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Il trend di aumento del livello del mare: una questione di modelli.

Uno dei temi del dibattito climatico che maggiormente appassiona, almeno chi scrive, è quello del livello del mare o, per essere più precisi, del modo in cui varia la tendenza del suo aumento. Il livello del mare è infatti in aumento, ma questa non è una novità: sta aumentando a partire da quando è iniziato l’attuale periodo interglaciale. Ciò che appassiona gli addetti ai lavori e gli appassionati, è capire se questo aumento sta accelerando oppure no e, se sta accelerando, perché. Il livello del mare può essere considerato come la grandezza che consente di valutare il comportamento di un sistema dinamico complesso che comprende tutti gli oceani terrestri. Esso varia localmente in modo anche piuttosto bizzarro: in alcune aree aumenta, in altre diminuisce, in altre resta stabile. Mediamente esso aumenta. I ricercatori che si occupano di livello del mare possono essere raggruppati in due scuole di pensiero.

La prima analizza le variazioni del livello del mare sulla base di modelli fisici che tengono conto degli andamenti dei tre contributi che lo determinano: dilatazione termica degli oceani (contributo sterico o termosterico), contributo di massa conseguente lo scioglimento dei ghiacciai terrestri (calotta antartica e calotta groenlandese, principalmente) e variazione del regime delle acque superficiali e sotterranee terrestri. Questa scuola di pensiero che personalmente preferisco, ha come principale punto debole l’incertezza nella stima dei vari contributi. Il contributo sterico è determinato dal contenuto di calore dell’intero volume oceanico e questa grandezza è conosciuta in modo abbastanza aleatorio. Mentre per i primi settecento metri di profondità il numero di osservazioni è relativamente abbondante, per lo strato inferiore fino a 2000 metri di profondità il numero di osservazioni è molto più ridotto e disponiamo solo di stime anche abbastanza approssimative. Per la restante parte le misure reali sono piuttosto rare. Il contributo di massa derivante dallo scioglimento delle calotte glaciali terrestri è determinato essenzialmente sulla base di rilievi satellitari (esperimento GRACE, per esempio). Tali rilievi consistono nella determinazione delle variazioni di massa delle calotte glaciali mediante altimetri satellitari, ma tali misurazioni sono molto sensibili all’assestamento isostatico (GIA) conseguente lo scioglimento dei ghiacci che non è conosciuto con sufficiente certezza. Essendo i rilievi basati su rilevazioni altimetriche, si capisce facilmente che una parte consistente delle variazioni altimetriche potrebbe essere conseguenza del GIA e non dell’effettiva perdita di massa delle calotte glaciali. Discorso ancora più complicato per le variazioni della circolazione delle acque terrestri superficiali e sotterranee. E’ ovvio che tutte queste incertezze si riverberano sul risultato finale: IPCC nel suo ultimo rapporto stima l’aumento del livello del mare al 2100 in un valore compreso tra circa 20 cm e circa 80 centimetri (valori centrali).

La seconda scuola di pensiero è quella dei modelli “semiempirici” che parte da un’ipotesi di base: poiché il ghiaccio si scioglie se le temperature sono elevate e ad un clima caldo corrisponde un maggior contenuto di calore degli oceani, appare quasi lapalissiano che tra temperatura globale e livello del mare deve esistere un legame fisico. E’ però in quella parola “appare” che si cela il principale problema che angustia i modelli semiempirici in quanto il legame fisico tra temperatura globale e livello del mare è piuttosto aleatorio e non è assolutamente di tipo lineare. In altri termini non si può impiantare una equazione del tipo maggior temperatura uguale a maggior aumento del livello del mare. Eppure esistono decine di articoli scientifici che ipotizzano tali legami e determinano innalzamenti del livello del mare di qui al 2100 di gran lunga maggiori di quelli stabiliti dall’IPCC. Si tratta, ovviamente, di modelli che mediano il legame in modo tale da “tener conto” della non linearità del sistema, ma a mio modesto parere, sopravvalutano in maniera eclatante il trend di variazione della velocità con cui aumenta il livello del mare. Di qui il mio profondo scetticismo circa i risultati di tali studi.

Attraverso le news di “Le Scienze” sono venuto a conoscenza di due recentissimi articoli che trattano il tema di questo post. Per ora ci occuperemo dell’articolo di M. Mengel, A. Levermann, K. Frieler, A. Robinson, B. Marzeion e R. Winkelmann pubblicato su PNAS:

Future sea level rise constrained by observations and long-term commitment (da ora Mengel et al., 2016).

L’articolo rende conto di un lavoro che ha cercato di eliminare la cesura tra modelli semiempirici e modelli fisici del livello del mare, elaborando un modello ibrido che tenga conto dei pregi degli uni e degli altri. Il modello elaborato da Mengel et al., 2016 stima i contributi fisici all’aumento del livello del mare relativamente alla frazione antropica, legandoli alla temperatura globale. Apparentemente sembra che non sia cambiato nulla rispetto ai modelli semiempirici classici, ma non è vero. Sulla scorta di dati di prossimità millenari e di dati osservativi gli autori hanno determinato dei limiti alla variazione dei contributi sterici e di massa in funzione delle temperature globali per cui sembra che siano riusciti a ridurre fortemente la sopravvalutazione dell’accelerazione dell’aumento del livello del mare che rendeva poco credibili i modelli semiempirici tradizionali.

Procediamo, però, con ordine. Mengel et al., 2016 ipotizza che il livello del mare sia caratterizzato da un andamento del singolo contributo (sterico o di massa) che dipende da una sensibilità a lungo termine funzione, a sua volta, della temperatura media globale e di un coefficiente che tiene conto della distanza temporale tra la causa e l’effetto. La causa è, ovviamente, la temperatura media globale e l’effetto è il valore del contributo all’innalzamento del livello del mare. Detto in termini più espliciti il tasso di variazione del livello medio del mare dipende linearmente dalla temperatura media globale, ma i ricercatori hanno introdotto alcuni coefficienti che tengono conto della non linearità del sistema. Il modello presenta diversi coefficienti su cui si può intervenire per sintonizzare i risultati e questo è il primo dei suoi difetti anche se non quello più grave.

Il principale difetto del modello di Mengel et al., 2016 è, a mio modesto avviso, la sua dipendenza dalla temperatura globale o, per essere più precisi, dalla temperatura media globale futura ovvero da quella generata dai modelli di circolazione globale (GCM) sotto i vari scenari di emissione individuati da IPCC. Gli autori hanno calcolato, infatti, il contributo sterico ed il contributo di massa ipotizzando che essi siano influenzati dalla temperatura globale. Ammesso che ciò sia vero, mi chiedo che attendibilità può avere un lavoro che basa tutte le sue conclusioni su un assunto e cioè che le temperature future saranno quelle previste dai modelli che, a quanto sembra, non corrispondono con le temperature osservate oggi? La risposta è semplice: nulla se le previsioni si dovessero rivelare sbagliate. Ciò non toglie che qualche pregio questo lavoro, come avremo modo di vedere, lo possiede.

Per quel che riguarda il contributo sterico in Mengel et al., 2016, si è fatto riferimento alle varie ricostruzioni effettuate da vari studi nel corso degli anni. Ipotizzando che prima del 1940 il contributo antropico all’innalzamento del livello del mare fosse trascurabile, hanno calibrato la loro funzione in modo tale che essa riproducesse le ricostruzioni disponibili a partire dal 1940 e fino ai nostri giorni. In tutto ciò hanno supposto che il contributo della parte di oceano sotto i 2000 m di profondità alla variazione del livello medio del mare, fosse trascurabile. Questo non è vero in quanto sembra che tale volume oceanico subisca aumenti di contenuto di calore (qui, su CM) anzi sembra che questo calore sia quello responsabile dello iato nell’aumento delle temperature globali.

Per quel che riguarda il contributo di massa Mengel et al., 2016, hanno distinto quello dei ghiacciai montani, quello della calotta glaciale groenlandese e quello della calotta glaciale antartica. Nulla hanno previsto per la variazione della circolazione delle acque terrestri. Gli autori per la stima di questi contributi hanno incontrato non pochi problemi in quanto i dati a disposizione lasciano piuttosto a desiderare sia in fatto di qualità che di quantità. Mentre per i ghiacciai montani, inoltre, il legame con la temperatura appare piuttosto plausibile, per quelli groenlandesi ed antartici tale legame è piuttosto labile e controverso. Si tratta, infatti, di ghiacciai molto particolari che sono influenzati anche dalle correnti oceaniche e di spessore tale che sembra piuttosto difficile legare la loro evoluzione solo o principalmente alla temperatura media globale. Mi sento di dire, per quel che ne so, che tale legame, se esiste, è del tutto secondario e nel caso dell’Antartide del tutto assente (in quelle aree le temperature medie sono stabili o addirittura in diminuzione).

Tutto ciò premesso, Mengel et al., 2016, dopo aver scritto le equazioni di tutti i contributi ed aver calcolato i coefficienti di calibrazione di ognuna di esse, determina il valore dell’innalzamento del livello del mare nell’ultimo ventennio del 21° secolo sotto i vari scenari di emissione IPCC. I risultati così ottenuti sono stati assoggettati ad una serie di controlli statistici basati sul metodo Montecarlo ed i risultati del test consentono di accettarli. Analizzando i risultati, si vede chiaramente che essi sono quasi del tutto sovrapponibili a quelli dell’AR5 dell’IPCC.

La coincidenza tra i valori IPCC e quelli di Mengel et al., 2016 non mi ha sorpreso affatto in quanto non poteva essere altrimenti: la calibrazione delle funzioni utilizzate per stimare i vari contributi è stata effettuata sulle misure utilizzate da IPCC per la redazione del suo report. A questo punto sorge spontanea la domanda circa l’utilità di questo nuovo metodo, visto che fornisce valori simili a quelli già noti. Secondo me è notevole in quanto consente di far piazza pulita di tutta la congerie di modelli semiempirici che fornivano letteralmente numeri a lotto. Da oggi se si vuol operare con un metodo veloce ed economico sia in termini computazionali che di costi, non serve far ricorso a modelli estemporanei, ma il metodo di Mengel eta al., 2016 consente di ottenere risultati aderenti a quelli generati dai sofisticati e costosi modelli che quantificano fisicamente i contributi sterici e di massa e che richiedono potenze di calcolo estremamente elevate.

Gli autori concludono il loro lavoro con la considerazione che il loro metodo presenta ancora molti punti deboli (completamente d’accordo) che potranno essere eliminati con approfondimenti futuri e, inoltre, non è in grado di simulare processi non legati alla forzante antropica come il collasso di piattaforme glaciali o l’aumento dello scarico solido delle calotte glaciali conseguente ad aumento di precipitazione nevosa e/o di massa.

E per finire qualche considerazione personale. Stabilire se il livello del mare ha incrementato la sua velocità di aumento è difficile. La difficoltà è insita nell’incertezza circa la quantificazione dei contributi che la determinano. Bisogna lavorare ancora molto per poter modellare in maniera attendibile la variazione dei contributi sterico e di massa all’aumento del livello del mare e bisogna osservare ancora a lungo e con maggior dovizia di mezzi e risorse il comportamento dei ghiacci, delle acque di superficie e sotterranee e del contenuto di calore degli oceani. Ancora una volta dobbiamo riconoscere che ci troviamo di fronte a problematiche in cui l’incertezza regna sovrana e su cui bisognerebbe procedere con i piedi di piombo. Ciò dall’esame delle carte. “Le Scienze” non esita, però, a titolare: l’accelerazione senza precedenti dell’innalzamento dei mari. Il titolo non è quello di un medium generalista, ma di uno dei principali medium di divulgazione scientifica italiani. Si sono resi conto che il contenuto dell’articolo recensito ed il titolo sono contraddittori in termini? Si sono resi conto che stanno facendo disinformazione scientifica? Hanno letto l’articolo o si sono limitati alle comunicazioni stampa? Ai posteri l’ardua sentenza!

Ad ogni buon conto l’articolo è liberamente accessibile ed ognuno può toccare con mano.

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Published inAttualitàClimatologia

10 Comments

  1. […] giorni scorsi abbiamo avuto modo di parlare (qui e qui) di due diversi modelli di variazione del livello del mare. Si trattava di due modelli […]

  2. Donato

    Max, non ne ero a conoscenza. Ho iniziato a leggerlo….
    Ti farò sapere, ma la prima impressione è stata di … sorpresa. 🙂
    Ciao, Donato.

  3. Uberto Crescenti

    I modelli utilizzati per tentare di prevedere la variazione del livello del mare non possono purtroppo spiegare perchè in piena fase glaciale, tra 20 mila e 10 mila anni il livello del mare è aumentato di circa 100 metri. Infatti 20 mila anni fa il livello del Mediterraneo era 140 metri circa più basso dell’attuale. Nell’Olocene, fase calda che stiamo vivendo, il livello del mare ha raggiunto il livello attuale circa 5-6 mila anni fa, dopo di che non ha subito variazioni consistenti. Questo comportamento del livello del mare non è quindi solo dovuto al riscaldamento globale, ma altre cause ancora non note ne determinano la variazione

  4. Fabio Vomiero

    Sempre molto interessanti e piuttosto articolati i tuoi lavori Donato. Io credo che tu abbia messo bene in evidenza innanzitutto l’incertezza che giocoforza sussiste ancora nel modellizzare queste dinamiche e che derivano principalmente dall’aleatorietà di alcuni dati e dalla carenza conoscitiva dei reali meccanismi multifattoriali che regolano queste dinamiche. Un po’ le stesse problematiche che riguardano in fondo anche lo studio delle dinamiche delle temperature globali. Ecco quindi che, come già espresso in altri miei interventi, personalmente rimango ancora abbastanza scettico sulla effettiva “bontà” dei modelli fisico-matematici, tanto che l’alternativa o la complementazione del modello empirico o semiempirico a volte può addirittura rendersi necessaria, come nel caso del lavoro in questione. Del resto, quando si esamina un sistema complesso, la pluralità dell’approccio diventa indispensabile, proprio laddove il solo modello fisico-matematico per i motivi sopra citati, tende a perdere inevitabilmente di efficacia. Quindi dal mio punto di vista tenderei a ritenere interessante l’approccio utilizzato da Mengel et al., anche se, alla fine, non so quantificare esattamente il grado di empiricità dei modelli utilizzati. Riguardo le osservazioni invece mi sentirei di dire che, nonostante tutte le incertezze legate al dato, alcuni trend attuali possano oramai ritenersi abbastanza assodati: l’aumento delle temperature superficiali, l’aumento di contenuto di calore degli oceani, anche in profondità, lo scioglimento in corso della maggior parte dei ghiacciai continentali, della calotta groenlandese e di quella dell’Antartide occidentale così come l’aumento dell’instabilità di alcune piattaforme glaciali. Quindi salvo modifiche osservazionali dei trend, che finora non ci sono state eccetto un breve rallentamento del tasso di crescita delle temperature, penso che il modello concettuale basato sul proseguimento dell’aumento del livello medio dei mari a seguito dei contributi che hai perfettamente elencato, per il momento non faccia una piega. Dico per il momento perché poi domani chissà, se veramente le osservazioni dovessero cambiare di segno, come tutti ci auguriamo (anche se personalmente non ho ancora gli elementi per crederci), i modelli probabilmente sarebbero da buttare. D’altra parte è questa l’affascinante sfida che ci lanciano gli imprevedibili sistemi complessi.
    Ciao, Fabio

    • Donato

      Fabio, in questo caso i modelli semi empirici hanno toppato alla grande e questo lavoro cerca di porre rimedio (molti di essi sono stati elaborati proprio dal centro di ricerca tedesco cui sono affiliati gli autori).
      Il modello semi empirico eIaborato da Mengel et al., 2016 di empirico ha solo il fatto che si legano alla temperatura fenomeni che con essa hanno poco a che vedere. In realtà esso replica quasi pedissequamente i modelli fisici. L’unico suo vantaggio è di tipo economico: richiede poca potenza di calcolo e, quindi, meno ore macchina e meno soldi.
      In quanto all’incertezza dei modelli fisici, che ritroviamo pari pari in quello di Mengel et al., 2016, sono completamente d’accordo con te.
      Dobbiamo riconoscere ancora una volta che i modelli, purtroppo, non riescono a modellare la realtà dei fatti (né quelli empirici, né quelli fisici). E in questo sono perfettamente d’accordo con il prof. Crescenti.
      L’inadeguatezza dei modelli utilizzati per prevedere l’andamento del trend di variazione del livello del mare è un dato acquisito anche da esimi studiosi della materia.
      Circa tre anni fa in questo post
      http://www.climatemonitor.it/?p=29460
      analizzai un lavoro (Gregory et al., 2012) che dimostrava come il livello medio del mare stesse aumentando senza grosse variazioni tra la prima e la seconda metà del 20° secolo. Gli autori sostenevano ciò in base alla constatazione estremamente lineare che non erano cambiato il tasso di variazione delle parti che, sommate tra di loro, determinano accelerazioni o rallentamenti del livello del mare. Detto in altri termini il trend di variazione del livello del mare non sta aumentando perché, rispetto alla prima parte del 20° secolo, non è aumentato o è aumentato in modo scarsamente significativo il tasso di scioglimento delle calotte glaciali terrestri, non è aumentato o è aumentato in modo scarsamente significativo il tasso di variazione delle acque terrestri e non è aumentato o è aumentato in modo scarsamente significativo il tasso di variazione del contenuto di calore degli oceani. Ne dobbiamo dedurre che il livello medio del mare sta aumentando senza subire accelerazioni o con accelerazioni scarsamente significative.
      A questo punto ci chiediamo da dove viene fuori la storia dell’aumento della velocità di variazione del livello del mare.
      Le spiegazioni sono due.
      In un mondo che si scalda DEVE aumentare per forza il livello del mare e, visto che i modelli fisici non collaborano o collaborano poco, si creano i modelli semi empirici. E questa è la prima.
      La seconda, molto più pregnante, deve essere ricercata nelle osservazioni. Dal 1993 si dispone di osservazioni satellitari e, quindi, estese a tutta la superficie oceanica. E’ da allora che si è vista l’accelerazione della variazione del livello del mare. I mareografi forniscono, invece, informazioni contrastanti e non univoche.
      Come dice il prof. Crescenti con i modelli non riusciamo a spiegare le variazioni del livello del mare del passato e forse neanche quelle del futuro. Né con quelli semi empirici, né con quelli fisici.
      Ciao, Donato.

  5. Il post è erroneamente uscito con la mia firma, mentre l’autore è Donato Barone, al quale chiedo umilmente scusa. Ora è stato corretto.
    gg

  6. Alessandro2

    Buongiorno Col. Guidi, grazie per questo (e per tutti gli altri) post. Volevo solo intervenire per far presente a lei ed ai lettori di CM che “le Scienze”, lungi dall’essere medium veramente scientifico, da tempo si è trasformato in manifesto del pensiero dominante e del politicamente corretto, spacciando per scienza ciò che invece è ideologia. Alle sortite catastrofiste e semplificatorie sul clima, delle quali il titolone citato è solo un esempio, si aggiungono sparate nei più svariati campi: neuroscienze (riduzionismo spinto all’estremo, anche qui soprattutto nei titoli); scienze sociali e comportamentali (sostegno incondizionato delle teorie cosiddette “del gender”); evoluzionismo (messa in ridicolo di chi osa criticarne alcuni aspetti non ancora chiariti) e così via.
    Quella che fu l’ottima edizione italiana di Scientific American, di cui all’università ero orgoglioso abbonato, oggi è solo un’altra perla della collana in un gruppo editoriale dal preciso orientamento politico e culturale.

    • Donato

      “Le Scienze” è, a mio giudizio, una rivista di divulgazione scientifica abbastanza rigorosa (molto più di molti suoi concorrenti) e, eccettuato il problema del clima che cambia e cambia male, riesce a mantenere un buon livello qualitativo: la leggo da oltre venti anni. Questo a livello di articoli pubblicati. Dal punto di vista delle news e delle “brevi” (per usare un termine forse desueto) le cose non vanno altrettanto bene e concordo con le tue osservazioni, ma non si può essere perfetti.
      Nel caso del cambiamento climatico di origine antropica credo che il problema sia nel direttore della rivista, ma su questo non possiamo farci niente: ho anche cercato di comunicargli le mie lagnanze, ma non ho ottenuto risposta. Bisogna farsene una ragione. Nel mio caso prendo con le pinze quanto leggo ed approfondisco le fonti. Nei casi più eclatanti esprimo, come in questo caso, il mio dissenso con un post su CM. 🙂
      Ciao, Donato.

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