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Un clima da bufale

In questi giorni si fa un gran parlare di bufale, ossia di quelle notizie palesemente false o inventate cui viene cucito addosso un abito che le renda presentabili per farle assurgere al rango di verità. Non che ci sia bisogno di grandi opere di maquillage a dire il vero, dato che l’approccio ormai molto superficiale di chi fa e di chi subisce l’informazione facilita decisamente il lavoro.

Questa ondata di indignazione verso il bufalismo, è probabilmente un tentativo di recupero di attendibilità dell’informazione più generalista dopo le clamorose debacle cui abbiamo assistito con la brexit e con l’elezione di Donald Trump negli USA, fatti avvenuti in apparenza senza che nessuno sia stato capace di accorgersene prima.

Ci sono siti e media specializzati nella somministrazione di bufale, ed è su questi che ora si sta puntando il dito. Nessuno però punta il dito sulle cosiddette “bufale ufficiali”, su quelle notizie cioè che sono sempre false, parimenti palesemente non verificate, ma che comunque, essendo afferite a settori d’informazione i cui ambiti sono stati ampiamente sdoganati, vengono recepite e prontamente redistribuite come vere.

Molta parte dell’informazione sul clima e i suoi dintorni appartiene appunto a questa categoria.

Per la verità, mi ero ripromesso di non affrontare l’argomento che seguirà a breve, perché appartiene alla solita noiosissima retorica catastrofista senza senso, che nonostante sia riproposta con grande entusiasmo da molti media generalisti e un po’e cialtroni, personalmente suscita in me e, credo anche nei nostri lettori, soltanto grandissimi sbadigli.

Però la faccenda merita. Vediamo perché.

Leggo dall’Osservatore Romano il più classico dei moniti catastrofisti: l’Apocalisse Climatica. Data la fonte, viene da pensare che da quelle parti di apocalissi se ne intendano, però sorge anche il dubbio che, in assenza di segnali tangibili di apocalisse biblica, se ne debba cercare di altro genere per mantenere alta l’attenzione dei lettori.

Così si passa alle previsioni di migrazioni di massa (appunto bibliche in senso letterario) che nel prossimo futuro – sempre però opportunamente lontano e non verificabile – saranno causate dal disfacimento del clima. Siccità piuttosto che inondazioni, caldo insopportabile piuttosto che ondate di gelo etc etc. Tra tutte le tragedie prossime venture, la più gettonata delle catastrofi climatiche in termini di necessità di abbandono del suolo natio, è senz’altro quella dell’aumento del livello dei mari. Intere nazioni insulari del continente marittimo, ad esempio, sarebbero destinate a scomparire a breve causa sommersione. La preoccupazione al riguardo è tale che su alcune di esse, denotando una discreta dose di dissonanza cognitiva, la World Bank sta finanziando la costruzione di aeroporti per incentivare l’industria turistica, a dimostrazione di quanto il problema sia reale ed imminente.

Però, però, non si possono ignorare gli appelli che autorevoli organizzazioni umanitarie come l’IOM, l’UNHCR et similia continuano a fare alimentando le accorate cronache tipo quella appena pubblicata dall’Osservatore Romano. Quello che i più non sanno, tuttavia, è che quegli appelli non sono proprietari, ma si basano tutti sugli stessi dati, ovvero sui dati inattendibili, inverificabili e, per molti aspetti risibili degli scenari climatici, che tutti conoscono e danno per scontati, ma che da quando esistono non ne hanno azzeccata una. Tanto per capirci, secondo lo scenario di emissioni più peggiorativo, che poi è quello che stiamo vivendo, la temperatura media del pianeta sarebbe dovuta crescere a velocità doppia di quanto sta accadendo. Il rateo attuale di riscaldamento del pianeta, invece, è inferiore a quello che dovremmo attenderci se le emissioni fossero completamente abbattute, ovvero se fosse implementato lo scenario più virtuoso. Possibile che a nessuno venga in mente che c’è qualcosa che non torna?

Torniamo ora ai rifugiati climatici. L’altro giorno, Willis Eschenbach su Wattsupwithat ha ripreso la “notizia” uscita a latere della COP21 di Parigi, del piano di ricollocazione di un’intera comunità di indiani nativi americani che vive nel nord ovest degli USA. Il loro insediamento principale, essendo pericolosamente prossimo alla costa, sarebbe minacciato dall’innalzamento del livello del mare. Così, assurti ad esempio perfetto (ennesimo) di primi rifugiati climatici della storia moderna, si sarebbero attrezzati con un piano di evacuazione che si spera che i generosi flussi di denaro riparatore negoziati a Parigi (e ignorati a Marrakech) possano finanziare.

La città è in effetti in riva al mare, così, tanto per dare un’occhiata, Eschenbach ha recuperato i dati del mareografo più vicino all’insediamento per scoprire che … … il mare da quelle parti sta scendendo, non salendo. E perché allora dovrebbero volersene andare? Semplice, perché quella zona è ad elevatissimo rischio sismico a causa di una faglia posizionata in mare che storicamente ha dato luogo a movimenti tellurici che hanno causato dei violentissimi tsunami. Purtroppo, pare che per il prossimo evento sia un problema di “quando”, non di “se”. Quindi l’abbandono della città, sarebbe necessario a causa di qualcosa che non ha nulla a che vedere con il clima. La bufala climatica, però ci sta sempre bene.

Altra domanda. Ma se la zona è storicamente a rischio, perché ci hanno costruito una città? Perché benché dotati di lunga memoria storica come tutte le popolazioni indigene, è stata assegnata loro una “riserva” sul mare più comodamente fruibile di quanto non fosse il loro primo insediamento che invece è poco lontano e a 30 metri sul livello del mare, cioè fuori dal rischio tsunami, che evidentemente conoscevano già da prima. Proprio lì, infatti, gli indiani chiedono che sia spostata la loro città. Alla faccia del mare che sale.

Di questo passo, e con questo approccio alla questione, leggeremo a breve che dovranno essere considerati rifugiati climatici tutti quelli che a fine estate chiudono la casa al mare e tornano in città. Enjoy.

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Published inAttualità

9 Comments

  1. Edo

    Qualcuno potrebbe inoltrare l’articolo al dott. Guido Cioni? Non vorrei che se lo perdesse!
    Edo

  2. Alessandrobarbolini critico meteo

    Sono un meteo indignato da tempo

  3. Uberto Crescenti

    Caro Guido,
    ho molto apprezzato le tue rilessioni sulled “bufale” che confermano la tua attività volta a tentare di portare conoscenza scientifica sul tema del riscadamento globale. Sappiamo tutti che il vero problema non è l’eventuale cambiamento del clima ( la storia ci dimostra che il clima è sempre cambiato) ma l’attribuzione alle attività umane di questo cambiamento. Su questo tema sappiamo benissimo che la comunità scientifica mondiale non ha risposte univoche, ma che esistono i catastrofisti e gli scettici. Già questa considerazione dovrebbe fare riflettere sui provvedimenti da adottare per combattere il cambiamento climatico. Se non c’è certezza sulla attribuzione all’uomo del cambiamento climatico, come si giustificano i pesanti provvedimenti nati dsal Protocollo di Kyoto. Non riesco a capire come scienziati catastrofisti non abbiano riflettuto su questo punto di assoluta incertezza. e sono invece schierati a favore degli interventi tesi alla a contrastare la immissione di CO2 nell’atmosfera. Non coltivano il dubbio che è una sana caratteristica della ricerca scientifica. Al contrario si schierano con la stragrande popolazione di inesperti sul piano scientifico, in riguardo a questo tema, che si muovono in massa, quasi in vacanza, in occasione delle varie COP. Se questi sono in buona fede, non credo che possano essere considerati in buona fede anche gli scienziati catastrofisti. Del resto basterebbe riflettere sulle “verità” comunicate tramite le loro previsioni da alcuni giornali. Ricordo solo alcuni articoli: 1989, 2 novembre, Repubblica, Dieci anni per salvare la Terra; 2007, 5 maggio, Corriere della Sera, Le cure per guarire la Terra: ci sono solo 8 anni di tempo; 2007, 16 dicembre, Repubblica, Ambiente: due anni per salvare il mondo. Basterebbe riflettere su queste previsioni per avere un approccio meno convinto sul tema che ci sta a cuore. Purtroppo il cambiamento climatico è ormai diventato sorgente di grandi affari che è difficile contrastare. Chissà se l’avvento di Trump potrà modificare questa situazione; c’è rischio che si ripetano esperienze drammatiche.

  4. Fabrizio Giudici

    Tutte le bufale sono uguali, ma certe bufale sono più uguali delle altre.

    Seriamente, la cosa è gustosa. Se il problema sono gli tsunami che possono abbattersi sulla costa nord occidentale, sono apparsi recentemente – almeno a livello di media generalisti – vari studi a proposito di questo rischio dovuto ad una faglia che potrebbe essere addirittura più pericolosa di quella notissima di Sant’Andrea:

    http://www.theatlantic.com/science/archive/2016/08/a-major-earthquake-in-the-pacific-northwest-just-got-more-likely/495407/

    Leggo, proprio in riferimento a comunità indiane:

    According to one story, an entire First Nation on Vancouver Island, the Pachena Bay people, died in flooding overnight. And the quake triggered a tsunami that rode across the Pacific Ocean for 10 hours before slamming the east coast of Japan, where merchants and samurai recorded flooding and damage.

    As hundreds of thousands of Americans now know, this could happen again—except now, millions more people inhabit the Pacific Northwest.

    Si capisce piuttosto bene che se il problema è uno tsunami con la potenzialità di colpire milioni di persone, non sono un paio di decine di centimetri in più o in meno del livello del mare a fare la differenza.

    PS Se poi anche la questione dello tsunami è una bufala… allora di che stiamo parlando?

    • Fabrizio,
      io di tsunami ne so tanto quanto, per cui evito di entrare nel merito. Il punto è che, ahimè, il rischio sismico e quelli ad esso connessi, sono reali. Potranno essere sbagliati i modelli di interessamento delle aree, ma la storia insegna che queste cose accadono. Spesso dve sono già accadute, a volte dove non ci sono mai state. Per questo, e per chissà quali altri motivi – non si può trascurare che si tratta di una riserva e quindi non dev’essere per definizione il massimo come posto dove vivere – gli indiani si vorrebbero spostare. Naturalmente a spese di qualcuno.
      Il rischio climatico, inteso come diverso da quello di sempre, è tutto da dimostrare, ivi compresa la paventata sommersione.
      Vogliamo scommettere però che se troveranno qualcuno che paga sarà per salvarli da questo?
      gg

  5. alessandro69

    Buon giorno 🙂 piacevolissimo questo articolo, specialmente per l’ironia che ne trapela. Del resto, d’accordissimo con la tua opinione in merito, Guido. Buona Domenica. (ps. mi sto interessando per una piccola abitazione in val di Funes, nel cuore delle Odle per intenderci..nel triassico erano atolli :-)) )

    pss. d’ora in avanti mi identifico con il nick Alessandro69 e non più Alessandro; piochè lo considero un nome carino, ce ne sono comunque troppi che scrivono in questa area commenti 🙂 ( sono quello di John Mellencamp).

  6. Luigi Mariani

    Guido, per sostanziare quanto espresso nel mio precedente commento, cito un brano tratto dal commento che l’amico Rinaldo Sorgenti ha inoltrato poco fa al mio post su Paolo Mieli (http://www.climatemonitor.it/?p=42701) e che ci dà il peso di quanto la mancanza d’informazione si possa tradurre in un danno per la collettività:
    “La critica, etica e morale a tali fuorvianti teorie per esempio potrebbe collegarsi al fatto che hanno – “casualmente” – stimolato un’enorme speculazione e drenaggio incredibile di risorse economiche per inseguire tali teorie con dispiego incredibile di incentivi bellamente prelevati (senza sostanzialmente dirglielo) dalle Bollette degli ignari consumatori elettrici. Solo in Italia 13 miliardi/anno ed in Germania addirittura 24 miliardi/anno!
    Ma quali e quanti vantaggi per loro ma anche per noi tutti avrebbe portato se anche una parte di tali enormi risorse economiche fossero state spese per affrontare il vero grande problema che affligge una parte rilevante dell’umanità?
    Infatti, circa un terzo dell’umanità vive in condizioni miserevoli a causa della malnutrizione e del mancato sostanziale accesso a ragionevoli e davvero sostenibili fonti di energia:
    – 1,3 miliardi di esseri umani non hanno ancora accesso alla “banale” elettricità;
    – 2,4 miliardi di esseri umani è costretta a cucinare e riscaldare le loro misere abitazioni con biomasse vegetali ed animali, con conseguenze per la loro salute non difficilmente immaginabili e dimostrabili.”

  7. Luigi Mariani

    Caro Guido,
    come ci stiamo dicendo ormai da anni, i sistemi fondati sulla menzogna, sulle mezze verità o sulla mancanza di informazioni circa l vicende ritenute “spiacevoli” hanno innumerevoli vantaggi per molte categorie (politici, media, scienziati, ecc.) e ciò perché si svincolano le decisioni importanti (e cioè quelle che spostano molti quattrini) dal confronto con le priorità stabilite dall’osservazione e dalla riflessione sul mondo reale, vincolandole così alle sole opportunità del momento.
    E tuttavia se ci si sgancia dalla realtà come base per assumere decisioni si finisce per allocare le risorse in base a priorità fittizie e così si portano gli stati alla rovina ovvero non li si porta alla rovina ma si perde la libertà che è il bene più prezioso di cui noi cittadini disponiamo, come ci ricordava il geografo greco Strabone quando, parlando di Creta, scriveva che “il maggior bene delle nazioni consiste nella libertà, che è quella che sola può rendere propri di ciascheduno i beni ch’esso possiede, mentre nella servitù ogni cosa è di chi governa e nulla dei governati.”

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