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Le piogge dell’Australia meridionale sono aumentate negli ultimi 116 anni?

Riassunto: Le piogge annuali del Sud Australia dal 1900 al 2015 sono aumentate al tasso di circa (3±2)mm/decade ma l’analisi dei dati mostra che il periodo è costituito da due semi periodi, prima e dopo il 1960, in ognuno dei quali la precipitazione diminuisce nel tempo. Anche l’analisi spettrale mostra che i due periodi hanno una struttura diversa. Nello spettro complessivo si osservano alcuni massimi caratteristici di El Niño.

La risposta è senz’altro “sì”. È sufficiente scaricare dal sito del BOM (Bureau Of Meteorology) australiano il file con le precipitazioni annuali dal 1900 al 2015 per verificare che la pendenza della retta dei minimi quadrati vale (2.98±1.80)mm/decade, ovvero (3±2) mm/decade, e che, quindi, rispetto al 1900, la pioggia annuale è aumentata in media di 34.5 mm (poco più del 15%).

La fig.1 (pdf) mostra (A) l’andamento della precipitazione e quattro fit lineari di parti diverse del dataset. I quadri B e C sono lo spettro MEM del dataset completo e il suo ingrandimento della prima parte, rispettivamente.

Fig.1: A) precipitazioni annuali e fit lineare (linea rossa); separazione del dataset in due parti, di cui la seconda è a sua volta in due versioni: dal 1960 (linea blu) e dal 1966 (linea verde chiaro). I valori numerici della pendenza e le medie dei diversi sottoinsiemi sono riportate in alto a sinistra. B) e C): spettro MEM e suo ingrandimento.
Fig.1: A) precipitazioni annuali e fit lineare (linea rossa); separazione del dataset in due parti, di cui la seconda è a sua volta in due versioni: dal 1960 (linea blu) e dal 1966 (linea verde chiaro). I valori numerici della pendenza e le medie dei diversi sottoinsiemi sono riportate in alto a sinistra. B) e C): spettro MEM e suo ingrandimento.

Considerando il quadro A di fig.1 con maggiore attenzione, si nota una diminuzione delle piogge annuali dal 1959 al 1965 circa e, almeno ad occhio, una media del periodo pre-1959 diversa (inferiore) a quella del periodo post-1959; l’impressione è confermata da un test di Student sulle medie, per il quale l’ipotesi nullasull’uguaglianza dei valori di aspettazione delle popolazioni da cui sono estratti i campioni pre- e post-1959, cioè Ho:μ1-μ2=0, con μ1 e μ2 valori di aspettazione, viene respinta con probabilità maggiore del 93%. Nella tabella 1 viene riportato il risultato del test , insieme al test applicato ad un sottoinsieme meno esteso che inizia dal 1966 anzichè dal 1960.

Tab.1: Test statistico di confronto tra la media del primo periodo (1900-1959) e le medie dei due periodi (1960-2015) e (1966-2015).
N1 M1 S1 N2 M2 S2 Period
56 226.1 75.03 60 203.4 53.39 60-15/00-59
t= 1.887 GdL= 114 Ho:x=y=6.17e-2 H1:x≠y=0.938
50 233.5 75.03 60 203.4 53.39 66-15/00-59
t= 2.445 GdL= 108 Ho:x=y=1.61e-2 H1:x≠y=0.984

Il test mostra che tra il 1959 e il 1965 si è avuto uno shift pluviometrico significativo, sottolineato anche dalla pendenza negativa della parte 1900-1959 (linea verde scuro in fig.1A). La parte 1960-2015, al contrario, mostra una pendenza positiva (linea blu) di poco superiore a quella del dataset completo (linea rossa); questa seconda parte inizia dal “buco” 1959-65 che ha l’effetto di abbassare il fit nella parte iniziale e di alzarlo nella parte finale.
Con l’intento di “uscire dal buco”, ma senza dubbio in modo arbitrario (alias cherry picking), ho scelto i dati dal 1966 al 2015 come altro sottoinsieme su cui calcolare la pendenza (limnea verde chiaro) che adesso è anch’essa negativa e paragonabile a quella della prima parte. Il test statistico su questo tratto (1966-2015) è riportato in tab.1.

Per confermare i risultati del test e per verificare se esiste un’effettiva diversità di struttura tra le due parti del dataset, ho calcolato gli spettri MEM di 1900-59 e di 1960-15 e li ho confrontati con lo spettro del dataset completo 1900-2015.

In fig.2 A,B (pdf) sono mostrati, insieme a quello del dataset completo, gli spettri delle parti 1900-59 in rosso e 1960-15 in blu. Il massimo di 77 anni non è presente nelle due metà perché entrambe hanno estensione inferiore (60 e 56 anni rispettivamente). Dalla fig.2 si vede che spesso i due spettri sono in opposizione di fase (ad esempio i massimi a 8.9, 5.3, 6 anni); altre volte c’è solo uno sfasamento (11.6 anni) e altre ancora un accordo di fase (2.66, 3.8, 4.2 anni).

Fig.2: A)Spettri MEM delle due parti del dataset: 1900-59 (rosso) e 1960-15 (blu) confrontati con lo spettro di tutti i dati (nero) per il quale sono indicati i periodi dei massimi, in anni. B) ingrandimento della parte iniziale di A).
Fig.2: A)Spettri MEM delle due parti del dataset: 1900-59 (rosso) e 1960-15 (blu) confrontati con lo spettro di tutti i dati (nero) per il quale sono indicati i periodi dei massimi, in anni. B) ingrandimento della parte iniziale di A).

Quest’ultimo spettro (anche in fig.1 B e C) mostra alcuni massimi che sono presenti negli spettri delle regioni El Niño (per un confronto vedere www.climatemonitor.it/?p=42356 figure da 3 a 6) sia per i dati settimanali che mensili.

Conclusioni

A mio parere, dalla fig.2 emergono due impressioni generali:

  1. alcuni massimi dello spettro completosembrano dovuti all’uno o all’altro semispettro, cioè che alcuni aspetti della struttura della pioggia siano cambiati tra prima e dopo 1l 1959. Altre caratteristiche strutturali sembrano invece essere rimaste costanti atttraverso i 116 anni disponibili. In un paio di casi (11.6 e 4.7 anni) i massimi sembrano il risultato di una combinazione tra i picchi delle due metà che si presentanio sfasati.
  2. Nel complesso, la struttura dei due semispettri appare sufficientemente diversa da far pensare ad un cambiamento significativo.
    Probabilmente non ci sono abbastanza elementi per affermare con certezza che le piogge dell’Australia meridionale sono state in costante diminuzione (in media) dal 1900 -diminuzione momentaneamente interrotta da uno shift, un salto- ma, certo, qualcosa di importante è successo tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60.

 

Tutti i grafici e i dati, iniziali e derivati, relativi a questo post si trovano nel sito di supporto qui
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Published inAttualitàClimatologia

3 Comments

  1. Luigi Mariani

    Caro Franco,
    lavoro molto interessante anche perchè riferito a un’area del pianeta posta nell’emisfero sud, su cui è per noi inusuale lavorare e che ha la peculiarità di essere più “tamponato” rispetto a quello nord in virtù della preponderanza delle superfici oceaniche.
    Anch’io vedo che qualcosa succede negli anni 60 con quella che in statistica si chiama “analisi visuale” e che ha sempre la sua importanza.
    In ogni caso per confortare la stima “ad occhio” ho provato ad applicare il test di Bai e Perron della libreria Strucchange di R per l’individuazione di breakpoints (che in climatologia chiamiamo “cambiamenti bruschi o abrupti”) imponendo un livello di confidenza del 95%.
    Il risultato lo riporto qui sotto:
    Breakpoints at observation number:
    2.5 % breakpoints 97.5 %
    1 28 73 93
    Corresponding to breakdates:
    2.5 % breakpoints 97.5 %
    1927 1972 1992
    A seguito del breakpoint la media passa da 200 mm/anno (media 1900-1972) a 238 (media 1973-2015).
    In sostanza con un livello di confidenza del 95% il test ci indica che si è registrato un breakpoint nell’intervallo compreso fra 1927 e 1992 e che il 1972 è l’anno più probabile del breakpoint stesso.
    Il fatto che l’intervallo sia così ampio è sintomo di una considerevole incertezza nell’anno di breakpoint, il che è a mio avviso conseguenza dell’estrema variabilità interannuale che caratterizza le precipitazioni.
    Ciao.
    Luigi

    PS: per email ti giro l’output grafico che illustra il risultato del test

    • Caro Luigi, grazie per aver voluto approfondire i risultati del post con un metodo accurato per la ricerca dei break-points (BP) e grazie anche per il grafico che illustra i risultati.
      Ho anche io un sistema di individuazione dei BP (v. ad esempio http://www.climatemonitor.it/?p=34927), certo meno immediato da leggere rispetto all’output di R ma funzionante abbastanza bene. Il motivo per cui
      non l’ho usato è proprio l’estrema variabilità che tu citi: il BP degli anni attorno al 1925-30 mi è sembrato abbastanza bilanciato, dai dati prima e dopo, da non spostare molto la media del periodo di 60 anni e per questo non l’ho considerato; quello del 1973 è troppo breve per influire molto sulla media dei periodi di 56 e 50 anni (i due periodi che ho scelto come seconda parte
      del dataset) ma abbastanza “alto” da modificare pesantemente il fit lineare (la pendenza) delle due seconde metà -e non posso usare un fit pesato perché
      non conosco gli errori di misura, non forniti dal BOM.
      Non me la sono sentita di usare (e di giustificare) una pendenza dominata dal picco del ’73.
      In definitiva, il BP del ’73 sembra più un outlier (anche se non lo è) che un vero BP. Il salto degli anni ’60 è invece un momento di “rottura” tra due stati simili, come confermano il test di Student e le pendenze prima-e-dopo,
      simili anche se entrambe con incertezze elevate.
      Ciao. Franco

  2. virgilio

    Continuo a pensare che il clima sia soggetto a troppe variabili per poter semplificare il suo andamento con proiezioni che vanno di qua a mezzo secolo! Ma continuo a chiedermi perché mai pur se dovesse manifestarsi un cambiamento con aumento di temperatura esso dovrebbe considerarsi una iattura per l’Umanità! E’ forse dimostrato che quando la Terra fu più fredda e i mari più ristretti o più ghiacciati la civiltà umana ne abbia beneficiato? Maggior pioggia perché dovrebbe significare qualcosa di negativo? La pioggia di solito è acqua potabile, piuttosto si costruiscano mezzi per raccoglierla e distribuirla. Certo alluvioni creano problemi ma comunque qualcuno trovò rimedio anche per salvarsi dal Diluvio Universale! Sarà pur vero che il progresso tecnico produca qualche effetto collaterale negativo, un costo c’è sempre, pasti gratis è difficile ottenerli, ma penso sia sempre meglio un pasto con qualche costo e rischio che il digiuno totale. E tutti questi allarmi AGW a lungo andare, coi blocchi della produttività umana, rischiano di far restare a digiuno gran parte della popolazione del Globo…che fra l’altro continua ad accrescersi.

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