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Alla faccia del clima che cambia

Di questi giorni tutti parlano di clima. Spesso a sproposito, tipo “oggi avremo c’è un clima gradevole“, ma, ignorare che tempo (oggi) e clima (decenni) siano due cose molto diverse, non è grave come ignorare quello che il clima e il suo frattale, il tempo, hanno combinato nella storia di questo pianeta. E, sorpresa, lo hanno sempre fatto senza che noi ci mettessimo lo zampino.

Un esempio? Ecco qua:

Regional energy budget control of the intertropical convergence zone and application to mid-Holocene rainfall

Un po’ criptico, mi rendo conto (e pure in inglese…). Allora, la Zona di Convergenza Intertropicale, o ITCZ, è una cintura che circonda tutto il pianeta in prossimità dell’equatore, in cui la convergenza della circolazione degli Alisei nei due emisferi genera appunto convergenza di masse d’aria. Da questa convergenza scaturisce la formazione di imponenti nubi temporalesche e abbondanti precipitazioni che da un lato caratterizzano ovviamente il clima tropicale, dall’altro fanno un lavoro importantissimo per il bilancio energetico del pianeta, perché le nubi a sviluppo verticale portano l’energia termica in alta atmosfera innescando una delle tre grandi celle di circolazione verticvale dell’aria che compongono la circolazione generale atmosferica, la Cella di Hadley. Le piogge, infine, sono uno dei meccanismi di dissipazione dell’energia e regolano i ritmi della biosfera. Questi meccanismi, come tutti gli aspetti del clima di questo pianeta, sono mutevoli nel tempo e, come testimoniato in questo studio, queste mutazioni sono state spesso drammatiche, al punto di modificare in modo radicale le condizioni climatiche e quindi la vivibilità di intere regioni del globo.

In particolare, gli spostamenti della posizione latitudinale della ITCZ (che varia anche al variare delle stagioni, quindi anche subendo oscillazioni a diversa frequenza di occorrenza), hanno segnato il destino di quello che oggi conosciamo come deserto del Sahara, ma che soltanto 6.000 anni fa, era una foresta tropicale, la cui esistenza era legata all’abbondante piovosità prodotta proprio dai meccanismi della ITCZ. Oggi, invece, l’area si trova sotto l’effetto delle correnti discendenti che chiudono la Cella di Hadley e generando subsidenza, inibiscono quasi totalmente la formazione delle nubi, rendendo le piogge praticamente assenti.

Ci sono molti studi che hanno cercato di ricostruire le relazioni di causalità che nel tempo hanno regolato le oscillazioni latitudinali dell’ITCZ. Di questi, per esempio, abbiamo già parlato qualche tempo fa nell’articolo qui sotto, dove si parlava dei forcing orbitali.

 

La pioggia di Milankovitch

In questo lavoro, che ha tra le altre cose il pregio di ricordare a tutti che il clima è sempre cambiato, anche in modo appunto drammatico, si giudicano insufficienti le forzanti di natura astronomica, e si ipotizza che a queste debbano per forza di cose essersi sommati dei feedback di natura biologica, ossia dalla vegetazione che avrebbe avuto un ruolo importante nella risposta del suolo alla tendenza al cambiamento.

La possibilità di “isolare” il contributo di singole forzanti, come ad esempio quella della vegetazione e dello stato del suolo, fornirebbe secondo gli autori di questo paper, un paradigma utilizzabile anche per prevedere gli effetti sul regime delle precipitazioni delle oscillazioni di breve periodo della ITCZ, come ad esempio quelle prodotte dall’alternarsi delle condizioni di El Niño e La Niña sulla fascia intertropicale dell’Oceano Pacifico.

Se non avete tempo o voglia di andare direttamente alla fonte, su Science Daily c’è un approfondimento con le solite interessanti opinioni degli stessi autori.

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Published inAttualitàClimatologia

2 Comments

  1. Luigi Mariani

    Caro Guido, grazie per la segnalazione; l’articolo è davvero interessante.
    Segnalo solo che secondo i riferimenti a mia disposizione durante il grande Optimum Postglaciale (6000 anni orsono) il Sahara non fu mai una foresta tropicale. Lo si può vedere ad esempio dalla figura 10 presente qui: https://www.ncdc.noaa.gov/paleo/abrupt/data6.html, da cui si deduce che dove c’è deserto c’erano savana o steppa. In ogni caso la steppa e la savana consentivano agricoltura e allevamento, il che non è poco rispetto al deserto odierno.

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