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Animali scavatori e la stabilità degli argini in terra – L’evento del Secchia del gennaio 2014

Non si scherza con gli argini perché da essi dipendono le vite e i beni delle comunità che vivono nelle vicinanze dei fiumi. Le memorie familiari della grande piena del 1951 mi rendono particolarmente sensibile al tema degli argini in terra del Po e dei suoi affluenti ma tale aspetto emerge periodicamente con riferimento a svariati fiumi italiani.

Nel caso di Po ed affluenti sono presenti un totale di 23000 km di argini in terra che debbono essere costantemente manutenuti se si vuole che in occasione di piene essi offrano la protezione desiderata. Per comprendere il livello di rischio cui sono soggetti i territori difesi dagli argini può essere interessante osservare il digramma di figura 1 che ci mostra le grandi piene del Po dal 1705 al 2011, la cui entità viene espressa come portata di colmo a Pontelagoscuro, località che si caratterizza per portate di 400 m3/sec in regime di magra e 1540 m3/sec in regime ordinario (Progetto Water2adapt, 2011). Ove i dati di portata o proxy relativi non erano disponibili, ho inserito le barrette in grigio. Il diagramma si basa su dati che ho raccolto da varie fonti (Cati, 1981; Bacchi et al., Casaleinforma, 2015; Progetto Water2adapt, 2011) ed è probabilmente non esaustivo specie per il XVIII secolo e la prima metà del XIX (ogni segnalazione di ulteriori eventi documentati è ben accetta).

Piene del Po
Figura 1 – Grandi piene del Po dal 1700 al 2011. In ordinata le portate di colmo a Pontelagoscuro.

Dalla figura 1 emerge che:

  • il XVIII secolo ha vissuto 8 grandi piene note
  • il XIX secolo ha sofferto di 21 grandi piene, di cui due accadute nel 1839 (primavera e autunno) e due nel 1846
  • il XX secolo ha sofferto di 17 grandi piene, di cui due accadute nello stesso anno (maggio e novembre 1926) ed è stato inoltre teatro dell’evento più imponente di tutta la serie e cioè la piena del 1951, nota come alluvione del Polesine, allorché il Po a Pontelagoscuro raggiunse la straordinaria portata di 10300 metri cubi al secondo
  • il XXI secolo ha fatto fin qui registrare 3 eventi di piena importanti di cui uno minore nel 2010.

Questi dati possono peraltro offrire ai lettori qualche spunto di riflessione climatologico, a maggior ragione importante in virtù del fatto che il Po è il fiume che domina il più grande bacino idrografico italiano.

L’evento del gennaio 2014

Sulla rivista scientifica Water Resources Research dell’American Geophysical Union è uscito articolo di Stefano Orlandini, Giovanni Moretti e John D. Enderson dal titolo “Evidence of an emerging levee failure mechanism causing disastrous floods in Italy” che può essere tradotto con “Evidenza di un meccanismo emergente di rottura degli argini all’origine di alluvioni disastrose in Italia”. Tale lavoro segue le tracce della “Relazione tecnico-scientifica sulle cause del collasso dell’argine del fiume Secchia avvenuto il giorno 19 gennaio 2014 presso la frazione San Matteo” (D’Alpaos et al., 2014) disponibile in rete sul sito della Regione Emilia Romagna.

L’articolo di Orlandini et al. è interessante per due motivi:

  1. propone un modello meccanicistico atto a descrivere come un argine interessato da una tana collegata all’esterno da gallerie possa entrare in crisi
  2. lancia un allarme circa il pericolo per la stabilità degli argini in terra costituito dagli animali scavatori (tasso, istrice, volpe, nutria), la cui caratteristica comune è quella di scavare tane all’interno degli argini in terra, minandone la stabilità.

Peraltro Orlandini et al. (2015) evidenziano tre aspetti degni di indagine e cioè:

  1. I processi ecologici che spingono gli animali scavatori a colonizzare i grandi argini in terra
  2. Le interazioni geofisiche fra le acque di piena e gli argini interessati dalle tane
  3. I processi che innescano la rottura degli argini in terra interessati dalle tane.

Da idrologi, gli autori, pur sollecitando indagini circa l’aspetto 1, si interessano ovviamente dei fenomeni 2 e 3 e lo fanno con riferimento a due rotture di argini avvenute nel corso del piovosissimo inverno 2014, il 19 gennaio. In tale data infatti, alle ore 6.30 del mattino, cadde un argine del fiume Secchia in località san Matteo, allagando un’area di 52 km2 con 36 milioni di m3 d’acqua e con conseguenti danni per 535 milioni di Euro. Nello stesso giorno, nel pomeriggio, un inizio di processo analogo a quello osservato sul Secchia ebbe luogo su un argine del fiume Panato, in località Tronco, e non produsse grandi danni perché fu riparato tempestivamente. Quello del Panaro è peraltro un fenomeno importante per chiarire i meccanismi di innesco dei processi oggetto di indagine da parte di Orlandini et al., in quanto è presente una buona documentazione fotografica.

Il meccanismo d’innesco del fenomeno è così descritto nella relazione di D’Alpaos et al. (2014):

 

“Le analisi condotte indicano che il sistema di tane osservabile nelle foto aeree è planimetricamente situato proprio all’interno dell’area interessata dalla fase iniziale del collasso arginale. Le quote altimetriche dei fori delle tane osservate sul paramento interno dell’argine appaiono prossime ai massimi livelli idrici raggiunti in alveo durante la piena del 19 gennaio 2014. 

Le analisi hanno evidenziato che sono plausibili due fenomeni d’innesco del cedimento della difesa arginale che possono aver agito anche congiuntamente.  Un primo tipo d’innesco, riconducibile a processi di erosione interna è del tutto analogo a quello documentato da quanto osservato sull’argine destro del fiume Panaro nel pomeriggio dello stesso 19 gennaio 2014. Si tratta di un fenomeno che si sviluppa inizialmente mediante un processo di progressiva erosione interna coinvolgente il sistema di tane eventualmente indebolito dalla precipitazione diretta al suolo. Una volta asportato un sufficiente quantitativo di materiale, la parte dell’argine sovrastante la cavità crolla provocando un notevole abbassamento della sommità arginale.  Un secondo fenomeno d’innesco può essere ricondotto alla progressiva instabilità geomeccanica del corpo arginale localmente indebolito dalla presenza delle menzionate cavità favorita da condizioni di parziale saturazione indotte dalla piena e dalle precipitazioni dirette sul corpo arginale. La riduzione di resistenza a taglio dei terreni indotta dalla loro saturazione anche locale può causare una significativa diminuzione del grado di sicurezza della struttura arginale nei confronti della stabilità. Entrambi i fenomeni d’innesco comportano un sensibile ribassamento della sommità arginale e il conseguente sormonto della struttura da parte della corrente idrica animata da velocità in uscita particolarmente sostenute. Una volta attivato il sormonto, la breccia evolve rapidamente sia approfondendosi sia allargandosi per effetto dell’erosione prodotta dalla corrente in uscita. In entrambi i casi si ritiene che con riferimento all’evento specifico la presenza di un sistema articolato di tane sia stata determinante ai fini del collasso arginale.”

 

In sede di discussione Orlandini et al. evidenziano fra l’altro i seguenti aspetti:

  1. l’evento di piena del gennaio 2014 è stato inferiore per entità a quello del 2009
  2. poiché le tane presenti sull’argine del Secchia erano del tutto simili a quelle presenti sull’argine del Panaro in località Tronco si può dedurre che il meccanismo di rottura osservato sul Panaro sia stato analogo a quello prodottosi sul Secchia
  3. la soluzione al problema delle tane non può ridursi al loro riempimento periodico, anche perché il riempimento non può essere completo a fronte di gallerie lunghe anche 10 metri. A ciò si aggiunga che gli animali scavatori tendono a rifare tane nelle stesse località in cui le vecchie tane erano state riempite
  4. un’ispezione condotta dopo l’evento critico del 19 gennaio sul tratto del Panaro compreso fra Ponte Sant’Ambrogio e Finale Emilia ha evidenziato la presenza di 30 tane attive di Istrice, il che evidenzia la concretezza del problema.

A margine di tutto ciò segnalo la progressiva espansione dell’Istrice verso il Nord Italia, già documentata ad esempio in questo lavoro del 1994 (Zavalloni e Castellucci) e che oggi interessa anche provincie a Nord del Po come Brescia (Bollin e Leo, 2013). Su tale espansione agiscono probabilmente sia la mitigazione del nostro clima a seguito al cambiamento climatico del 1987 sia l’abbandono da parte dell’uomo degli areali marginali.

Per inciso occorre anche dire che il caso della nutria è probabilmente assai più rilevante di quello dell’istrice, come può essere colto effettuando una ricerca in rete con  le parole chiave “nutria crollo argini”.

In complesso occorre a mio avviso interrogarsi su come affrontare il problema dell’instabilizzazione degli argini ad opera di animali scavatori, che il caso del Secchia e di altri corsi d’acqua rende oggi più che mai concreto e tangibile.

Bibliografia

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Published inAmbienteAttualità

5 Comments

  1. Donato

    Quando ero bambino fui affascinato e turbato dalla storia leggendaria di un bambino olandese che, notato un foro in una diga, scalò la parete e con il proprio dito tappò il buco impedendo che esso si allargasse e facesse crollare l’intera diga: ci rimise la vita, ma salvò quella di migliaia di suoi concittadini.
    Per le tane degli animali scavatori il discorso è del tutto simile: esse creano un punto debole nella struttura e possono determinarne il crollo. Nella statica delle strutture i punti di debolezza sono i difetti più temuti dai progettisti in quanto da essi può innescarsi il processo di deformazione e/o fratturazione che, alla fine, determina il collasso della stessa. Nel caso del calcestruzzo, per esempio, gli inerti a spigoli arrotondati sono da preferire a quelli a spigoli vivi proprio per evitare la concentrazione degli sforzi e l’innesco di fratture. Stesso discorso per gli spigoli arrotondati dei profilati metallici.
    A proposito degli animali scavatori vorrei portare un modesto contributo personale alla discussione. In occasione dell’evento alluvionale del 14/15 ottobre scorso, appena dopo la fine delle piogge, camminando su di un campo incolto, la mia attenzione fu attratta da un sibilo che proveniva da sotto i miei piedi. Era il tipico rumore dell’acqua che scorre in pressione all’interno di una condotta. La cosa mi meravigliò moltissimo in quanto in quel punto non è mai esistita alcuna condotta. Dopo qualche ora il sibilo cessò: era l’acqua che scorreva in pressione all’interno di un cunicolo scavato da qualche talpa ed “armato” dalle radici delle piante erbacee che crescono indisturbate. La “condotta” veniva a giorno qualche decina di metri più a valle generando una piccola pozza di acqua gorgogliante. Anche questa sorgente effimera sparì qualche ora dopo che la pioggia aveva cessato di cadere.
    Si tratta di un piccolo esempio di come una semplice galleria di talpa sia in grado di trasportare acqua con facilità ed in modo efficacissimo a decine di metri di distanza dal punto di accumulo dell’acqua. All’interno di un argine gli effetti possono essere disastrosi, come ci ha efficacemente illustrato L. Mariani.
    Ciao, Donato.

    • Donato

      Caro Luigi, hai ragione, mi ricordavo male il finale della storia: fu sul punto di morire, ma riuscì a sopravvivere. Ho trovato anche la mia “fonte”: Pattini d’argento. 🙂
      Ciao, Donato.

    • Luigi Mariani

      Caro Donato, storia del bambino olandese a parte, ho trovato molto interessanti le tue considerazioni sui “punti deboli”, fra i quali possiamo sicuramente annoverare anche i fontanazzi, in merito ai quali leggo su wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Fontanazzo):
      “Una delle cause più frequenti di formazione dei fontanazzi trova origine nell’attività di scavo svolta da alcuni animali quali, ad esempio, la nutria, la volpe e il tasso. Questi mammiferi costruiscono le loro tane preferibilmente in prossimità dei corsi d’acqua e, in particolare la nutria, scava profondi cunicoli all’interno dell’argine che possono attraversarlo per tutta la sua larghezza. In quest’ultimo caso, diventa spesso necessario l’intervento immediato di chiusura delle gallerie allo scopo di ripristinare la sicurezza idraulica del corso d’acqua, con ingenti costi per la collettività che possono indicativamente raggiungere anche i 10.000 euro (2008) per la sistemazione completa di una singola tana di nutria.”
      Lupus (o meglio vulpis) in fabula dunque!

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