dalla differenza di pressione atmosferica tra le Isole Azzorre e l’Islanda. In sostanza, dato che dalle differenze di pressione scaturisce il movimento dell’aria, questa differenza esprime la velocità di questo movimento nella fascia delle medie latitudini, quella mediamente occupata dalle westerlies, cioè, per l’emisfero boreale, dalle correnti da ovest verso est in seno alle quali viaggiano le perturbazioni.

Sono dunque la maggiore/minore profondità della depressione d’Islanda e la robustezza/debolezza dell’anticiclone delle Azzorre, riassumendolo nell’indice NAO, a definire la velocità del flusso delle perturbazioni, nonché la latitudine alla quale questo scorre. Di qui l’importanza di questo indice per definire con un certo anticipo quale sarà la traiettoria dei sistemi perturbati. Questo in materia di previsioni del tempo.

La posizione dei sistemi barici, tuttavia, varia anche nel medio e lungo periodo, sia meteorologico che, andando ancora più in là nel tempo, climatico. Lunghe fasi di valori che favoriscono delle traiettorie piuttosto che altre saranno caratterizzate dalla persistenza di determinate condizioni atmosferiche che sommandosi definiranno il clima.

Con riferimento alla NAO, questo vale per l’Europa, il continente esposto alle westerlies provenienti dall’Atlantico.

E’ uscito qualche giorno fa su Nature Communication un articolo intrigante:

Solar forcing synchronizes decadal North Atlantic climate variability

In sostanza, riproducendo le oscillazioni decadali dei cicli solari e tenendo conto di quella porzione di radiazione solare che interagisce con l’alta atmosfera, questo gruppo di ricerca ha individuato un accoppiamento tra i cicli solari e quel che il loro modello restituisce come NAO, di fatto trovando un legame piuttosto stretto tra l’attività solare e le dinamiche atmosferiche con specifico riferimento alla posizione dei sistemi barici dell’area atlantica, quindi dell’intensità e posizione del flusso delle perturbazioni di cui sopra. Nel modello. Infatti tutto questo, data la natura strettamente modellistica del loro lavoro, non necessariamente riproduce il mondo reale. Inserendo nel calcolo una ciclicità potente come quella dei cicli solari, facilmente questa si propaga al risultato. Diverso sarebbe, se invece di una NAO modellata, fossero stati usati dati realmente osservati, ma questo, almeno in questo paper, gli autori non lo fanno.

Magari lo faranno la prossima volta….

Qui, su Science Daily, per leggere le opinioni degli autori.

Buona fine settimana.

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Published inAttualitàClimatologiaMeteorologia

3 Comments

  1. Donato

    Come era facilmente immaginabile W. Eschenbach su WUWT ha pubblicato un post che stronca, senza se e senza ma, l’articolo di Rémi Thiéblemont et al. di cui si parla in questo post. Eschenbach ha come mission quella di dimostrare l’infondatezza di ogni pubblicazione scientifica che abbia a che fare con le ciclicità naturali e, soprattutto, con le ciclicità legate al Sole. Ogni tanto prende delle cantonate colossali (come è capitato con N. Shaviv ultimamente), ma lui continua imperterrito nell’opera di demolizione.
    Proprio per questo suo modo di ragionare e per questi suoi preconcetti prendo sempre con le molle gli articoli che scrive (a volte non li leggo neanche). Stavolta, incuriosito dall’argomento intrigante, ho letto l’articolo di Eschenbach dedicato al rapporto tra NAO e cicli solari.
    .
    Eschenbach ha individuato diverse manchevolezze nell’articolo che, a suo dire, ne minano profondamente la credibilità. Secondo lui il fatto di aver scelto per l’analisi i dati invernali è un primo gravissimo vulnus: gli autori lo avrebbero fatto perché l’analisi del dato annuale non avrebbe messo in evidenza la correlazione. In realtà le oscillazioni dell’indice NAO sono molto più forti in inverno che in estate, per cui la scelta del periodo invernale mi sembra opportuna. In ogni caso chi glielo ha detto che hanno analizzato anche il dato annuale e lo hanno scartato perché non suffragava la loro ipotesi? Boh!
    .
    Altra critica mossa all’articolo riguarda il periodo preso in esame: dal 1960 ad oggi (ed oltre per le previsioni). Gli autori hanno fatto questa scelta perché dagli anni 60 sono disponibili i dati relativi al flusso di radiazione solare f10,7. Secondo Eschenbach hanno sbagliato perché invece di prendere in esame il flusso radio avrebbero dovuto prendere in considerazione le macchie solari il cui indice è disponibile da molti più anni. In poche parole Eschenbach sostiene che la scelta del periodo da esaminare è stata fatta in questo modo perché in caso contrario, estendendo cioè al 1900 il periodo di analisi) non si sarebbero trovati i risultati attesi. Anche questa mi sembra una congettura indimostrabile, ma Eschenbach, bontà sua, ne è convinto.
    .
    Successivamente passa agli aspetti puramente tecnici dell’articolo. Egli applica un filtro passa basso con finestra 9-13 anni ad un rumore rosso casuale e trova dei cicli di ampiezza circa decadale. Ciò è sufficiente a fargli sostenere che quelli individuati nel set di dati NAO sono artifici di calcolo e nulla più. Nessun cenno Eschenbach ha fatto ai test a cui gli autori dell’articolo hanno sottoposto i loro risultati per scartare questo fatto e questo mi sembra abbastanza grave.
    .
    Continuando nella sua critica Eschenbach applica un test di cross-correlation al data set solare ed a quello NOA individuando un ritardo di due/tre anni tra i cicli NAO e quelli solari (è come se la NAO condizionasse il Sole). Questa obiezione è fondata, ma è anche vero che Eschenbach sta operando su set di dati diversi da quelli di Thiéblemont et al. (indice SSN delle macchie solari dal 1900 ad oggi e indice NAO dal 1900 ad oggi).
    .
    Egli applica, successivamente, l’analisi di Fourier al set di dati NOA e calcola i periodogrammi scoprendo che il periodo di circa decadale è presente nell’intervallo 1960/2014 e non in quello 1900/2014 o 1900/1960. In realtà sia per il periodo 1900/2014, sia per i periodi inferiori sono presenti periodi di 8-9-10 anni: di minore potenza, ma ci sono. Considerando che Thiéblemont et al. ha esaminato il periodo 1960/2014 non mi sembra che abbia sbagliato più di tanto.
    .
    Infine applica la causalità di Granger per vedere se l’indice SSN è in grado di causare l’indice NAO. L’applicazione di questa tecnica è piuttosto delicata in quanto richiede di utilizzare una parte del set di dati per “addestrare” il modello e l’altra parte per verificare la proiezione. In caso contrario di rischiano errori anche abbastanza grossi. Nel post non viene illustrato in modo completo come tale analisi sia stata applicata per cui sospendo il giudizio sui risultati ottenuti.
    .
    Conclusione? Non mi sembra che Eschenbach sia riuscito a dimostrare in modo convincente l’infondatezza di Thiéblemont et al.. Ha messo in evidenza alcune criticità, ma non credo che siano tali da demolire l’intero lavoro. In altre parole: aspettiamo e vediamo come andrà a finire. 🙂
    Ciao, Donato.

  2. Donato

    L’articolo citato da G. Guidi nel suo post è piuttosto interessante in quanto introduce nei modelli climatici un “modulo chimico”. Gli autori sostengono, infatti, che i modelli climatici non riescono a riprodurre alcune variabilità naturali perché non tengono conto dell’influenza di alcuni fenomeni chimici che avvengono nella stratosfera e coinvolgono l’ozono stratosferico.
    Il modulo chimico introdotto nel modello utilizzato dagli autori tiene conto degli effetti radiativi connessi alla radiazione ultravioletta proveniente dal Sole che interagisce con l’ozono stratosferico. L’interazione determina variazioni del bilancio radiativo della stratosfera e determina anomalie termiche nella bassa ed alta stratosfera che, a loro volta, modulano le onde planetarie e, in ultima analisi, il flusso del getto polare. In buona sostanza le anomalie bariche di cui tiene conto l’indice NAO deriverebbero da squilibri radiativi modulati dall’intensità della radiazione ultravioletta proveniente dal Sole che dipenderebbe, a sua volta, dai cicli solari.
    Lo sfasamento di circa due anni tra i cicli solari ed i cicli NAO trovato dagli autori, deriverebbe dal tempo impiegato dalle anomalie termiche a propagare i loro effetti al getto polare dotato, ovviamente, di una stabilità non indifferente.
    .
    Leggendo il post di G. Guidi ho potuto intravedere tra le righe un cenno all’autocorrelazione tra le grandezze considerate: se ci metti il Sole ce lo ritrovi. Su questo punto sono un poco in disaccordo in quanto gli autori hanno tenuto conto della forte autocorrelazione mediante un trattamento statistico dei risultati.
    Il livello di significatività è stimato, infatti, utilizzando una tecnica di analisi che gli autori definiscono “bootstrap con sostituzione”. La procedura consiste nel selezionare due sottoinsiemi casuali dalla serie temporale originale aventi lunghezze uguali a quelle di altrettanti sottoinsiemi di output del modello (compositi originali, secondo la definizione degli autori). Questa procedura viene ripetuta 1000 volte in modo da ottenere una distribuzione delle differenze tra le serie casuali ed i risultati del modello. Si procede, infine, al calcolo della probabilità che hanno le correlazioni e distribuzioni dei risultati ottenuti di essere generate casualmente.
    Tale complesso meccanismo dovrebbe escludere fenomeni di autocorrelazione tra le grandezze prese in esame (cicli solari e cicli NAO).
    .
    In estrema sintesi mi sembra un buon lavoro che, una volta tanto, basa i risultati del modello su meccanismi fisico-chimici che mi sembrano condivisibili e non si limita solo ad individuare relazioni e correlazioni che con la causalità hanno poco a che fare.
    Si tratta di un lavoro modellistico? Si, certamente ha questo difetto, ma credo che la strada per una verifica sperimentale sia tracciata. Estrarre da una serie di dati caratterizzata da una stocasticità (almeno all’apparenza) molto spinta come la serie NAO un ciclo circa-decadale non è cosa da poco. Chi vivrà vedrà se questo lavoro avrà un seguito.
    Ciao, Donato.

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