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COP21, la fuga in avanti di Repubblica verso la decrescita

[box type=”info”] Guest post by Flavio[/box]

Nella gara giornalistica ad intonare la fanfara migliore a contorno del COP21 La Repubblica si porta in vantaggio netto con un articolo di Maurizio Ricci (repubblica.it, 2015) dai toni roboanti quanto definitivi a partire dal titolo “Energia: petrolio e carbone, fonti in discesa. Ora il mondo si libera dei suoi killer”.In tempo di terrorismo, guerre sanguinose e crisi economica globale scopriamo fin dal titolo che il killer é contenuto nel serbatoio delle nostre automobili. Coviamo una serpe in seno, evidentemente. E quindi siamo tutti colpevoli. Ma tutto sta per cambiare e la redenzione é dietro l’angolo.

Scopriamo perché.

L’articolo sostiene i seguenti punti:

  1. Abbiamo i doppi vetri alle finestre e le auto Euro 6 (a meno di tarocchi), quindi il petrolio costa 45$/bbl. “Spiccioli”. Infatti…
  2. Il petrolio costa poco perché é calata la domanda. E la domanda é caduta perché siamo piú efficienti. Ne consegue che…
  3. Siamo di fronte al crepuscolo del petrolio e del carbone
  4. C’é talmente tanta offerta che il petrolio é stoccato nei tanker ormeggiati nei porti. Semplicemente perché “non sappiamo che farcene”.
  5. Eppure, a fronte di queste ovvie constatazioni qualcosa non torna: la Cina acquista miniere, l’India oppone resistenza alla rivoluzione verde e i progetti di costruzione di nuove centrali a carbone abbondano.
  6. Ma il cambiamento non si puó fermare, il petrolio é un morto che cammina, e la domanda continua a crescere soltanto perché i paesi in via di sviluppo ne chiedono di piú, a fronte della diminuzione di richieste da parte del mondo progredito ed eco-sostenibile.

La carne al fuoco é tanta, e ben confusa.

Cominciamo col fare qualche passo indietro. Alcuni anni fa si sosteneva che il petrolio stava finendo. Andava di moda parlare del “peak-oil”, una teoria secondo la quale l’olio aveva raggiunto il suo picco di produzione e da allora sarebbe stato sempre piú difficile produrne. La decennale teoria si é sgretolata a fronte di un fattore apparentemente banale: il progresso scientifico, la curva di apprendimento che ha permesso di incrementare la produzione grazie all’utilizzo di nuove tecniche estrattive come lo shale oil americano.
La Repubblica, peró, aveva giá la soluzione in tasca. Sempre la stessa, giá alcuni anni fa (repubblica.it, 2009): abbandonare il petrolio, perché stava per finire e quindi tanto valeva investire in altre forme di energia che lo sostituissero. Nessuna traccia di considerazioni ambientali…

Dieci anni dopo l’argomento é ribaltato: di petrolio ce n’é troppo, non costa nulla. Problema risolto quindi? Neanche per sogno: siccome il petrolio in questi ultimi anni é diventato “killer”, allora dobbiamo disfarcene comunque, investendo in risorse piú care ma eco-friendly. Ne é passata di acqua sotto i ponti.

A fronte di una situazione completamente ribaltata la soluzione rimane la stessa. Beato chi vive di certezze, a fronte di epocali incertezze.

Entrando nel merito delle considerazioni fatte nell’articolo in questione possiamo sottolineare i seguenti punti:

  • Sostenere che il prezzo del greggio cala grazie ai nostri doppi vetri e ai motori Euro6 é a dir poco azzardato. Il prezzo del greggio é calato a seguito dell’incremento della produzione di petrolio, inizialmente americana (shale oil), successivamente OPEC. L’ulteriore eccesso di offerta é legato proprio al tentativo da parte dei paesi produttori di conservare quote di mercato a fronte di prezzi in caduta, creando cosí una spirale discendente innescata dalla super-offerta.
  • E la domanda? É la stessa IEA citata entusiasticamente nell’articolo a frenare gli entusiasmi, sostenendo che nel 2016 crescerá di altri 1,2 milioni di barili, meno del 2015, vero, ma il 2015 ha visto il picco massimo di crescita della domanda degli ultimi 5 anni (iea.org, 2015). Nonostante i doppi vetri e gli Euro 5/6.
  • E il petrolio stoccato nelle petroliere? Non rappresenta certo una novitá. Il petrolio si stocca perché chi intende vendere si aspetta che i prezzi risalgano. Piuttosto che concludere che “non sappiamo che farcene” si puó osservare che qualcuno cerca di venderlo ad un prezzo piú vantaggioso. Nel 2009, in occasione del precedente tracollo dei prezzi, chi ha comprato petrolio a basso costo, l’ha stoccato e rivenduto a prezzo piú alto ha fatto affari d’oro.
  • E i paesi in via di sviluppo che rovineranno il futuro dei nostri figli? Cominciamo col dire che sono i paesi che investono in infrastrutture e in industria di base. I paesi sviluppati hanno accettato di de-industrializzarsi (con poche eccezioni come la Germania) per investire in economie basate sui servizi. Dalla fabbrichetta al telefonino e al call center, con il vantaggio di non dover avere a che fare con lobby ambientaliste e gruppi di pressione vari. La diminuzione nella domanda di idrocarburi di cui tanti capi di Stato si pavoneggiano al COP21 é purtroppo conseguenza della crisi economica e industriale dei paesi occidentali, prima ancora dei doppi vetri e delle marmitte.

Basti pensare che nel 2009, nel pieno della crisi finanziaria, la produzione di elettricitá in Italia é diminuita per la prima volta nella storia. E non é piú tornata ai livelli pre-crisi (Fig.1). Quella discesa improvvisa é proprio il simbolo della crisi dell’industria italiana, confermata dal fatto che il crollo di produzione si é ulteriormente aggravato negli ultimi anni, in particolare nelle regioni a piú alta densitá industriale (Qualenergia.it, 2015). A meno di voler credere che il nord Italia abbia fatto incetta di doppi vetri e marmitte catalitiche.

Fig. 1: Produzione lorda di energia in Italia, elaborazione dati di Terna (Terna.it, 2015).
Fig. 1: Produzione lorda di energia in Italia, elaborazione dati di Terna (Terna.it, 2015).

Alla luce di queste considerazioni i paesi in via di sviluppo ne escono cornuti e mazziati. Non solo gli chiediamo di fare industria di base al posto nostro, ma pretendiamo anche che lo facciano usando pannelli solari e mulini a vento, pagando il doppio o il triplo di quanto costa farlo usando i combustibili “killer”.

Qualsiasi nozione di base di macroeconomia esce stracciata dall’articolo di Ricci. A fronte di un bene abbondante ed economico bisognerebbe ricorrere a qualcosa di costoso e scarso. La curva domanda-offerta che si studia anche nei bignami di economia é sacrificata sull’altare del dio global warming.

Meno idrocarburi, economie ‘virtuali’, de-industrializzazione, elettricitá piú costosa, meno consumi e meno benessere per tutti. Con la crisi economica e la disoccupazione che ne conseguono e che, paradossalmente, ci danno una mano a centrare gli obbiettivi di riduzione di emissioni di gas “killer”.

É la decrescita (in)felice, bellezza.

E chi si sveglia, é perduto.

Riferimenti:

  • Iea.org, 2015. https://www.iea.org/oilmarketreport/omrpublic/
  • Qualenergia.it, 2015. Nel 2014 le rinnovabili al 37,5% della domanda e al 43,3% della produzione elettrica nazionale. [online]. Fonte: http://www.qualenergia.it/articoli/20150114-2014-le-rinnovabili-al-37virgola5-percento-domanda-e-al-43virgola3-percento-produzione-elettrica-nazionale
  • Repubblica.it, 2015. Energia: petrolio e carbone, fonti in discesa. Ora il mondo si libera dei suoi killer. [online]. Fonte: http://www.repubblica.it/ambiente/2015/12/02/news/petrolio_e_carbone_fonti_in_discesa_ora_il_mondo_si_libera_dei_suoi_killer-128592752/?ref=HRER2-2
  • Repubblica.it, 2009. Petrolio, fino a quando durerá? [online]. Fonte: http://guide-finanza.repubblica.it/energia/1634767/1634943/rep
  • Terna.it, 2015. Produzione e richiesta di energia elettrica in Italia dal 1883 al 2014. [online]. Fonte: http://download.terna.it/terna%5C0000/0113/68.pdf

 

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Published inAttualitàCOP21 - Parigi

2 Comments

  1. Guido Botteri

    A me sembra che la questione vera, quella al di là delle dichiarazioni formali, e che corrispondono ai veri interessi in gioco, non stia su un piano scientifico, a cui dicono di credere (ma nei fatti ho qualche dubbio),
    ma
    sul piano economico.
    A qualcuno sembra che interessi più di tutto bloccare le economie emergenti (Cina, India, Brasile) e dato che sono furbi (e ipocriti, secondo me) lo fanno da autentici furbi, vestendosi da autoflagellatori (“è colpa nostra, siamo stati noi a scatenare i cambiamenti climatici”) per poi concludere che i Paesi del terzo mondo dovrebbero mortificare le loro speranze di progresso e di crescita in nome della salvezza di un pianeta che ammettono di aver messo “loro” in pericolo.
    Fosse vero (che il riscaldamento globale sarebbe causato dall’uomo, e non intendo dire che l’uomo – come gli elefanti – non dia un qualche contributo – piccolo – ma che questo contributo non è determinante per le sorti del clima – anche gli elefanti, e tutti gli animali, respirano e quindi emettono CO2, per cui contribuiscono – ma quanto? – al riscaldamento globale) allora avrebbero ragione i Paesi del Terzo Mondo a pretendere che chi ha inquinato paghi.
    Avrebbero ragione le economie senza industrie, senza veleni, inquinamenti ecc. la cui popolazione ha però una speranza di vita che è la metà di quella dei Paesi progrediti, dove invece abbondano veleni, inqinamenti, industrie ecc. (e hanno invece una speranza di vita doppia).
    Non voglio dire che veleni e inquinamenti siano giusti e buoni; è un discorso che ho già spiegato altre volte, ma lo ripeto per chi non l’avesse letto.
    Io paragono il progresso al bambino.
    Il bambino si sporca/ il progresso inquina, ma sarebbe assurdo buttare il bambino perché sporca/rinunciare al progresso per il suo inquinamento,
    ma
    questo non vuol dire che ci piaccia lo sporcoi del bambino, né che lasciamo il bambino ad arrossarsi senza cambiarlo. No, combattiamo – è cosa giusta e buona farlo – lo sporco del bambino (lo puliamo, lo cambiamo) come combattiamo veleni e inquinamenti (giusta la ricerca per inquinare di meno)
    ma
    senza rinunciare al bambino/progresso.
    Niente “decrescita” (che NON può essere “felice”, perché la fame e il medioevo portano miseria e morte, non felicità), ma semmai più soldi alla ricerca, quella vera.
    Ed è intorno ai soldi che si gioca la partita della COP21, come si son giocate tutte le altre, inutili, venti conferenze precedenti.
    Chi bussa a soldi (mentre costruisce aeroporti per aerei “sottomarini” 🙂 ), e chi spera di fermare l’avanzata del Terzo Mondo fingendo di volerlo aiutare.
    Un po’ più di realismo, un po’ meno ipocrisia, un po’ più di rispetto dei dati, e meno di modelli che hanno dimostrato tutti i loro limiti, servirebbe ad avere un mondo realisticamente migliore, davvero.
    Secondo me.

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