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Il feedback alla Rifkin

[photopress:cuoco.jpg,thumb,pp_image]Le festività natalizie si avvicinano, Climate Monitor ha deciso di proporvi una nuova ricetta per far fronte al riscaldamento globale, “Il Feedback alla Rifkin“. Non è difficile, basta passare da una dipendenza totale dai combustibili fossili ad una altrettanto totale dall’idrogeno e da un potenziale affetto serra in aumento ad un effetto bagno turco garantito. Prendete il vapore acqueo, l’ingrediente principale del sistema clima, aumentatene a dismisura la concentrazione e lasciate cuocere per qualche anno. Il risultato è assicurato, anche se conoscerne in anticipo il sapore è praticamente impossibile. Perchè proprio il vapore acqueo? Perchè il processo di estrazione dell’energia dall’idrogeno produce appunto H2O allo stato gassoso, e questo perdonate l’ironia, ai fini dell’equilibrio del clima fa dell’idrogeno un vettore energetico “pulito” soltanto perchè non manda cattivo odore. Vediamo perchè.

In un sistema lineare ad una variazione nota corrisponde sempre una conseguenza altrettanto nota. Il clima invece non funziona così ed è per questo definito come un sistema complesso. La differenza è concettualmente abbastanza semplice: al variare di una componente corrispondono una o più variazioni di altre componenti che, assumendo un comportamento differente possono influire in modo positivo o negativo sulla causa della loro stessa variazione. Questo è un feedback o, se si preferisce, un effetto di retroazione.

Proviamo ad analizzare uno dei più interessanti casi di effetto feedback del sistema clima, il ruolo della nuvolosità. In effetti questo meccanismo, seppur noto a grandi linee come vedremo tra poco, costituisce uno dei punti interrogativi più importanti sull’evoluzione del clima. Le stesse conclusioni tratte nel recente rapporto dell’IPCC assegnano al comportamento della nuvolosità nel bilancio energetico o radiativo del pianeta un livello di comprensione scientifica piuttosto basso. In poche parole ne sappiamo ancora poco. Questo in breve quello che accade: Le nubi riflettono la luce del sole, riducendo così l’energia ricevuta dal sistema terra-atmosfera. Allo stesso tempo le nubi trattengono il calore riemesso dalla terra sotto forma di radiazione infrarossa alla stessa stregua del vapore acqueo da cui sono originate. Una volta formatesi le nubi regolando e variando la quantità di luce solare ricevuta dalla superficie influenzano l’evaporazione dal suolo, che a sua volta impatta sulla quantità delle nubi che si formano. Le precipitazioni infine, agiscono anch’esse sull’umidità del suolo, regolando a loro volta l’evaporazione e quindi ancora una volta la quantità delle nubi. Non c’è tentativo di simulazione che possa, almeno sin qui, fornire un’idea di come questo sistema altamente interattivo possa reagire in una direzione o nell’altra al variare delle condizioni iniziali di temperatura. Questo, occorre ripeterlo, perchè l’attuale livello di comprensione scientifica del ruolo delle nubi è basso. Come si possa essere sicuri che l’assassino sia il maggiordomo, quando non si conoscono le battute dell’attore principale del film resta ancora un mistero, ma andiamo avanti.

Il vapore acqueo, così strettamente legato alle variazioni di temperatura, è una forzante del clima o è un feedback? Siamo di fronte all’ennesima causa di contrapposizione tra credenti e scettici (per inciso, su Climate Monitor non si presta fiducia nè agli uni nè agli altri). Infatti una delle più accese critiche mosse ai lavori dell’IPCC riguarda proprio la scarsa considerazione in cui è tenuto il ruolo del vapore acqueo in atmosfera, considerato che questo gas è responsabile di una percentuale di effetto serra che varia, a seconda delle opinioni, tra il 70 ed il 98%. In realtà non è così, si considera in effetti soltanto il vapore acqueo stratosferico (in larghissima parte prodotto da ossidazione del metano) come forzante del clima, con ruolo positivo nell’accrescimento dell’effetto serra, perchè questo avrebbe dei tempi di permanenza in atmosfera abbastanza lunghi. Quanto al vapore acqueo troposferico, concentrato per la quasi totalità nei primi 5km di quota, considerati i tempi brevissimi della sua permanenza in sospensione (circa una decina di giorni perchè si completi il ciclo idrologico) e la stretta dipendenza dalla temperatura, si ritiene che debba essere considerato più un feedback che una forzante.

Credo si possa essere daccordo con questa impostazione del problema fino a quando la quantità di vapore acqueo presente in atmosfera è regolata naturalmente, non oltre. Infatti, se si prendono in esame i modelli di simulazione climatica con riferimento al comportamento del vapore acqueo, si scopre che all’aumento della temperatura l’umidità relativa rimane pressochè costante, questo significa che deve aumentare l’umidità specifica, cioè la quantità di vapore presente in atmosfera. Questo aumenta la capacità dell’atmosfera di trattenere il calore e quindi provoca un conseguente ulteriore riscaldamento, nel più classico degli effetti di feedback naturali. Ma cosa succederebbe se cominciassimo ad immettere quantità sempre maggiori di vapore acqueo di origine antropica in atmosfera convertendo all’idrogeno i motori delle auto o qualsiasi altro genere di processo produttivo che richieda energia, come previsto dalla ricetta di Rifkin? Sarebbe un aumento forzato dell’umidità specifica, con conseguente aumento dell’umidità relativa e inevitabile aumento della condensazione, quantità delle nubi e precipitazioni, perchè l’atmosfera avrebbe molta fretta di restituire indietro questo vapore in eccesso.

Molte più nubi e molta più pioggia porterebbero ad un raffreddamento o ad un riscaldamento della bassa atmosfera? Provate a trovare la risposta a questa domanda nell’intricata relazione tra la nuvolosità ed il clima che abbiamo descritto qualche riga fa. Se ci riuscite fatela avere a Rifkin, almeno sapremo che sapore ha questa ricetta.

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Published inAmbienteAttualitàClimatologiaEnergia

12 Comments

  1. Hydraulics

    I motori a combustione interna, bruciando idrocarburi (cioè molecole composte prevalentemente da atomi di idrogeno e carbonio), producono anche vapore acqueo.

    Con due conti a spanne e se non ho sbagliato qualcosa, il “consumo” di idrogeno mi risulta paragonabile a quello che si avrebbe utilizzando fuel cells, o almeno dello stesso ordine di grandezza: una decina di grammi per km.

    Ho paura che i problemi dell’idrogeno siano altri…

  2. 1929 - ernesto villoresi

    Allora, per spiegarmi forse è meglio fare una domanda: l’idrogeno da “bruciare” da dove lo piglia in natura?

  3. gurrisi salvatore

    Caro Ernesto Villoresi, io parlo di vapore acqueo di origine antropica e non di vapore acqueo di origine naturale per il quale il problema non esiste.
    Lei, infatti,sostiene che per eliminare gli effetti nocivi causati dalla produzione di vapore acqueo generato dalla combustione dell’idrogeno basta catturare lo stesso e farlo condensare in modo che così “sarebbe risolto il problema del vapore acqueo nell’atmosfera”.
    Pertanto, in base al suo ragionamento, per non cambiare il delicato bilancio energetico della Terra, il vapore acqueo dovrebbe essere tenuto sempre allo stato liquido cosa ,che a mio modesto parere, è inpossibile praticare.

  4. 1929 - Ernesto Villoresi

    Per andrea64: un qualsiasi serbatoio metallico a temperatura ambiente è più che sufficiente a condensare il vapore risultante dalla “combustione” dell’idrogeno. Del resto il vapore che esce dalla pentola della pasta condensa sul muro retrostante senza bisogno che questo sia raffreddato artificialmente

  5. Andrea 64

    Per Gurrisi ed Ernesto: l’ unico modo per sottrarre vapor d’acqua dall’ aria è condensarlo riducendo la temperatura dell’ aria. Purtroppo costa un sacco di energia. Bisognerebbe calcolare quanta per valutarne il bilancio complessivo

  6. 1929 - Ernesto Villoresi

    Per Gurrisi: dimentica che però parte di quell’acqua era stata “sottratta” alla natura per produrre idrogeno se fatta con idrolisi (metodo non molto efficiente). Nulla si crea, nulla si distrugge: in tal caso il bilancio netto sarebbe zero. Diverso il discorso se l’idrogeno fosse prodotto in altri mdi (per esempio estraendolo da mnerali): in tal caso al problema della “produzione” di vapor acque si sommerebbe il problema del consumo del’ossigeno presente in atmosfera.

  7. gurrisi salvatore

    A mio parere l’acqua prodotta dalla condensazione del vapore acqueo emesso dalla combustione dell’idrogeno, una volta usata, ritornerebbe allo stato gassoso lasciando così irrisolto il problema.

  8. 1929 - Ernesto Villoresi

    Mah….si parla tanto di cattura della CO2, complicata e costosa, mentre non si pensa all’eventuale cattura del vapor acqueo emesso dalla “combustione” dell’idrogeno. Basterebbe farlo condensare! E con buona pace di tutti sarebbe risolto il problema del vapor acqueo nell’atmosfera.

    Le industrie con la loro condensazione andrebbero a “generare” acqua per i paesi, per le falde, per i campi.

    Le auto potrebbero benissimo essere dotate di serbatoi per catturare l’acqua: un po’ di menta e alla fine del viaggio si avrebbe a disposizione un’ottima bevanda.

    Gli impianti di riscaldamento delle case potrebbero rendere autosufficienti le abitazioni in termini idrici.

    Insomma, vedo più pro che contro. Peccato che l’idrogeno rimarrà un’utopia se inteso come tecnologia sostitutiva del petrolio e quindi tutte queste problematiche rimarranno solo voli pindarici…

    Salve Ernesto,
    ha posto un’interessante questione. Cercherò di documentarmi per vedere se, in termini pratici, qualcuno ci ha già pensato e se esiste qualche lavoro che abbia esplorato questi aspetti. Ne dubito, ma non si sa mai.
    Buona giornata, Guido Guidi.

  9. gurrisi salvatore

    Non possiamo considerare il vapore acqueo e la CO2 come gas inquinanti in quanto entrambi si trovano già in natura, ma come gas di origine antropica che vengono immessi nell’atmosfera alterandone così la composizione.
    La maggior parte del vapore acqueo è concentrato nella troposfera, sede infatti della maggior parte dei fenomeni meteorologici, e non nella stratosfera dove possiamo trovare tracce di H2O trasportatovi dagli intensi moti convettivi dei temporali.
    Stabilire, infine, se l’aumento della nuvolosità provoca un raffreddamento o un ulteriore aumento della temperatura globale è un problema di difficile soluzione non ancora risolto tenuto conto dei molteplici effetti che le nubi hanno nel complesso bilancio energetico del pianeta.

  10. Andrea 64

    La prima cosa che andrebbe spiegata a Rikfin è che l’ idrogeno non è una fonte di energia primaria e cioè ci vuole molta più energia per produrlo che quella che fornisce e allora siamo sempre lì….
    In termini di impatto ambientale non vanno solo considerati quindi solo gli effetti del vapor d’ acqua ma anche gli effetti degli inquinanti generati dalla produzione dell’ idrogeno…. Mi pare quindi che la considerazione di Guidi non sia posta in termini corretti.
    In ogni caso se l’ unico inquinante dell’ economia all’idrogeno fosse il vapor d’acqua questo gas ad effetto serra sarebbe sicuramente molto meno impattante della CO2 proprio per il basso tempo di latenza nella stratosfera che credo sia molto ma molto più basso di quello della CO2, o sbaglio?
    Un caro saluto a tutti
    Andrea

    Buon pomeriggio Andrea,
    credo che Rifkin lo sappia. Infatti recentemente c’è stata una specie di correzione di rotta, ovvero, essendo l’idrogeno un vettore energetico, si dovrebbero impiegare risorse rinnovabili per produrlo, altrimenti, giustamente saremmo al punto di partenza. Questo nei faraonici progetti presentati alla stampa ed alle autorità Italiane soltanto qualche giorno fa, stranamente non è stato detto. Sarà stata una dimenticanza :-).
    Tutto ciò che è già presente in natura compresi il vapore acqueo e la CO2 non può essere considerato inquinante finchè non ne vengono alterate le concentrazioni antropicamente. A quel punto che profumi, sia buono da mangiare o altro non cambia la sostanza del problema.
    Guido Guidi.

  11. Lorenzo Fiori

    Ma insomma:
    perchè mai dovrebbero aumentare le precipitazioni?
    C’è una contraddizione nella parte finale dell’articolo…se aumenta l’umidità assoluta aumenta anche la temperatura per effetto di feedback sull’effetto serra così che l’umidità relativa rimane pressochè costante…
    forse si può dire che essendoci più molecole d’acqua in atmosfera e seguendo ciascuna il ciclo di permanenza di dieci giorni allora si per forza di cose avremmo più precipitazioni…cosa che rimane però in palese contrasto con il fatto che l’umidità relativa, da cui dipende direttamente la condensazione, rimane costante…
    forse a questo punto non è nemmeno chiaro il ciclo idrogeologico o quello delle precipitazioni…ad esempio come si fa a dire che il vapore acqueo ha un tempo di permanenza di dieci giorni in atmosfera? in base a cosa?

    Salve Lorenzo, innanzi tutto bentornato.
    Due parole per chiarire il concetto. Se si presta fede alle simulazioni dobbiamo credere che l’umidità relativa resti costante, per cui ad un aumento di temperatura e conseguente aumento della capacità dell’atmosfera di contenere vapore acqueo, corrisponderebbe un aumento dell’umidità specifica che, a sua volta, produrrebbe un feedback di aumento della sua capacità di contenere nei bassi strati la radiazione ad onda lunga emessa dalla terra. Si può disquisire sulla bontà di queste simulazioni ma questo dovrebbe essere il meccanismo qualora il sistema fosse lasciato libero di applicare le proprie leggi naturali. Il problema a mio modesto parere sorgerebbe se ci fosse un’immissione antropica massiccia di vapore acqueo derivata dall’uso di idrogeno come combustibile o come vettore energetico per le attività produttive. Il vapore in eccesso, non più aumentato linearmente come funzione dell’aumento della temperatura e quindi troppo abbondante dovrebbe per forza di cose essere restituito nell’unica forma possibile, la condensazione e successiva precipitazione. Allora sì che l’umidità relativa non sarebbe più costante. Aumento dell’umidità al suolo, aumento dell’evaporazione, modifica degli ecosistemi e della biodiversità perchè le zone umide sono diverse da quelle aride. Insomma, difficile definirne gli effetti. Infine, tutta la letteratura assegna al ciclo idrologico una durata di 7-10 giorni ossia il tempo durante il quale l’acqua allo stato gassoso “risiede” in atmosfera prima di tornare in una delle riserve principali, oceani, ghiacciai, acque sotterranee, biosfera etc etc….Ciò detto: siamo qui ad interrogarci sull’entità dell’effetto antropico e abbiamo l’illusione o presunzione di intervenire ancora più pesantemente. Non mi sembra sia la strada giusta.
    Guido Guidi

  12. Davide Depaoli

    Secondo me porterebbe ad un riscaldamento della bassa atmosfera,ottimo articolo e complimenti Guido per ieri sera a GEO e GEO

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