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La pausa nel riscaldamento globale ed il contenuto di calore degli oceani

Sono diversi anni che si discutono le cause della pausa nel riscaldamento globale. Tale pausa è evidente nei dati satellitari, meno evidente nei dati di superficie e del tutto assente secondo la vulgata dei sostenitori del riscaldamento globale antropogenico. Personalmente reputo che tale pausa sia un fatto di cui è necessario tenere conto e di cui è importante capire le cause. Semplicisticamente potremmo dire che la pausa è la prova del fatto che l’AGW non esiste, ma tale spiegazione è insoddisfacente in quanto equivale a negare che il diossido di carbonio sia un gas serra e ciò equivarrebbe a negare una parte della fisica. Il problema da risolvere è perché di fronte ad un aumento sistematico della concentrazione atmosferica di diossido di carbonio e di altri gas serra le temperature hanno smesso di aumentare o aumentano in modo meno rapido. Perché in altri termini non esiste un rapporto di proporzionalità diretta temperatura globale-concentrazione di anidride carbonica.

Un primo discorso potrebbe riguardare la sensibilità climatica, cioè il modo in cui il sistema reagisce all’aumento della concentrazione di diossido di carbonio in atmosfera e, in particolare, al suo raddoppio. Questo approccio lascia, però, scoperto l’aspetto fisico della questione, cioè perché la sensibilità climatica è bassa. Tra le varie spiegazioni del fenomeno (ne esistono diverse decine) quella che voglio analizzare oggi è la capacità degli oceani di assorbire il calore in eccesso nell’atmosfera. Tale ipotesi nota in ambiente scettico come l’ipotesi del “calore mancante” o del “calore mannaro” fu elaborata dal dr. K. Trenberth e postula che il calore in eccesso sia scomparso nelle profondità oceaniche. Solo per mia comodità personale voglio ricordare che sulla base del bilancio radiativo terrestre esiste un’aliquota del calore intrappolato per effetto dei gas serra che manca all’appello e che determina la pausa. Tale calore mancante è quello che dovrebbe trovarsi nel fondo degli oceani.

Che gli oceani siano un pozzo per il calore è un fatto incontrovertibile per cui ci sarebbe poco da indagare: l’acqua ha una capacità termica enorme ed è in grado di immagazzinare una quantità altrettanto enorme di calore, anzi gli oceani sono il motore del sistema climatico in quanto essi garantiscono, attraverso la circolazione termoalina, la redistribuzione del calore tra poli ed equatore. Il problema è che nell’acqua il calore si trasmette per conduzione e, soprattutto, per convezione. In entrambi i casi ci si aspetta di passare gradualmente da una temperatura elevata in superficie ad una temperatura via via decrescente in profondità. Detto in altri termini un riscaldamento delle profondità oceaniche è illogico se le acque superficiali restano a temperatura costante.

E’ stato da poco pubblicato su Nature un articolo  di Peter J. Gleckler, Paul J. Durack, Ronald J. Stouffer, Gregory C. Johnson & Chris E. Forest  (da ora Gleckler et al., 2016) in cui ci si propone di indagare il problema del modo in cui gli oceani assorbono calore.

Industrial-era global ocean heat uptake doubles in recent decades

L’articolo è, fondamentalmente, una rianalisi di altri lavori, ma mi ha colpito per un aspetto a mio giudizio innovativo: i risultati dimostrano un aumento del contenuto di calore non solo nella parte inferiore degli oceani, ma anche in quella superiore.

La misura del contenuto di calore degli oceani è una cosa piuttosto recente e riguarda, essenzialmente, lo strato compreso entro i primi settecento metri di profondità. Ciò che accade oltre i settecento metri è stato oggetto di speculazione fino a quando non è entrata in funzione la rete di boe ARGO che ha cominciato a misurare le temperature anche nella zona compresa tra i 700 ed i 2000 metri di profondità. Per lo strato più profondo restiamo nel campo delle ipotesi.

Gleckler et al., 2016 parte dai modelli della suite CMIP5 sotto lo scenario di emissione RCP 8.5 (emissioni di diossido di carbonio secondo l’andamento attuale e senza alcuna azione di mitigazione)  e calcola il contenuto di calore dei tre strati in cui è stato suddiviso l’oceano sulla base delle ipotesi poste a fondamento dei modelli accoppiati oceano-atmosfera. In tale fase lo studio presuppone che il calore mancante sia stato immagazzinato nell’oceano profondo conformemente all’ipotesi di Trenberth. Fino a qui lo studio non avrebbe nulla di originale da aggiungere a quanto già sappiamo o presumiamo di sapere.

Ciò che mi è sembrato originale nello studio è il modo in cui le simulazioni modellistiche vengono testate. A partire dal 1872  disponiamo di dati piuttosto continui che ci consentono di stimare il contenuto di calore degli oceani, almeno nella parte superiore. Tra il 1872 ed il 1876 si svolse la spedizione Challeger che determinò le temperature dello strato superficiale degli oceani in un numero relativamente numeroso di punti. Tali rilievi proseguirono negli anni successivi, per cui disponiamo di una discreta base di dati che ha consentito a Levitus et al., 2012, Domingues et al., 2008 ed Ishii et al, 2009, di stimare il contenuto di calore degli oceani a partire dal 1970 e fino ai giorni nostri tanto per lo strato 0-700 che per quello 700-2000. La media multi-modello calcolata dagli autori è stata confrontata con le varie stime e con i dati delle boe ARGO e, in tal modo, si è ottenuto il tuning della media multi-modello degli strati superficiale e medio.

Per lo strato profondo si è fatto ricorso ad uno studio del 2010 di Purkey et al..

Ebbene combinando tra loro le simulazioni, tarate come indicato nei paragrafi precedenti, Gleckler et al., 2016 sono riusciti a stabilire che dopo il 1997 e, quindi, negli ultimi 18 anni, il contenuto di calore degli oceani è praticamente raddoppiato e ciò riguarda tanto lo strato superficiale, quanto quello intermedio e quello profondo.

Il grafico seguente tratto da Gleckler et al., 2016, sintetizza quanto ho appena illustrato.

Gleckler et al 2016

Posto uguale a zero il contenuto di calore nel 1865, il contenuto di calore attuale è 100 ed il 50% di questa quantità si è aggiunta negli ultimi 18 anni (1997 = 50%).

Cosa dobbiamo dedurre da tutto ciò? In primo luogo si nota chiaramente che il contenuto di calore degli oceani è variato con un trend crescente. In secondo luogo che gli oceani si comportano come una specie di tampone in quanto accumulano il calore in eccesso in tutta la loro massa e non solo in quella più esterna e tendono a moderare il riscaldamento dell’atmosfera (più di un terzo del contenuto di calore degli oceani si trova oltre i 700 metri di profondità). Questa azione moderatrice degli oceani è, a giudizio di Gleckler et al., 2016 la causa della pausa nell’aumento delle temperature che stiamo registrando.

Per concludere qualche piccola considerazione personale. Gleckler et al., 2016 elimina la principale debolezza dell’ipotesi di Trenberth: è difficile che il calore si trasmetta agli strati profondi senza riscaldare quelli intermedi, in quanto dimostra che il riscaldamento interessa tutti gli strati.

La principale debolezza di Gleckler et al., 2016 è il pesante utilizzo dei modelli matematici che estrapolano a circa un secolo i dati stimati dai ricercatori. Mentre per lo strato superficiale i dati di Challenger 1872/1876 consentono di avere un minimo di verifica strumentale delle elaborazioni matematiche, non si può dire lo stesso per gli strati intermedio e profondo, per cui tutto ciò che precede il 1970 è terra incognita nel senso che non abbiamo possibilità di verificare ciò che accadde veramente e questa incertezza riguarda circa un secolo. Altra cosa interessante è che dopo il 1997 e fino ad oggi il trend di aumento del contenuto di calore degli oceani è costante: non ho effettuato alcun calcolo analitico per individuare il break-point, ma mi sentirei di porlo intorno al 1997 che, guarda caso, è il momento in cui sono cambiate molte cose nel sistema climatico. Nel 1998 ci fu il grande El Nino, negli anni immediatamente precedenti iniziò il declino dei ghiacci artici e, secondo alcune stime, in quegli anni ebbe inizio la pausa nel riscaldamento globale. Coincidenze? Forse, ma non ci giurerei.

 

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Published inAttualità

11 Comments

  1. Donato

    L. Mariani, Teo e U. Crescenti hanno sollevato una serie di questioni che a mio giudizio possono essere discusse in un unico contesto.
    .
    Circa la contraddittorietà dei grafici citata da L. Mariani, la risposta è piuttosto articolata (almeno tale è stato il mio ragionamento). In primo luogo non credo che i due grafici siano contraddittori in quanto il grafico da me citato rappresenta la ripartizione percentuale del contenuto di calore tra i tre strati in cui è stato diviso l’oceano e, quindi, dimostra che il contenuto di calore si è ripartito tra tutti e tre gli strati e non solo in quello superficiale. In altre parole non è solo lo strato superficiale ad accumulare calore, ma l’intera colonna d’acqua. Ne deduciamo che se il contenuto di calore negli strati superiori aumenta, deve aumentare anche in quelli inferiori. Tutto quanto questo prendendo per oro colato gli output modellistici su cui è basato, per espressa ammissione degli autori, l’articolo che stiamo commentando. L’articolo, secondo il mio modesto parere, dimostra che il calore si trasferisce agli strati inferiori e non è confinato solo a quelli superiori come si tendeva a sostenere.
    Nell’ultimo decennio o giù di lì, il contenuto di calore nello strato superiore (0-700) è rimasto costante o è variato poco come dimostra il grafico che tu hai citato. Dal diagramma da me citato questo non si evince in quanto esso è basato sui modelli. Sulla scorta dei dati reali il plateau dovremmo trovarlo e, difatti, nei diagrammi utilizzati per il tuning del diagramma multimodello è presente, ma gli autori hanno preferito i dati di Levitus e di altri studi (che non lo evidenziano) invece di quelli delle boe ARGO: in un certo qual modo si cerca di riscrivere la storia 🙂 .
    .
    Appurato che il calore si trasmette agli strati inferiori (anche se sulla base di risultati modellistici), resta il perché questo meccanismo a volte funzioni ed altre volte no.
    E qui mi collego alle osservazioni di Teo e U. Crescenti, cioè al modo bizzarro in cui opererebbe il meccanismo fisico: in passato non ha funzionato, oggi funziona.
    Quando ci si trova di fronte ad un meccanismo che funziona “a tratti” i dubbi sorgono e minano la credibilità dell’intero meccanismo proposto. Teo sottolinea, giustamente, che la variazione di entalpia deve essere continua e non discreta (non possiamo neanche invocare la termodinamica quantistica in quanto il sistema è macroscopico 🙂 ) e, sotto questo punto di vista, mina alle fondamenta il ragionamento di Gleckler et al., 2016.
    .
    L’aspetto più discutibile dell’articolo mi sembra quello che sostiene che mentre nel passato il contenuto di calore negli strati profondi non era significativo, ora lo è diventato. Per me il meccanismo funzionava anche prima, ma, come ho messo in evidenza anche nel post, il fatto che compaia questa “intermittenza” mi sembra frutto di estrapolazione piuttosto spinta basata solo ed esclusivamente sugli output dei modelli sintonizzati sulle misure odierne e sulle stime riferite ai nostri tempi.
    Neanche questo articolo riesce a chiudere la questione, ovviamente, ma questo è scontato altrimenti i giochi sarebbero chiusi. 🙂
    Ciao, Donato.

  2. luigi mariani

    Complimenti a Donato per l’articolo e anche per i vari commenti, che pongono una quantità di questioni. Credo anch’io come Umberto e Teo che la non linearità con cui il sistema risponde ai diversi forcing sia una degli elementi più intriganti di tutta la faccenda. Da questo punto di vista mi sento vicino alle considerazioni di Bernardo Mattiucci (da “circolazionista” vedo molto bene NAO, AMO, PDO).
    Circa poi la considerazione di Fabio Vomiero sul fatto che il GW sia una realtà, nessuno fra noi credo ponga in discussione il trend all’aumento delle temperature globali dal 1850 ad oggi. Ragionare però sui diversi iati cui si è assistito in tale periodo (1879-1910, 1946-1976, 1998-2016) può aiutarci a capire quali sono i meccanismi in atto nel sistema per potere risalire alle cause. Da questo punto di vista l’operazione di “cancellare gli iati” per dire che il sistema va solo a CO2 mi pare paragonabile a voler nascondere la polvere sotto il tappeto.

  3. teo

    Ottimo articolo ma che apre un’altra questione, e mi accodo a Umberto: stante che il sistema e’ altamente non lineare (sempre sostenuto che il grafico CO2-Temp fosse significativo come quello dell’aumento delle Tasse postali negli USA vs Temp) qual’e’ il meccanismo ON-OFF di rilascio? Per l’entalpia mi aspetto un rilascio continuo e non un meccanismo discreto.

  4. Come sempre molto interessante… ma permettetemi di ribadire un concetto che, purtroppo, in troppi ignorano (spero non volutamente, anche se sono portato a pensare che sia proprio così):

    Per comprendere le “dinamiche climatiche”, bisogna studiare il “contesto” del Sistema Climatico Terrestre a 360°, senza escludere nessuna potenziale causa.

    Quando si parla di AGW, infatti, si parte dal presupposto (sbagliato e senza alcun fondamento scientifico) che l’aumento della temperatura dipende in prima analisi dalla quantità di CO2 presente in atmosfera. Purtroppo la fisica ci insegna che è vero l’esatto opposto.
    Poi si continua con considerare la temperatura degli oceani in qualche modo “dipendente” da quella atmosferica… e anche qui… è vero, sempre per la fisica, l’esatto opposto.
    Infine si considera come unica fonte di energia, che in realtà non lo è, la CO2 presente in atmosfera… quando in realtà la sorgente di energia per il sistema climatico terrestre è il Sole.
    E qui c’è un piccolo problema… perché le sorgenti di energia sono 2… una esterna al sistema, che è appunto il Sole e che da oltre 30 anni vive un’Attività Magnetica in “costante” calo (da ciclo 21 in poi i vari cicli solari sono in declino), ed una interna… che è il sistmea geologico terrestre… ovvero quell’insieme di attività, soprattutto vulcaniche, che emettono enormi quantità di calore sotto forma di gas e magma… sia in superficie che nelle profondità oceaniche.

    Ed è proprio questo aspetto che viene (temo) deliberatamente ignorato.
    La scienza ha dimostrato più volte (ma forse a pochi interessa) che l’attività geologica del nostro pianeta è INVERSAMENTE PROPORZIONATA all’Attività Magnetica Solare. In qualche modo (che sul blog ho spiegato varie volte, anche se a grandi linee), una forte attività solare riesce a “confinare” il calore prodotto dal nucleo nelle profondità della Terra. Quando l’attività solare diminuisce (nel lungo termine… ben oltre il singolo ciclo solare), questa energia risale, provocando l’aumento della temperatura e della pressione nel magma e consentendo a quest’ultimo di fuoriuscire dai vulcani attivi in giro per il mondo.

    La scienza, ancora una volta, ha dimostrato che negli ultimi 30 anni le eruzioni vulcaniche, soprattutto quelle sottomarine (ma non solo) sono in netto aumento.
    E tra queste si notano quelle nella zona artica che hanno, di fatto, provocato lo scioglimento del ghiaccio… DAL BASSO …e quelle, soprattutto, nella zona dell’Oceano Pacifico… che, tra l’altro, sono anche la causa del famosissimo fenomeno El Nino!
    Essì… perché una delle ipotesi (tra l’altro anche la più “logica”), vede nel vulcanismo sottomarino una delle cause alla base di tale fenomeno.

    Pertanto… tornando al discorso dell’articolo, quando si analizza il contenuto di calore immagazzinato dagli oceani, bisognerebbe considerare il fatto che tale calore proviene dal basso, dalle eruzioni vulcaniche sottomarine, e non dall’alto… dall’atmosfera.
    Non serve inventarsi un modo “paradossale” con il quale spiegare, arrampicandosi sui vetri, il modo in cui il calore passa dall’atmosfera alla superficie degli oceani e da questa alle profondità… perché sappiamo bene tutti che il calore va sempre verso l’alto (per la fisica) e mai il contrario.

    La pausa c’è… ed è spiegabilissima guardando gli indici climatici come PDO e AMO… che seguono l’attività magnetica solare con un ritardo di alcuni anni… E le temperature seguono a ruota tali indici… E’ quindi estremamente evidente (per chi vuole vederlo) che le temperature abbiano smesso di aumtare nel momento in cui tali indici hanno “rilevato” una riduzione del calore in arrivo dalla sorgente esterna che è il Sole.

    Per noi umani, per fortuna che ci sono le attività vulcaniche a “mitigare” il clima… e a renderlo meno variabile di quel che già è… perché altrimenti sarebbero dolori atroci!

    Bernardo Mattiucci

    P.S.: Sono a disposizione per qualsiasi spiegazione!

    • Donato

      Bernardo, solo qualche considerazioni su due punti del tuo commento.
      Tu scrivi che esistono due fonti energetiche per la Terra: Sole e calore geotermico.
      Per quanto mi riguarda, ma è una mia opinione, ne considero una sola: il Sole ed attribuisco all’altra un ruolo marginale. Nel mio ragionamento, pertanto, la parte del leone la fa il Sole che riscalda la superficie terrestre. La superficie terrestre, come tu mi insegni, riemette l’energia immagazzinata sotto forma di radiazione infrarossa che restituisce il calore ricevuto allo spazio profondo. Nel caso degli oceani che rappresentano la stragrande maggioranza della superficie terrestre, il meccanismo è lo stesso con l’aggiunta dei moti convettivi di natura termica e salina che generano le correnti. L’atmosfera, per quel che mi riguarda, viene riscaldata dagli oceani e dalla terraferma e in questo sono d’accordo con te.
      .
      Altro punto di divergenza è quello del ruolo della CO2. Secondo me i cosiddetti gas serra di origine naturale ed artificiale determinano uno squilibrio radiativo che consente al nostro pianeta di avere temperature tali da consentire la vita. Questo calore in eccesso resta innanzitutto negli oceani e da essi viene ceduto all’atmosfera che si riscalda.
      I gas serra assorbono la radiazione infrarossa e rendono più lento lo scambio radiativo tra spazio profondo e superficie terrestre con conseguente riscaldamento della Terra. In questa ottica è ovvio che una parte del riscaldamento terrestre è legato alla CO2 antropica. Il problema è: quanto? Io non lo so, ma questo credo che non lo sappia nessuno con sicurezza.
      Ciao, Donato.

    • Donato,

      la Terra riceve dal Sole molta, ma molta più energia di quella quantificata e quantificabile con la TSI. La riceve tramite il campo magnetico terrestre che funziona esattamente come il secondario di un trasformatore. Ed è proprio da lì che il nucleo riceve la propria energia.

      Quello che dici è vero… la Terra riemette una certa quantità di energia (sotto varie forme), ma bisogna ricordarsi che, a parità di “differenza di temperatura”, il RAFFREDDAMENTO è fino a 4 volte più veloce del RISCALDAMENTO.
      Questo significa che se non ci fosse tutto questo “surplus energetico”, la Terra si raffredderebbe ben oltre gli 8° C di media tipici dei lunghi periodi interglaciali freddi.

      Per quanto riguarda la CO2 non ho invece alcun dubbio… la componente antropica è microscopica in confronto a quanta ce ne sta in atmosfera. E comunque, se proprio vogliamo dirla tutta (visto che ci stiamo…), quella “immessa in atmosfera” è stata precedentemente sottratta al sistema. Alla fine, finché non importeremo risorse da altri pianeti, l’equilibrio resta intatto. Potremo avere magari meno petrolio nelle falde e più CO2 in atmosfera, ma avremo anche una differenza capacità di assorbire energia nel sottosuolo. Discorso delicato… che non riesco a spiegare bene… nel caso ignoralo! 😀

      Comunque… gli oceani, almeno in profondità, vengono riscaldati solo ed esclusivamente dalla geotermia. Ed il fenomeno de El Nino, che in molti attribuiscono all’AGW (ormai è una moda attribuire all’AGW ogni evento terrestre, naturale o artificiale che sia…), è di origine vulcanica.
      A quelle profondità la massa d’acqua calda riesce a risalire in superficie solo quando diventa sufficientemente grande e calda da “infrangere” la barriera costituita dalle correnti oceaniche fredde… che scorrono in profondità. Un meccanismo simile alle bolle di gas che vediamo nell’acqua subito prima di buttarci dentro la pasta (ecco… mi è venuta fame!).

      Ed infatti… gli episodi di El Nino aumentano durante le fasi fredde…. se fossero legati all’AGW dovrebbero fare il contrario. E si alternano agli episodi de La Nina perché modificano le correnti in profondità ed il sistema oceanico impiega anni per ritrovare un equilibrio (instabile).

      Bernardo

  5. Uberto Crescenti

    Come al solito ottimo articolo di Donato Barone. Una domanda, da inesperto del comportamento degli oceani: se gli oceani hanno assorbito calore determinamndo dopo il 1997 la pausa del risvcaldamento globale, come mai nei decenni porecedenti non hanno svolto la stessa funzione quando la temperatura è aumentata?. Grazie

  6. Fabio Vomiero

    Ottimo articolo Donato, per quanto mi riguarda ne condivido totalmente i contenuti. Mi fa molto piacere anche che anche tu abbia sottolineato tre punti che io ritengo fondamentali e che entrano spesso, in modo più o meno pertinente, nel dibattito sui cambiamenti climatici, fornendo, a mio avviso la giusta chiave di lettura.
    – La pausa o iato delle temperature NON rappresenta comunque la prova decisiva contro la teoria dell’AGW.
    – I rapporti di proporzionalità diretta esistono per i sistemi lineari, non per quelli complessi e non lineari come il sistema climatico. Ne consegue che, se anche l’ipotesi dell’AGW fosse vera, aspettarsi una crescita lineare delle temperature in funzione della crescita della CO2 e degli altri gas serra, sarebbe comunque concettualmente sbagliato.
    – Le temperature satellitari, nonostante ci sia chi intenda maneggiarle come se rappresentassero la perfezione tecnologica del dato (soprattutto nei confronti delle serie GHCN), sono in realtà anch’esse affette da potenziali e grossolani errori, tant’è che gli interventi di correzione, calibrazione e omogeneizzazione sono pressochè continui.
    Riguardo il contenuto di calore degli oceani, il lavoro che hai citato l’avevo visto. Dal mio punto di vista, non essendo in grado di criticare o meno la scelta dell’approccio modellistico utilizzato, mi basta cogliere l’informazione sostanziale, confermata anche da una estesa pluralità di dati e lavori. Oramai è chiaro che da decenni, oltre all’atmosfera, anche gli oceani stanno assorbendo calore, poi sul quanto e sul come, si può continuare a disquisire. A me interessa sapere che lo squilibrio radiativo esiste e il sistema nel suo complesso sta assorbendo calore, poi mi pare sia abbastanza logico ritenere che gli oceani possano in qualche modo comportarsi da “tampone”. Assodato questo, poi bisognerà necessariamente tornare a indagare le possibili cause, perché secondo me è lì che bisogna andare a parare, e non sul chiedersi ancora se il riscaldamento globale attuale esista o non esista, iato o non iato, fenomeno che peraltro, dopo una dozzina d’anni (un tempo assai breve in termini climatici) sembra si sia già concluso. Almeno fino a che i dati scientifici, ad oggi, siano considerati ancora tali e contino ancora qualcosa.
    Ciao, Fabio

    • Donato

      Fabio, le tue considerazioni sono in larga parte condivisibili.
      Qualche punto di dissenso esiste sullo iato e sulla sua natura. Partiamo dalle temperature atmosferiche o di superficie come vogliamo chiamarle. Esse sono in aumento dal 1850 e su questo non ci piove: è un fatto. Dopo la fine di un periodo di raffreddamento prolungato la cosa non mi meraviglia più di tanto. Quello che mi interessa più di tutto, però, è il motivo per cui la temperatura sta aumentando e il perché l’aumento non è costante, ma “a gradini”.
      In altre parole sono curioso di sapere perché ogni tanto si verifica uno iato. In Gleckler et al., 2016 mi è parso di vedere un barlume di luce anche se generata da un modello. Tu sai come la penso a proposito dei modelli per cui non ti meraviglierai se la cosa mi ha subito stuzzicato. In questo caso l’insieme dei modelli accoppiati oceano-atmosfera è riuscito a simulare, anche se in modo non del tutto soddisfacente, un sistema naturale e ha consentito di appurare che la modellazione fisico-matematica riesce a spiegare una distribuzione del calore apparentemente controintuitiva. Non è una cosa di poco conto.
      Ti dirò di più. Pur non tenendo conto del plateau nei dati strumentali (derivati da ARGO), dimostra che negli ultimi anni non vi è stata alcuna accelerazione del rateo di accumulo del calore. Questo fatto dimostra che a fronte di un aumento della concentrazione di CO2 e, secondo la vulgata, dello squilibrio radiativo, non abbiamo registrato un aumento della velocità di accumulo del calore negli oceani a partire dalla fine degli anni 90 del 20° secolo. A questo punto mi sembra ovvio che qualcosa non funziona come dovrebbe nei modelli fluidodinamici e termodinamici che hanno bisogno di ulteriori affinamenti. In tutto ciò appaiono rivalutate ipotesi come quella dell’iride adattativa di Lindzen che depongono per l’esistenza di attratori che tendono a stabilizzare il sistema climatico nello spazio delle fasi. Uno di questi attrattori potrebbe benissimo essere rappresentato dall’oceano che accumula al suo interno il calore in eccesso ed impedisce che le temperature atmosferiche o di superficie crescano in modo esponenziale come previsto dai modelli.
      Sono convinto, infine, che se ci togliessimo dagli occhi la lente deformante del riscaldamento globale di origine esclusivamente antropica, potremmo indagare in modo più efficace le cause del cambiamento climatico ed il funzionamento della macchina climatica, ma in questo le nostre idee e speranze tornano a coincidere.
      Ciao, Donato.

    • Guido Botteri

      // – La pausa o iato delle temperature NON rappresenta comunque la prova decisiva contro la teoria dell’AGW. //
      Vero, ma dimostra che non c’è proporzionalità diretta tra CO2 e temperatura, come fai notare anche tu:
      // – I rapporti di proporzionalità diretta esistono per i sistemi lineari, non per quelli complessi e non lineari come il sistema climatico. //
      Quindi
      la CO2 non è il termostato del pianeta
      (evidentemente c’è anche qualcos’altro, e dovremmo essere interessati a capire bene cosa)

      Peccato che quando qualcosa osa studiare anche altri fattori, come Scafetta (pur non disconoscendo che la CO2 dia un qualche contributo),
      venga attaccato ferocemente da chi vuole vedere sempre e solo CO2 (e pare non volersi accorgere che la CO2 non è prodotta solo dall’uomo)

      Insomma, pare di poter concludere quello che penso da anni e cioè che la CO2 sia “uno” dei fattori che influenzano la temperatura media del pianeta (salvo poi a determimarne l’esatto peso),
      che esistono anche altri fattori
      e quindi sarebbe sensato studiarli, capirli e misurarli
      secondo me.

  7. Luigi Mariani

    Caro Donato,
    Quando ho visto l’articolo sono rimasto molto stupito dal diagramma che tu presenti e commenti.
    Vedi infatti questi dati che sono frutto di misure: http://www.oco.noaa.gov/oceanHeatContentProduct.html
    Che c’azzecano con il modello? Nei dati il plaeau (global warming hiatus) si vede bene a decorrere dal 2003 mentre nel modello è cancellato.
    I casi sono due: o i dati sono sbagliati oppure si stia riscrivendo la storia (come in 1984 di Horwell).
    Tu che ne pensi?
    Ciao. Luigi

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