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Climate Science – Quando lo Storytelling aumenta le citazioni

Chi vorrebbe leggere cose difficili da capire? Nessuno probabilmente, ma la letteratura scientifica funziona così. O, meglio, ha sempre funzionato così. Per portare il messaggio ai non addetti ai lavori, poi, c’erano i divulgatori, spesso giornalisti scientifici, in grado di comprendere l’essenza del messaggio e tradurlo in concetti comprensibili ai più, compresi quelli cui questa informazione era necessaria ai fini del processo decisionale.

Ora, scrivono gli autori di una ricerca appena pubblicata su Plos One, la letteratura scientifica sembra essere sempre più attenta alla narrativa, al modo in cui sono esposti i contenuti oggetto di ricerca, a quello che si potrebbe definire lo storytelling.

Narrative Style Influences Citation Frequency in Climate Change Science

E, il risultato è già nel titolo del loro paper: lo stile narrativo influenza le citazioni nella scienza dei cambiamenti climatici.

Ora, superato il primo accesso di orticaria provocato dal solo fatto che si voglia dare per scontato che esista una scienza dei cambiamenti climatici, quando in realtà esiste una scienza del clima che dovrebbe semmai racchiuderla piuttosto che esserne ritenuta esclusiva, possiamo riflettere su quanto prospettato da questo lavoro.

Innanzi tutto non è un caso se sia stato scelto l’ambito climatico per compiere un’analisi che, verificate pure nell’articolo perché è liberamente accessibile, sembra essere abbastanza rigorosa. Proprio in questo settore, scrivono:

[…] la scrittura scientifica professionale tende ad essere più espositiva che narrativa, dando priorità ad osservazioni oggettive fatte da ricercatori distaccati ee basata sulla proposizione logica “se X, allora Y” per definire la struttura di un argomento.

[…] la scrittura narrativa, d’altra parte, è comunemente utilizzata con buoni risultati nella scrittura scientifica non professionale. Sia la semplice narrativa che la narrativa climatica apocalittica sono note per catturare l’attenzione del pubblico e promuovere l’azione. Inoltre, la narrativa può influenzare la percezione del rischio climatico e il gradimento delle policy tra il pubblico, e lo stile narrativo è stato proposto come un potente strumento di ricerca per affrontare problemi di comprensione, policy e azioni per come queste sono in relazione con il cambiamento climatico.

A mio parere è già abbastanza, ma una delle figure inserite in questo paper aiuta in modo particolare a capire:

Come già chiarito nel titolo di questo paper, le citazioni aumentano all’aumentare dello stile narrativo. Lo scopo di quest’ultimo però, non è quello di fornire elementi oggettivi di robustezza della ricerca, quanto piuttosto di far gradire le ipotesi avanzate. Il fatto che aumentino le citazioni è preoccupante, perché quelle vengono da una platea informata, che non ha e non dovrebbe aver bisogno di strumenti che aiutino la comprensione o rendano più gradevole l’argomento, quanto piuttosto ha e dovrebbe aver bisogno di solide dimostrazioni delle tesi avanzate. Sorprendentemente, inoltre, il ricorso ad uno stile espositivo più narrativo sembra essere più richiesto dalle riviste scientifiche con impact factor più elevato, quelle cioè per le quali è più prestigioso pubblicare e le cui citazioni hanno senz’altro un peso più significativo.

Ma se lo stile narrativo è uno strumento che aiuta in qualcosa che con la ricerca sul clima non ha nulla a che vedere – leggi aumentare la percezione del rischio, promuovere l’azione, sostenere le policy – quindi ecco che gli strumenti di diffusione della ricerca scientifica si trasformano in soggetti che promuovono indirizzi di policy connessi all’oggetto della ricerca che diffondono. Non pare che questo sia esattamente la ragione per cui esistono, né quello che ci si aspetta da loro.

A tutto questo, si somma un corollario non da poco e forse anche più negativo. Siamo partiti dalla necessità di soggetti in grado di comprendere le complessità del mondo scientifico e di tradurle per i non addetti ai lavori, siano essi solo la pubblica opinione o decisori. Se i messaggi significativi sono espressi in narrativa, diventano slogan facile preda di un’opera di divulgazione distorta, in cui troneggiano messaggi di catastrofismo che poi molte volte, a ben vedere, nel corpo delle ricerche che però pochissimi leggono, sono espressi con incertezza, molto più attenuati o, molto spesso, del tutto assenti. Ma sono però quelli che troviamo sui giornali e che vengono recepiti.

Come nel caso di questo inverno, in cui le correnti atmosferiche sono d inclini a favorire flussi di aria calda verso l’Artico causandovi un’anomalia positiva della temperatura. Sul Corriere (ma non solo) si parla quindi decisamente a sproposito, di “onda di calore” per l’Artico. Beh, l’onda di calore è tale da portare oggi ben 17°C sotto zero, come a ferragosto praticamente! Tutta colpa del climate change, ovviamente. Peccato che ci si dimentichi di dire che, sempre per le stesse correnti e sempre perché il clima cambia, ci siano 40°C sotto zero in Groenlandia, ce ne siano stati più di 50°C sottozero in Siberia per settimane e appena una settimana fa si sia congelata tutta l’America del Nord. Ma, attenzione, redarguisce un altro link consigliato, perché l’Antartide scompare! E via con la galleria fotografica comprovante la tragedia in corso. Che si chiama estate, perché, guarda un po’, in questo pianeta quando in un emisfero è inverno nell’altro è estate! Questa non è neanche narrativa, è cialtroneria, che non si accorge nemmeno che l’esperto di turno opportunamente virgolettato, dice che di questo passo di onde di calore così che ne saranno “un anno sì e un anno no” e viene tradotto “ogni altro anno”. Una cialtroneria che viaggia sul mainstream della comunicazione e fornisce bufale (fake news) a non finire, perché, attenzione, non è il divulgatore, che pure non si prende la briga di andare a controllare, che fa narrativa. E’ lo scienziato, che parla di “onda di calore” dove si gela comunque e, sicuramente, non si scioglie un accidente!

Tutto ciò, direi, finalizza la strategia comunicativa, padroni di non ritenerla tale, che promuove idee, non risultati scientifici. Non è proprio un bell’andare…

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Published inAttualità

11 Comments

  1. Flavio Capelli

    A quanto pare il lavoro di cui si parla riporta un R2 = 0.05 fra indice di narratività e numero di citazione. Ovvero insignificante.

    La tesi degli autori potrebbe essere vera, ma le prove non ci sono.

  2. Diego

    @Botteri
    Il suo commento si riferisce al neoeletto governo statunitense, giusto?

  3. Matteo12

    oramai la vostra paranoia ha raggiunto livelli incredibili! La chiarezza espositiva va a braccetto con la chiarezza delle idee; in altre parole: solo se si conosce nel profondo un argomento, lo si riesce ad esporre bene. Quindi, se un lavoro scientifico è chiaro e ben scritto è solo merito di chi lo concepisce e della sua padronanza della materia e questo non mi pare essere un punto di demerito, anzi!
    Lo storytelling è usato come tecnica persuasiva di comunicazione dai giornalisti e non dagli scienziati. Però se voi preferite crederlo liberi di farlo.

    • Matteo, trovo più paranoico affrontare una discussione in questi termini, ma anche questo è questione di scelte.
      Circa la storytelling, il paper commentato si è occupato di letteratura referata, non di articoli di giornale, spiegando chiaramente come l’uso di uno stile che metta in risalto l’idea più che il risultato favorisca le citazioni, quindi la diffusione (anche dell’idea). In pratica si confeziona un messaggio pronto per la divulgazione e qui, come giustamente dici, entra in gioco la stampa generalista. Che però legge solo quello, e chi fa letteratura scientifica evidentemente lo ha capito.
      Ergo, l’idea si diffonde, il risultato non sempre, anzi, quasi mai, perché se qualcuno si prendesse la briga di leggerla la letteratura scientifica in materia di clima che cambia, si accorgerebbe di quanta narrativa ingiustificata dai risultati sia spacciata per scienza consolidata.
      È chiaro che una cosa ben scritta è più piacevole da leggere, ma qui non si tratta di trarre piacere dalla lettura o di condividere le idee, ma di leggere cose che hanno robustezza scientifica.
      gg

    • David

      ….non è obbligatorio leggere gli articoli di questo blog,se li ritiene paranoici c’è sempre repubblica o il corrierone con gli articoloni giornalieri sul pianeta moribondo!

    • E, a proposito di narrativa…questa esce ancora prima del referaggio, per essere in tempo con la stringente attualità degli ultimi due mesi.

      http://blogs.agu.org/wildwildscience/2016/12/29/smoking-gun-arctic-warmth-leads-stunning-indictment/

      È così ben scritta da essere davvero convincente. Un calcolo statistico della probabilità di occorrenza delle anomalie positive nell’Artico rivela che la probabilità che si verifichino anomalie come quelle recenti è bassissima (ma lo è anche senza forcine antropico, quindi l’Artico è pure matto di suo).
      Su cosa si fa questa statistica? Sui dati di Era-Interim, la rianalisi di ECMWF. Ora, quanti sanno cos’è una rianalisi? Presto detto, è un modello che girando con i dati osservati di cui si dispone riempie tutti i buchi nelle osservazioni, permettendo una ricostruzione soddisfacente nel tempo e nello spazio. Però più buchi ci sono, più pesa il modello rispetto alla realtà. L’Artico è tutto un grande buco, lo era per le osservazioni del passato, lo è per quelle del presente. Quindi questa statistica restituisce una frequenza di occorrenza di dati osservati dentro a un modello cioè dice che nel mondo virtuale la realtà ha basse probabilità di occorrenza. Mi pare un grande, grandissimo risultato.
      È appena uscita, sono ansioso di leggerne la diffusione sui media.
      gg

    • Matteo12

      Scusate ma si parla di capacità retoriche degli autori di un lavoro scientifico o di capacità di comprensione e divulgazione della stampa? Non è chiaro dove volete arrivare. Volete dirmi che certa stampa è di parte? Bella scoperta. Voi no?

    • Di entrambe le cose Matteo, perché sono strettamente collegate.
      Comunque no. Io no.
      gg

  4. Guido Botteri

    in sintesi, invece di fare scienza, vogliono raccontarci storielle, la cui verità è un fattore non importante, perché prevale l’interesse di imporre una visione catastrofista decisa per altri motivi (politica, ideologia, interesse privato, ecc.)
    Secondo me

  5. Teo

    E così il mercato delle vacche si è dichiarato, puah!

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