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Una novità inattesa: I modellisti del clima aprono le loro scatole nere

Un modello è per definizione qualcosa che ha lo scopo di riprodurre le dinamiche di un sistema. Al giorno d’oggi, non esiste ambito che non sia stato sottoposto a simulazioni modellistiche e i risultati, si sa, non sono sempre incoraggianti. Si usano modelli in campo economico e finanziario, in campo demografico, ingegneristico etc. Più complesso è il problema, più numerose sono le variabili di cui è necessario tener conto, più difficile sarà mettere a punto dei modelli affidabili. Più bassa è la conoscenza sulle variabili, più alta sarà la probabilità che il modello non sia capace di fare il suo lavoro, o, quantomeno, più alta sarà l’incertezza che accompagna i risultati.

I modelli climatici, naturalmente, non fanno eccezione. Ma, per ragioni non note, sussiste una conclamata attitudine da parte della comunità dei modellisti climatici a non fare troppa pubblicità sull’incertezza che accompagna i risultati, che vengono comunque utilizzati pesantemente ai fini di policy. Nel prossimo futuro, forse, la situazione cambierà. Vediamo perché.

E’ uscito su Science un articolo di Paul Voosen, di cui ho avuto notizia dal blog di Judith Curry (a seguire, titolo e abstract):

Climate scientists open up their black boxes to scrutiny

I modellisti climatici traggono il massimo possibile applicando le leggi della fisica a immaginarie scatole di decine di chilometro di lato. Ma alcuni processi, come la formazione delle nubi, sono troppo dettagliati per queste applicazioni, così i modellisti utilizzano la “parametrizzazione”: equazioni con le quali approssimare le loro dinamiche. Per anni gli scienziati climatici hanno regolato [tuning] le loro parametrizzazioni per far sì che i modelli nel loro insieme riproducessero le serie climatiche. Ma temendo le critiche degli scettici, sono stati piuttosto silenti circa come regolano i loro modelli e quanto. Tutto questo sta cambiando. Scrivendo delle strategie di regolazione e rendendole pubblicamente disponibili per la prima volta, questi gruppi sperano di imparare a rendere le loro previsioni più affidabili e più trasparenti.

In pratica e in poche parole, quello che chiediamo da sempre, come ad esempio dire chiaramente che le serie storiche utilizzate per fare il tuning ai modelli non possono essere le stesse con le quali vengono poi validati e tanto meno possono essere quelle si cui poi si fanno gli studi di attribuzione.

Quali le conseguenze di questa pratica un po’ omertosa, si chiede Judith Curry:

  • Non sono state sviluppate migliori tecniche di tuning
  • Gli scienziati impegnati negli assessment report non avevano idea delle incertezze che circondano le conclusioni che traevano dai modelli climatici
  • Gli scienziati che definivano gli impatti e i decisori che ne tenevano conto non avevano idea delle incertezze dei modelli climatici e quindi nelle loro conclusioni e nelle implicazioni per le loro policy.

Non una cosa da poco, se si pensa che , non ultimo l’accordo di Parigi, tutte le policy climatiche sono basate su output riguardanti l’aumento della temperatura globale che spaziano da valori che più che un problema per il pianeta sarebbero un gran beneficio, ad altri che potrebbero realmente implicare una catastrofe, senza che nessuna delle opzioni (e ancor meno quelle tra esse comprese) abbia maggiori probabilità delle altre di essere vere. Anzi, le policy nella maggior parte dei casi poggiano sulle ipotesi più peggiorative, quelle sì, altamente improbabili.

Una domanda, che si pone sempre Judith Curry e che non è possibile non condividere: “mi chiedo se questi stessi modellisti climatici hanno idea della lattina di vermi che stanno aprendo… dopo aver appreso del lavoro fatto per nascondere le incertezze, per non menzionare le incertezze strutturali dei modelli, come è possibile difendere gli elevati livelli di confidenza circa l’attribuzione del riscaldamento del ventesimo secolo, gli elevati valori di sensibilità climatica e le allarmanti proiezioni di riscaldamento?”

Già, come è possibile???

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Published inAttualità

2 Comments

  1. agrimensore g

    Mi pare sia proprio questo il punto. Prendiamo la parte più critica, il tuning sulla formazioni delle nubi. In effetti, per quel che ho visto quando me ne sono interessato, i modelli implementano quanto riscontrato in alcuni lavori scientifici (uno dei contributi maggiori proveniva da parte di uno scienziato che si chiamava Del Genio…). In questi lavori veniva calcolata una pdf basata su alcuni parametri a fronte dello studio di un certo periodo temporale, includendo la parte adoperata per validare la pdf. E’ chiaro che il modello poi è avvantaggiato nel fittare lo stesso periodo. Il problema, secondo me, è se questa pdf sia valida comunque o se ad esempio possa non funzionare più al variare di altri parametri che nel periodo preso in considerazione sono stati poco variabili. Per la verifica, potrebbe essere sufficiente verificare quanto i modelli hanno simulato sulla copertura nuvolosa e confrontarli con la realtà? Esistono dati ragionevolmente certi sulla copertura nuvolosa degli ultimi 10/20 anni?

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