Salta al contenuto

Stupidario Referendario – Parte Terza

Contravvenendo ai propositi iniziali abbiamo deciso di aggiungere una parte terza allo Stupidario Referendario (qui e qui le prime due puntate). Occorrerebbe scrivere uno Stupidario al giorno per star dietro alle castronerie che tocca leggere sui giornali italiani.

Un argomento particolarmente utilizzato in questi giorni è quello del “modello di sviluppo alternativo”. Tanti ne parlano, ma nessuno ha mai veramente capito cosa sia in realtà. Nel nome di questo modello si propone, tra le altre cose, l’eutanasia dell’industria estrattiva italiana. É un concetto purtroppo ricorrente, questo del nuovo modello di sviluppo nel nome del quale l’Italia è stata di fatto quasi del tutto spogliata del suo tessuto industriale costruito a partire dal dopoguerra.

E pensare che siamo stati pionieri, anche nell’industria petrolifera. L’Italia é stata infatti il primo paese a dotarsi, nel  1967, di una legislazione per l’esplorazione e produzione di idrocarburi offshore e nel 1959 ha perforato il primo pozzo offshore dell’Europa occidentale (Guidi, Di Cesare) . Erano altri tempi. Tempi in cui eravamo ancora leader e pionieri in tante cose, e in cui non c’era tempo da perdere per referendum che chiudessero impianti in marcia, perché c’era un Paese da ricostruire, e non da smantellare.

Per chi è invece più interessato al ruolo contemporaneo di leader mondiali della decrescita felice, restano i giornali italiani. Una certezza, tra le poche di questi tempi.  Molti degli articoli in questione citano a titolo di esempio paesi virtuosi come la Norvegia e l’Olanda. Sulla sostenibilità-insostenibile olandese si é già scritto su questo stesso sito.

Venendo invece alla Norvegia, molto si scrive a proposito dell’eccezionale contributo delle fonti rinnovabili al mix energetico e a proposito dell’impegno ambientalista (lastampa, beppegrillo). Quello che si fatica a dire chiaramente, è che il 93% del contributo al mix energetico è fornito da una fonte energetica tanto rinnovabile quanto antica: l’idroelettrico. Mentre il rinnovabile “moderno”, quello vagheggiato dai no-triv, si attesta al misero 2.4% dell’eolico, doppiato a sua volta dal vituperato fossile (Fig.1).

Mix Norvegia_Fig_1
Fig. 1. Mix energetico norvegese, 2013 (MW). Fonte: www.powermag.com

E proprio a proposito di eolico, la prima società energetica norvegese (Statkraft) ha da poco annunciato la cancellazione di un progetto per la costruzione di due parchi eolici per un totale di 1 GW e un costo di circa 1.4 miliardi di dollari. Il motivo? Sono soldi sprecati, in mancanza di ricche sovvenzioni statali che lo rendano economicamente appetibile . Un dettaglio, per i profeti della decrescita felice. Argomento del tutto incomprensibile, invece, per il già citato Ricci, che giustifica la “fuga dal petrolio” con il fatto che il suo prezzo è crollato.

Rimane un mistero, per chi mastica qualcosa di economia, come mai il mondo dovrebbe essere in fuga dall’uso di una materia prima economica per usarne una più costosa. La fuga in questione infatti non c’è, anzi. Il grafico in Fig.2 mostra l’aumento notevole nell’uso di carbone e gas naturale nel mix energetico mondiale. Strano, data la collocazione Ricciana di queste fonti nella casta dei paria. Chi fosse interessato a scoprire come si collocano i bramini  delle rinnovabili può chiedere in prestito al Ricci una lente di ingrandimento.

MIx mondiale Fig_2
Fig. 2. Mix energetico mondiale. Fonte:  www.bp.com

 

 

 

Ma continuiamo a parlare di Norvegia, perché é una cartina al tornasole dello stupidario referendario di questi giorni. Perché se la Norvegia deve essere un modello, almeno che lo sia fino in fondo.

Assodato che i nostri amici nordici producono energia quasi completamente rinnovabile e spingono per l’utilizzo di navi elettriche, cose di per se assolutamente lodevoli, è il caso di ricordare che la Norvegia è uno dei maggiori produttori di idrocarburi mondiali: circa 2 milioni di barili prodotti al giorno nel 2014, insieme a 110 miliardi di metri cubi di gas prodotti nello stesso anno (fonte EIA). Niente male, direi.

Ma come mai questi norvegesi predicano bene e razzolano male, si chiederanno i nostri no-triv, profondamente scossi nelle loro certezze dall’enormità di queste rivelazioni? Ci risponde sempre l’EIA: nel 2014 la produzione di olio e gas naturale ha costituito il 45% dei proventi dell’export e più del 20% del prodotto interno lordo. Questi proventi si sono concretizzati in investimenti pubblici, sgravi fiscali e tutte quelle belle cose che anche gli italiani chiedono al loro Governo. E siccome i norvegesi sono previdenti, hanno anche pensato bene di alimentare un fondo sovrano, con quegli stessi proventi. Per assicurare il futuro loro e quello dei loro figli.

I nostri profeti della decrescita felice ci rassicurano però sugli eventuali esiti di questo referendum. In una mirabile intervista il governatore pugliese Emiliano sostiene che chiudere le nostre piattaforme non avrà impatto né sull’approvvigionamento energetico né sull’occupazione. E che senza continueremmo tranquillamente ad accendere i termosifoni e a cucinare la pasta, allo stesso costo. Sorvolando sull’effetto occupazionale che il sindaco di Ravenna quantifica comunque in circa 3,000 posti di lavoro nella sola area romagnola, Emiliano accendendo il fornello ringrazierà anche i norvegesi, visto che da Olanda e Norvegia l’Italia acquista circa 7 miliardi di metri cubi di gas all’anno, pari a circa il 10% del suo fabbisogno (fonte: Ansa).

Cerchiamo allora di riassumere l’esempio norvegese in poche parole. I norvegesi sono rinnovabili perché usano l’energia idroelettrica, una fonte che risale ad appena un secolo e mezzo fa. Snobbano l’eolico perché non redditizio. Ma producono idrocarburi a go-go, in un contesto tra l’altro estremamente vulnerabile dal punto di vista ambientale. Come mai? Perché la produzione di idrocarburi genera ricchezza da distribuire ai cittadini sotto forma di investimenti pubblici, servizi e sgravi fiscali. Hanno un mercato molto vasto, i loro idrocarburi, perché il mondo ha fame di energia e l’energia, oggi, e’ in grandissima parte prodotta grazie a fonti fossili.

Curiosamente, i norvegesi vendono il loro gas anche ad un Paese che pur disponendone in abbondanza, decide di non svilupparlo. Non contento, lo stesso Paese decide di chiudere anche le piattaforme attualmente in produzione con un referendum. E per quale motivo? Perché gli ambientalisti di quel paese sognano di diventare “come la Norvegia”. Il norvegese non capisce. Ma intanto il suo gas lo vende all’ambientalista italiano, all’Emiliano che si compiace di continuare ad accendere il fornello allo stesso prezzo. Peccato che invece di contribuire alla causa dell’esangue erario italiano, Emiliano preferisca arricchire il già pingue fondo sovrano norvegese.

È la summa della decrescita felice: mi de-industrializzo rincorrendo un modello economico “virtuoso” che nessuno sa veramente in cosa consista, a parte il riferimento generico al turismo, alle spiagge e alla buona cucina. Modello riassumibile perfettamente nell’italico adagio basta ca ce sta ‘o mare, basta che ce sta ‘o sole”. Peccato che l’Italia sia, nonostante la furia ambientalista iconoclasta (anzi, petrolio-clasta), la seconda manifattura europea. E peccato che non si riescano a trovare esempi di grandi economie mondiali che facciano a meno dell’industria e producano reddito solo con il turismo. Forse i nostri modelli di sviluppo sono diventati Cuba, Haiti e la Repubblica Dominicana?

A conclusione di questo trittico viene da chiedersi cosa ci sia veramente, dietro questo referendum. Un mio caro amico qualche giorno fa mi ha scritto: “dici cose giuste, ma pensi veramente che la gente sia chiamata a votare per la politica energetica italiana?”. Il mio amico ha ragione. Sulla Stampa, infatti, leggo che il referendum è la “prova generale della spallata d’autunno”.

Un norvegese in vacanza in Italia, volendo provare a capire perché si voterà il 17 aprile, si imbatterà in spiegazioni come questa, fornita da un politico italiano appartenente ad un partito di sinistra ma in fuga da un altro partito di sinistra, forse non abbastanza ambientalista: “Se al referendum sulle trivelle votasse il 40% di elettori e vi fossero 16 milioni di sì, sarebbe sufficiente per poter sperare in un esito positivo in autunno. Siccome gli aventi diritto al voto in Italia sono circa 50 milioni, si è calcolato che potrebbero votare al referendum costituzionale 32-34 milioni di italiani e quindi basterebbero 17-18 milioni di no in quel caso per mandare a casa questo governo”.

Al norvegese incredulo cercherò di spiegare che ci viene chiesto di andare a votare per un referendum “contro-le-trivelle” perché qualche politico ex-qualcosa poi farà la conta col pallottoliere per capire se l’attuale Governo può cadere o meno, al prossimo referendum.

Il norvegese mi darà una pacca sulla spalla e mi guarderà con commiserazione. Io gli cucinerò un ottimo piatto di spaghetti con gli scampi, grazie ad un 10% di molecole di gas norvegese. Gli spiegherò che la cucina e le spiagge saranno tra le poche cose che rimarranno, nell’Italia che decresce felicemente.

Ma gli ricorderò anche che il primo pozzo offshore europeo l’abbiamo fatto noi italiani e, soprattutto, gli racconterò di quando i suoi antenati norvegesi nel lontano 1970 invitarono nel loro Parlamento due italiani, Egidi e Jaboli, per farsi spiegare i dettagli della legge petrolifera italiana in mare. Prima di fondare, due anni dopo, la società petrolifera di Stato norvegese: la Statoil, proprio sul modello dell’italiana ENI.

Perché vivremo pure tempi cupi, ma il norvegese deve anche sapere che restiamo un popolo di pionieri e di leader, nonostante gli sforzi di una minoranza chiassosa e disinformata, e di una stampa faziosa e nemica degli interessi nazionali.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAmbienteAttualitàEnergia

20 Comments

  1. Massimo Lupicino

    Grazie a tutti per i commenti. Il referendum e’ stato almeno una bella occasione per confrontarci su dei temi importanti e, soprattutto, sulla banalizzazione di temi che dovrebbero essere trattati in altro modo. Giusto per rispondere ad alcuni dei temi sollevati, sono d’accordo col punto citato da Fabrizio. Si ritiene che le royalties siano basse? Si parli di questo, piuttosto che chiudere le piattaforme e buttare via il bambino con l’acqua sporca. In realta’, anche l’argomento fiscale e’ estremamente complesso, e gli Stati tipicamente hanno 3 leve per portare profitti dallo sfruttamento dei campi petroliferi: le tasse, le royalties e i production-sharing-agreement. Alcuni stati come la Norvegia hanno una fiscalita’ altissima ma non prevedono lo sharing della produzione. Altri fanno leva sulle royalties piu’ che sulle tasse etc. etc. Ma anche questo argomento e’ stato banalizzato, ovviamente, con la conclusione che “i norvegesi hanno le tasse piu’ alte”, che non significa che trattengano piu’ profitti delle oil companies rispetto ad altri stati… Tra l’altro nella invettiva contro i “Petrolieri” si dimentica che lo Stato italiano e’ “Petroliere”, essendo azionista di maggioranza di Eni. Quindi i profitti di Eni, attraverso i dividendi, finiscono comunque nelle casse dell’erario italiano. Quando non vere e proprie tassazioni straordinarie, come fu per la Robin Hood Tax, imposta mi pare nel 2008 sulle compagnie petrolifere operanti in italia e che frutto’ alcuni miliardi di euro di extra-introiti fiscali. La lezione principale di tutte queste discussioni, a mio parere, e’ che la realta’ e’ molto meno semplice di come viene rappresentata da certa politica (e annessa stampa) italiana.

  2. Francesco Marangi

    Standing ovation per Massimo Lupicino.

    p.s.: Caro Guidi, ho sempre immaginato a quante pressioni , dirette o indirette (“ambientali”, come quello militare, televisivo o mediatico), lei possa essere sottoposto. Tenga duro e faccia vivere e sopravvivere questo blog.

  3. Fabrizio Giudici

    [royalties] “ma sappiamo che esse prevedono una franchigia”

    Scusate, sarà che sono intossicato e stufo da quarantacinque anni di vita in Italia e del modo assurdo di affrontare le questioni, ma perché dobbiamo sempre affrontare i problemi in modo obliquo? C’è un problema con le royalties? Sono troppo basse, c’è la franchigia, eccetera? Bene: allora la discussione politica sia sull’entità e la modalità delle royalties, non sul rinnovo delle licenze, e si proponga una legge che ne modifichi il regime. Fine del discorso.

  4. Rinaldo Sorgenti

    Aggiungo il mio ringraziamento e plauso per questo importante articolo che riassume brillantemente le assurdità delle considerazioni dei catastrofisti che parlano di energia in maniera del tutto fuorviante ed ideologica.

    Invece di riflettere sull’incredibile debito aggregato con faraonici incentivi che i consumatori pagheranno per 20 anni nelle proprie bollette (peraltro tali incentivi gravano già per oltre il 20% del costo totale delle stesse!), c’è chi si illude che si possa andare a tutto Rinnovabili e rinunciare alle fonti fossili, quelle che ci hanno consentito di diventare un Paese avanzato .

    Ma la demagogia ci vuol far credere che è ora di ritornare indietro e provare la decrescita in.felice, perché il Paese può vivere di sovvenzioni pescando dal noto Pozzo di S.Patrizio!

  5. Giovanni

    Molto interessante l’articolo sono d’accordo ma non demonizzerei così tanto la decrescita, è un discorso che ha più sfaccettature, produrre meno e consumare meno non c’entra molto con questa storia delle piattaforme ma con un tipo di vita diverso da quello che abbiamo avuto per anni che mira alla crescita continua.
    Ho letto molti articoli a favore o contro questo referendum ma devo dire che è la prima volta che sento parlare di decrescita in questo contesto.

  6. enrico

    Buongiorno. Ma allora significa che tutti i proventi da idrocarburi delle Norvegia sono utilizzati dallo stato. E in Italia, avremmo o abbiamo sovvenzioni a alternativo e pensioni, oltre che posti di lavoro? Oppure i profitti sono tutti ai privati? Grazie.

  7. Donato

    Articolo superbo!
    Non voglio aggiungere nulla perché sarebbe superfluo. Solo un’amara riflessione ed un link.
    Secondo la Banca Mondiale l’obiettivo di ridurre a zero entro il 2030 il numero di persone che vivono in estrema povertà non sarà raggiungibile a causa della RIDUZIONE della crescita mondiale.
    http://www.tgcom24.mediaset.it/economia/banca-mondiale-700-milioni-di-persone-vivono-in-estrema-poverta-_3003370-201602a.shtml
    Questo a proposito della decrescita felice di cui si parla nel post.
    Ciao, Donato.

    • Giuseppe

      Se veramente pensi che la povertà non viene ridotta per mancanza della famosa crescita……allora sei molto ma molto ingenuo, oltrechè mal informato. Sveglia Donato, sveglia!!!!!!!!!!

    • Fabrizio Giudici

      Giuseppe, illuminaci.

    • Donato

      Veramente lo pensa la Banca Mondiale che credo abbia strumenti di analisi migliori dei miei e dei tuoi. Ho citato la mia fonte di informazione : potrei conoscere la tua, o chiedo troppo?
      Ciao, Donato.

  8. Fausto Cavalli

    Mi dispiace ma non concordo con quanto scrive Massimo e spiego il perchè: l’Italia non gode di grandi riserve di idrocarburi, quindi stiamo parlando, non tanto di una questione strategica ma solo marginale. Secondo alcune stime il potenziale di produzione consisterebbe in non più del 5% del fabbisogno, ma, se si considera che il prodotto estratto con tutta probabilità non andrebbe a lenire il fabbisogno energetico nazionale, di cosa stiamo parlando ? Chi estrae è un’azienda privata che vende dove vuole e i ricavi vanno ai soli azionisti, non agli italiani. Si certo ci sono le royalty, ma sappiamo che esse prevedono una franchigia, che, nel caso di assenze di vincoli temporali nell’estrazione, potrebbero indurre la compagnia petrolifera a rallentare l’estrazione a tutto suo vantaggio. Inoltre le royalty che chiede l’Italia, guarda caso (Guidi docet..), sono le più a buon mercato d’Europa, e anche questo fatto, permettetemi, che un tantino sospetto lo è, soprattutto alla luce degli intrallazzi già emersi per Tempa Rossa. Votando SI al referendum si (ri)otterrebbe un limite temporale alla concessione e l’obbligo conseguente di smantellamento delle strutture. Senza limite temporale è fino a mai troppo ovvio che il proprietario del pozzo farà finta di estrarre ancora un poco di gas o petrolio, pur di non smantellare nulla. Inoltre votando Si, a cuasa dello strigente limite temporale alla concessione, le compagnie petrolifere saranno obbligate a sfruttare il giacimento con maggiore “lena” e quindi saranno costrette, per i motivi detti sopra, a pagare le, sia pure, basse royalty allo Stato italiano. Si perchè i soldi vanno allo Stato centrale e non alle regioni o agli enti locali. Ecco spiegato il perchè ben 7 regioni sono insorte: con la normativa attuale (approvata di nascosto a notte fonda) non riceverebbero alcun vantaggio economico, ma solo il danno d’immagine, che elettoralmente parlando è un problema! Per quanto riguarda poi la questione occupazionale, anche in questo caso risulta una baggianata: si sostiene che se passasse il Si, si perderebbero 10.000 posti di lavoro, quando ovviamente tutto ciò è alquanto irrealistico. Succederebbe solo nel caso in cui tutte le trivelle smettessero di funzionare, cosa che il referendum non dice proprio. Tuttavia, anche nel caso in cui ciò dovesse accadere, ci creerebbero posti di lavoro per alcuni anni per il solo fatto di dovere smantellare tutte le strutture. In conclusione, le motivazioni a favore del SI non mi paiono tanto “stupide” come si è cercato di dimostrare in ben tre post. Tra l’altro, tale ostinazione mi risulta piuttosto curiosa e fuori luogo in un blog nel quale si parla autorevolmente di clima………!

    • Fausto, capita che quando si hanno idee le si proponga con ostinazione. Grazie del contributo.
      gg

    • Maurizio Todaro

      Sono completamente d’accordo con Fausto Cavalli. Le sue motivazioni addotte sono pienamente condivisibili.
      Anche in questo caso il governo ha fatto un favore a queste grosse società che si potranno permettere di gestire a loro piacimento lo sfruttamento dei giacimenti, rallentando ad arte l’estrazione, sia per pagare meno royalties, sia per non avvicinarsi troppo velocemente all’esaurimento dei giacimenti stessi ed evitare così gli altissimi costi di smantellamento e di bonifica.
      Che dire delle 38 piattaforme che risultano ancora attive, ma che in realtà sono completamente abbandonate e che dovrebbero essere smantellate? E’ giusto che le compagnie non si assumano l’onere di bonificare quei tratti di mare che hanno sfruttato fino a che ne hanno ricavato guadagno? Oppure vogliamo vederla come il presidente di nomisma energia Davide Tabarelli: ospite di una nota trasmissione televisiva, alla visione di immagini inequivocabili, riprese da alcuni sub sotto una piattaforma, di sversamenti di materiale di scarto direttamente in acqua, invece di venire immessi nuovamente nel fondale sottostante, come vorrebbe la normativa, giustificava il tutto dicendo che a largo non ci sono obblighi di rispettare i limiti riguardo l’ immissione di sostanze inquinanti…….non ho parole!!! Oltre una certa distanza quindi secondo questo signore sarebbe tutto concesso…..
      Invece Massimo Lupicino andrebbe in vacanza in una località con le piattaforme che sono parte integrante del paesaggio? E mangerebbe le cozze che i pro-triv raccolgono dai piloni delle stesse, per dimostrare che è tutto sotto controllo?

    • Fabrizio Giudici

      “Che dire delle 38 piattaforme che risultano ancora attive, ma che in realtà sono completamente abbandonate e che dovrebbero essere smantellate? ”
      C’è una disposizione di legge che obbliga le compagnie a farsi carico dello smantellamento a fine concessione?

      “E mangerebbe le cozze che i pro-triv raccolgono dai piloni delle stesse, per dimostrare che è tutto sotto controllo?”
      I prodotti alimentari sono controllati dalle autorità competenti. Lei intende dunque dire che in quel caso non ci sono controlli? O che sono fatti male? Da ligure, le dico che le cozze più famose della mia regione sono raccolte sulla diga foranea del porto di La Spezia, dove non ci sono certamente trivelle, ma tutto il traffico commerciale e militare che ci si può immaginare. Infatti, periodicamente, ci sono episodi problematici; tuttavia le autorità sanitarie monitorano in continuazione.

      Se poi i controlli non funzionano… mi spiega come fa un referendum su tutt’altro argomento a farli funzionare? Il suo è un altro esempio di ragionamento obliquo.

  9. Enrico

    Giuro che il finale mi ha fatto venire i brividi per quanto è vero.
    Uno dei migliori articoli letti sul referendum e il suo vero significato.

    Salvato in evernote, stampato e appeso

  10. Sergio

    Complimenti. Troppo bello, chiaro e, purtroppo, veritiero. Questo articolo, e anche i due che l’ hanno preceduto, dovrebbero essere letti in tutti i telegiornali d’Italia.

Rispondi a Donato Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »