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Il convitato di pietra di Marrakech

Stando alle versioni dei partecipanti alla COP 22, sembra che tutto proceda bene e secondo i programmi, ma le cose non stanno così. Il 13 novembre è stato pubblicato un interessante articolo su “The Guardian” in cui si tasta il polso dei delegati al lavoro a Marrakech (secondo i più maligni in vacanza a Marrakech a spese dei contribuenti).

Secondo The Guardian tutti i delegati, indistintamente, predicano bene, ma razzolano male: sono sotto shock, paralizzati dall’imprevista vittoria di D. Trump alle elezioni presidenziali USA. E non poteva essere altrimenti vista la linea di pensiero cui fa capo il presidente eletto. D. Trump è uno scettico circa l’origine antropica del cambiamento climatico in corso e lo ha sostenuto a chiare lettere prima, durante e dopo le elezioni. Egli ha sempre detto che si ritirerà dal Trattato di Parigi e lo sostiene anche oggi. Gli attivisti ambientalisti USA e del mondo intero non credono che ciò possa accadere in quanto, se dovesse succedere, l’azione sarebbe soggetta alla riprovazione mondiale e trasformerebbe gli USA in uno “stato canaglia” che non mantiene fede agli impegni internazionali. Negli USA esistono due scuole di pensiero: una sostiene che il trattato è ormai, ratificato; l’altra è del parere che il  Trattato non è ancora ratificato, in quanto non è passato attraverso il Congresso per cui non siamo neanche sicuri che gli Stati Uniti abbiano ratificato il Trattato di Parigi. Tralasciando le questioni di diritto, consideriamo il Trattato ratificato e quindi poniamoci nell’ipotesi peggiore per Trump.

Chi potrà impedire agli USA di non rispettarlo? La Comunità internazionale non ha alcuno strumento coercitivo per imporre il rispetto del Trattato agli USA, per il semplice fatto che gli impegni sanciti dal Trattato sono di natura prettamente volontaria e non è prevista alcuna sanzione, se non morale, in caso di inadempienza: è il vulnus principale dell’accordo di Parigi, ma gli ambientalisti non vogliono capirlo e si ostinano a ragionare come se l’accordo fosse vincolante per coloro che lo hanno ratificato. Detto in parole povere nessuno potrà obbligare gli USA a versare i fondi compensativi per i Paesi in via di sviluppo o a limitare le emissioni di diossido di carbonio.

I rappresentanti dei Paesi in via di sviluppo sono i più allarmati in quanto gli Usa dovrebbero essere uno dei maggiori contributori del fondo di 100 miliardi di dollari all’anno previsto nell’accordo. Trump ha detto che gli USA non verseranno la loro quota e, se ciò succedesse veramente, determinerebbe un effetto domino che paralizzerebbe l’intero processo di attuazione dell’accordo di Parigi.  Il mancato trasferimento finanziario dal nord al sud del mondo, renderebbe necessario che i Paesi in via di sviluppo attingano alle riserve di combustibili fossili per evitare di piombare nella miseria più nera e questo renderebbe impossibile mantenere gli impegni volontari da essi assunti.

Questa situazione ha un’elevata probabilità di verificarsi e non comporterebbe alcuna conseguenza pratica sugli Stati Uniti. A Marrakech alcuni si augurano che la società civile si mobiliti per imporre all’Amministrazione Trump il rispetto degli accordi di Parigi, che le organizzazioni ambientaliste costringano il governo a mantenere gli impegni a suon di ricorsi in tribunale,.  Altri contano sulle imprese. Secondo costoro il mondo ormai ha varcato il Rubicone ed ha imboccato una strada senza ritorno: quella dell’economia verde o eco-sostenibile che prevede l’uscita dal fossile entro qualche decennio. Gli USA non possono restare fuori dal business o, per essere più precisi, non possono restarne fuori le imprese statunitensi. Saranno queste imprese a costringere Trump a mantenere i suoi impegni.

Esiste, infine, una terza categoria di delegati: coloro che contano su Paesi come la Cina che ha ratificato l’accordo di Parigi contemporaneamente agli Stati Uniti. Qualora gli USA dovessero venir meno agli impegni presi, la Cina attuerebbe una serie di ritorsioni che colpirebbero al cuore l’economia statunitense.

In poche parole Donald Trump è il convitato di pietra della COP 22. I delegati per esorcizzarne la presenza, fanno finta che non ci sia, ma il timore, anzi la paura, che venti anni di negoziati stiano per andare in fumo, aleggia nell’aria come un gas paralizzante ed influenza in modo pesante ritmi e tempi della Conferenza delle Parti. Il 14 ed il 15 novembre cominceranno ad arrivare a Marrakech le delegazioni di alto livello dei vari Paesi che hanno ratificato il Trattato e si comincerà a capire che aria tira. La delegazione statunitense come si comporterà? Farà finta di niente e confermerà o aumenterà gli impegni degli USA? Oppure prenderà tempo rinviando tutto al prossimo anno visto che si sapeva sin da subito che a Marrachech non si sarebbe cavato un ragno dal buco? Io credo che prevarrà la seconda ipotesi, in quanto un’azione che forzasse la mano alla nuova Amministrazione USA mettendola di fronte al fatto compiuto, non farebbe altro che impedire sin da ora ogni possibile futuro compromesso.

Il problema del clima è però marginale per le Nazioni Unite in quanto D. Trump ha più volte manifestato la volontà di disimpegnarsi dallo scacchiere internazionale, ponendo gli interessi USA dinanzi a quelli di tutti gli altri. L’era di Trump probabilmente segnerà l’inizio di una fase isolazionista che non rappresenterebbe una novità nella storia della potenza nord-americana e ciò sarebbe un colpo gravissimo al multilateralismo dell’ONU ed al ruolo che esso ricopre nel mondo. Come scrive il Guardian: “The UN, privately rattled but publicly calm in Marrakech, fervently hopes that the reality of power, diplomatic pressure and business self-interest will keep Trump in the fold”.

Ho la netta impressione che il vento sia profondamente cambiato e che a Marrakech stiano cominciando a sentire puzza di bruciato. La vulgata comune è che un uomo solo non potrà fermare il processo ormai avviato, ma siamo proprio convinti che Trump sia solo? La sua imprevista, inaspettata, inopportuna vittoria alle elezioni, ha dimostrato che nessuno aveva capito veramente cosa passava per la testa della maggioranza degli americani, ma non sembra che la lezione sia stata capita: si continua a parlare di un solo uomo, dimenticando che egli rappresenta la maggioranza del popolo statunitense, ci si illude che la sua elezione sia un accidente della storia e si pensa che le pressioni di una minoranza, seppur agguerrita, possano fargli cambiare opinione. Mi meraviglio apprendendo dai media che decine di migliaia di persone protestano contro l’elezione di Trump. Saranno certamente migliaia, decine di migliaia, forse centomila o duecentomila, ma il resto dei cittadini USA che se ne sta a casa, come la pensa? Se non ricordo male alcune indagini demoscopiche (per quel che possono valere i sondaggi) avevano posto il problema del cambiamento climatico agli ultimi posti nella scala delle priorità dei cittadini statunitensi. Si profilano tempi interessanti all’orizzonte.

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Published inAttualitàCOP22 - Marrakech

Un commento

  1. Massimo Lupicino

    – Don Giovanni! A cenar teco… mi invitasti, e son venuto…
    – Non l’avrei giammai creduto…ma faro’ quel che potro’… Leporello, altra cena, fa che subito si porti!
    – Ah padron, ah padron… Ah padron siam tutti morti!
    Siam tutti morti, appunto. Potrebbe essere il manifesto della conferenza.
    PS: grazie Donato per il tuo sforzo e i tuoi report sempre interessanti e professionali.

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