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Al di là del cielo ci sono le nubi

Da un articolo apparso su Science Daily un paio di giorni fa:

Le temperature globali sono gradualmente aumentate nel periodo di misurazione strumentale a causa dell’accresciuta concentrazione di gas serra. Ma a questo riscaldamento si sovrappongono ampie oscillazioni  dovute alla variabilità interna al sistema, così come l’influenza delle eruzioni vulcaniche, l’inquinamento da aerosol e la variabilità solare. Laddove il riscaldamento dovuto alla CO2 tende ad essere relativamente uniforme, i trend delle temperature superficiali dovuti alla variabilità interna e all’inquinamento da aerosol sono altamente disomogenei, con trend opposti da una parte all’altra dell’oceano [Pacifico]. I trend calcolati nel breve periodo sono fortemente influenzati da fattori diversi dalla CO2 e possono essere degli indicatori fortemente ingannevoli circa cosa aspettarsi in condizioni di global warming forzato dalla CO2.

Ora, ci sarebbero un milione di cose da dire, specie in relazione all’assunto iniziale che, evidentemente, non tiene conto dell’esistenza di variazioni di lungo-medio periodo dovute alle dinamiche del sistema, come se il pianeta avesse avuto sempre la stessa temperatura fino a quando non sono iniziate le emissioni antropiche. Ma non è questo il punto, vediamo perché.

Quello appena riportato è un periodo tratto dal commento ad un paper pubblicato su Nature Geoscience che affronta un tema molto interessante e, almeno sin qui, spesso tenuto in scarsa considerazione nel nostro molto virtuale mondo CO2-dipendente, quello del feedback delle nubi.

Impact of decadal cloud variations on the Earth’s energy budget

Si torna a parlare di bilancio radiativo e, più specificatamente, del ruolo svolto dalla copertura nuvolosa nell’ambito dei meccanismi che, al variare della temperatura (in questo caso solo per aumento della concentrazione di CO2 ma lo abbiamo già detto), possono innescarsi accrescendo – feedback positivo – o diminuendo – feedback negativo – il riscaldamento.

E’ un argomento molto controverso perché le nubi possono avere la caratteristica di innescare feedback sia positivi che negativi, laddove le nubi basse e medie schermano la luce solare e limitano la quantità di calore assorbito dalla superficie, mentre quelle alte tendono a impedire che la radiazione emessa dal suolo sfugga verso l’alto, aumentando così l’effetto serra. Tutte insieme poi, alla loro sommità riflettono la radiazione incidente, complicando ancora di più le cose. Nel complesso, neanche a dirlo, il consenso scientifico sul riscaldamento globale attribuisce alle nubi un ruolo di feedback positivo, cioè, nel lungo periodo, la reazione delle nubi all’aumento delle temperature sarebbe comunque in termini di accrescimento del calore trattenuto.

Il problema svelato in questo paper (ma come sempre ben nascosto nello strano lessico del cambiamento climatico a tutti i costi) è che questo, nel passato recente, pare non sia avvenuto. Ossia, per ragioni che si attribuiscono alla diversa distribuzione spaziale del riscaldamento degli oceani, il feedback delle nubi in area tropicale pare sia stato essenzialmente negativo, spingendo quindi nella direzione opposta al global warming. Dal punto di vista fisico, la spiegazione sarebbe nella modifica del gradiente verticale della temperatura indotta dal riscaldamento della superficie, un gradiente più incline a far formare nubi basse con la capacità di schermare la radiazione solare e quindi di limitare la radiazione incidente. A testimoniare l’accaduto, un mix di simulazioni climatiche e osservazioni satellitari, le prime con il beneficio d’inventario, le seconde ovviamente oggettive.

Tuttavia, scrivono gli autori del paper, questa dinamica – che si classifica come di breve periodo solo perché è breve il periodo di osservazione – non modifica il trend di lungo periodo, che però non è supportato ovviamente da osservazioni ma sussiste solo nelle simulazioni, che sarebbe comunque positivo. Di conseguenza, la sensibilità climatica, ossia la reazione del sistema al forcing da CO2 sarebbe stata sin qui sottostimata e il pianeta si scalderà più di quanto non sia già previsto.

Quindi, quello cui si sta assistendo è un meccanismo che il sistema evidentemente possiede per mantenersi in equilibrio nonostante le variazioni delle forzanti, come ad esempio quello dell’accrescimento delle piogge per scaricare energia dopo un forte evento di El Niño o, sempre con riferimento alle nubi, come l’effetto iris descritto da Lindzen già parecchi anni fa. Però, tutti questi meccanismi pare nulla possano di fronte alla CO2, che nel sistema ci sta comoda, e di fronte alle simulazioni. Tutto questo nonostante la realtà – ripeto, di breve periodo perché breve è quello di cui disponiamo – continui a dire cose diverse.

Non ci resta che aspettare…forse un giorno si scoprirà che prevedere è difficile, soprattutto il futuro!

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Published inAttualità

11 Comments

  1. Teo

    Prima di andare in pensione tirerò fuori dai cassetti tutti gli articoli che mi sono stati bocciati in questi anni, proprio su questi argomenti, e li sottometterò di nuovo per vedere il mio H index schizzare alle stelle il giorno ch porterò a spasso il cane. Luigi prima di farlo però ti chiamo così ci mettiamo d’accordo su chi li invia di nuovo.

    • Luigi Mariani

      Teo, vai avanti tu che a me scappa da ridere. Luigi
      ps: vecchia battuta che il primo ladro entrato nel pollaio fa al secondo coprendosi la bocca con la mano subito dopo aver preso una legnata sui denti…

  2. alex

    Ma le 400ppm di CO2 come viene rilevata a livello mondiale? A che altezza dal suolo?
    Ieri per lavoro ho fatto un controllo di co2 in una cittá tedesca con due fabbriche automobilistiche, quindi abbastanza inquinata da traffico e produzione, e ho rilevato un quantità di co2 di circa 340 ppm.

    • Luigi Mariani

      Alex, le normative internazionali fissate negli anni ’50 prescrivono che i livelli atmosferici di CO2 siano rilevati al di sopra dello strato limite planetario – PBL (e dunque oltre i primi 1000 – 1500 m di quota). In pratica per ottenere ciò si adottano osservatori di alta quota come monte Cimone e Plateau Rosa in italia o Mauna Loa negli Usa alle Hawaii.
      La scelta di porsi al di fuori del PBL è dettata dalla necessità di evitare gli effetti a microscala (es. emissioni locali da industrie o traffico veicolare, vento che apporta masse d’aria più povere o più ricche di CO2). Al riguardo pensi che una massa d’aria che sta sopra a vegetazione in attiva crescita si impoverisce sensibilmente di CO2 durante il giorno mentre si arricchisce di notte quando la fotosintesi non avviene e le piante e il suolo emettono CO2.
      Se le ineressa approfondire può guardare i diagrammi presenti nell’articolo “Atmospheric CO2 in the coastal marine boundary layer: observations and implications” di vandemark et al. e che trova qui: http://ccg.sr.unh.edu/pdf/Vandemark_etal_AtmCo2_2007_unpublished.pdf. Quel che emerge in particolare dalla figura 2 è l’enorme variabilità che si registra in una stazione dell’entroterra e in una offshore (e proprio per evitare tali effetti si opera ad alta quota).
      Immagino infine che la sua misura nella città tedesca sia stata influenzata da effetti del tipo di quelli sopra descritti.

    • alex

      Faccio una premessa, non sono un folle che con strumentazione alla mano va a misurare la quantità di co2 in giro per l’Europa, stavo sperimentando per formazione un nuovo climatizzatore (settore automotive) a co2 che prevede all’interno della vettura (per ovvi motivi) un sensore di co2 che possa rilevare eventuali perdite.

      Immaginavo un controllo ad alta quota, ed è per questo che pensavo di trovare a livello del terreno in una zona fortemente industrializzata una quantità maggiore di co2

    • Luigi Mariani

      In effetti vi sono anche i metodi da remote sensing satellitare anche se dati da remoto hanno fino ad ora un ruolo secondario rispetto ai dati di misura. Più in dettaglio c’è un satellite Nasa (l’OCO2 che sta per
      Orbiting Carbon Observatory 2
      http://www.nasa.gov/mission_pages/oco2/index.html ) che da un paio d’anni produce mappe globali sui livelli atmosferici di CO2; anche in questo caso peraltro i massimi non sempre coincidono con le aree industriali evidenziandosi ad esempio grossissime sorgenti nelle foreste pluviali equatoriali.

  3. “…spesso tenuto in scarsa considerazione nel nostro molto virtuale mondo CO2-dipendente, quello del feedback delle nubi..”
    Complimenti prima di tutto per il suo lavoro di informazione. Ho letto con grande interesse l’articolo. Giusto una nota in tema nubi-aerosol- global warming. Un aspetto che trovo trascurato in generale è il ruolo di un ingombrante presenza che incide sul clima. Si tratta di un aspetto rilevante ma escluso dai protocolli internazionali ( da Kyoto a Parigi ). Si potrebbe parlare di un COLPEVOLE NASCOSTO, ma ben in vista! http://www.nogeoingegneria.com/tecnologie/areosol/lo-dice-la-noaa-le-scie-degli-aerei-sono-geoingegneria/ Qui un articolo del 2004 http://www.worldclimatereport.com/index.php/2004/04/19/leaving-a-trail/

  4. Filippo Turturici

    Prevedere il futuro è facilissimo invece. Repubblica oggi ci mostra come cambieranno le coste italiane con +2°C e +4°C di anomalia globale, e ricordandoci che il +1°C lo abbiamo già superato. Dimenticandosi solo di poche quisquilie, tipo:
    – non viene indicato in quanto tempo l’aumento termico dovrebbe eventualmente verificarsi;
    – non viene indicato che il livello del mare aumenterebbe comunque di pochi mm l’anno, per cui per raggiungere il metro ce ne vorrebbe di tempo;
    – non viene indicato che il +1°C di anomalia ci abbiamo messo (forse) 120 anni a raggiungerlo;
    – non viene indicato che tale +1°C è superato da misurazioni dubbie, mal campionate, pesantemente ritrattate e continuamente ricorrette a terra, mentre i dati satellitari vedono un riscaldamento più moderato;
    – non viene indicato che le previsioni (anzi profezie) di sventura sono fin qui state largamente esagerate, con pochissimi eventi realmente verificatisi, e tantissimi rimasti invece sulla carta (alcuni dei quali fisicamente impossibili);
    – non viene indicato che si parla di un ipotetico e lontano futuro, e non di dati certi e verificati.
    Ops, temo di aver appena sostenuto anche io che il futuro sia difficile da prevedere. E che a volte pure il presente non sia poi così chiaro…

    • Massimo Lupicino

      A repubblica, nella foga di “ispirarsi” agli articoli del New York Times e simili, si sono convinti che per le elezioni USA si votera’ anche in Italia. Un po’ come il pulcino che nascendo si ritrova accanto un gatto e si convince di essere un gatto anche lui. E quindi, credendosi gatti anche loro, ci propinano articoli immondizia di propaganda climatica. La scelta se leggere tale immondizia o meno, come al solito, spetta ai lettori superstiti, di stomaco forte.

    • Filippo Turturici

      E visto il probabile risultato, penseranno pure di aver davvero contribuito alla vittoria della sig.ra Rodham in Clinton…

  5. Luca Maggiolini

    “forse un giorno si scoprirà che prevedere è difficile, soprattutto il futuro!”

    Soprattutto usando strumenti che non prevedono nemmeno il passato!

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