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Lampi di ragione

Nell’ambito del tragicomico processo di passaggio di consegne che sta avvenendo al di là dell’oceano – comico perché il subentrante ha in effetti dei tratti di involontaria comicità, tragico perché i perdenti proprio non riescono a farsene una ragione – pare che durante le audizioni al Senato per la conferma della nomina del futuro capo della CIA, la componente democratica si sia a lungo soffermata sui temi del cambiamento climatico. Il WSJ ha ironizzato sull’argomento con un articolo dal titolo The Climate Intelligence Agency, da cui trapela chiaramente la convinzione che il clima che cambia sia argomento di sicurezza nazionale, più di quanto non lo siano il terrorismo, la questione medio orientale, le risorse energetiche e alimentari e così via.

La cosa non stupisce, perché il presidente uscente ha più volte dichiarato di essere convinto che il problema più grosso che il mondo sia costretto ad affrontare sia proprio il global warming. Non so se gli sfugga il particolare che le favorevoli condizioni climatiche e l’accresciuta concentrazione di CO2 delle ultime decadi hanno contribuito non poco a garantire una produttività agricola e quindi una disponibilità di risorse alimentari che garantiscono il sostentamento ad una popolazione globale in continua crescita, abbattendo al contempo il numero di quanti soffrono la fame. Oggi siamo 7,3 mld e ci sono 795 mln di persone affamate, 30 anni fa eravamo 5,7 mld e soffrivano la fame 1,1 mld di persone. Quindi la porzione della popolazione globale che soffre la fame si è ridotta da sesto ad un decimo del totale.

A questo, ha pesantemente contribuito lo sviluppo dell’agricoltura industriale, che ha sviluppato tecniche di coltura e di protezione dalle malattie – soprattutto uso di fitofarmaci – che hanno letteralmente compiuto un miracolo. Negli ultimi anni, tuttavia, si sta diffondendo sempre di più la convinzione che tutto questo sia un male, che solo ciò che è bio possa garantire la salubrità del cibo e che si debba tornare all’epoca in cui si poteva consumare solo quello che si riusciva a strappare alla terra con mille sacrifici.

Come in tutte le cose, certamente, il bene sta nel mezzo, come ci ha più volte spiegato Luigi Mariani intervenendo su questi argomenti sulle nostre pagine. Ma è davvero difficile sentire parlare con obbiettività di queste cose, specialmente sui media generalisti, che sono letteralmente invasi dal pensiero dominante della decrescita felice. Penso di farvi cosa gradita quindi proponendovi l’ascolto del podcast della trasmissione Fabbrica 2.4 condotta da Filippo Astone e andata in onda su Radio24 ieri sabato 14 gennaio. Ventiquattro minuti di autentici lampi di ragione e realismo. Cose che, tanto per fare un esempio, non è stato possibile vedere o sentire neanche per un secondo nei 6 mesi dell’EXPO di Milano, che invece proprio di questo avrebbe dovuto parlare.

Lo trovate qui. Buona Domenica.

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Published inAttualità

13 Comments

  1. Luca Rocca

    Non ho mai capito la differenza che viene fatta fra una sostanza tossica chimica di sintesi ed una naturale. Più dei quattro quinti delle specie vegetali sono tossiche ,Le specie vegetali commestibili o usate in medicina non superano le ventimila e molte devono essere cotte o trattate. Alcuni veleni come la ricina sono letali in parti per milione se si tratta poi di muffe o batteri, l’antrace o il tetano possono contaminare un terreno per centinaia di anni,

    • Luca Rocca

      non saprei come reperirle ma se le trova le consiglio le pubblicazioni del professor P.aolo Rossi dell’ università di Genova (Storia del Pensiero scientifico) Ha lavorato sulla fitofarmacologia nella stregoneria medievale. Raccogliere la piante in un cimitero nelle notti di luna piena non era un semplice rituale ma il modo di conoscere empiricamente le caratteristiche del terreno e la concentrazione stagionale del principio attivo.
      Ne sapevamo di più quando ne sapevamo di meno

  2. Il problema di avere un’adeguata produzione agricola diventerà sempre più importante in futuro; spero però che la popolazione mondiale non cresca troppo (dovrebbe diminuire), perché se no avremo grossi guai in futuro.
    Faccio solo un esempio:
    il frutto più prodotto in assoluto al mondo è la banana.
    Il 95% (se non più) delle banane prodotte al mondo appartiene a una sola specie, la Cavendish la quale pecca di variabilità genetica e nel giro di 10 anni potrebbe scomparire, dato che si stanno già diffondendo i funghi che la aggrediscono.

    Se una cosa del genere accadesse anche alle altre colture principale, il problema della fame del mondo non colpirebbe solo di 1/10 della popolazione, ma i 9/10.

    Dobbiamo capire che è assurdo sfruttare al massimo la natura, perché quando essa poi cambia (proliferazione di parassiti resistenti), rischiamo di morire di fame!

    • Luigi Mariani

      Non condivido la sua conclusione pessimistica e le spiego perchè:
      – la Cavendish è la varietà oggi più coltivata al mondo ma è solo una delle 300-1000 varietà di banano oggi esistenti (https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_banana_cultivars).
      – fra le altre varietà ne esistono diverse che sono resistenti al fungo Fusarium che causa problemi su Cavendish, come può vedere su questo report FAO: http://www.fao.org/fileadmin/templates/banana/documents/Docs_Resources_2015/TR4/2-banana-fusarium-wilt.pdf

      Pertanto alla disperata si cambierà varietà, come è in passato è già accaduto moltissime volte in caso di varietà di piante coltivate troppo sensibili a determinate malattie e poi si selezioneranno varietà resistenti con caratteristiche organolettiche simili a quelle di Cavendish.
      Al riguardo abbiamo l’esempio calzantissimo della vite, che a livello mondiale occupa oggi 7,2 milioni di ettari contro i 5,1 del banano: fra il 1851 e il 1876 arrivano in Europa dall’America tre terribili malattie che rischiano di far scomparire la viticoltura europea e che si chiamano oidio, peronospora e fillossera: contro oidio e peronospora vengono trovati rimedi chimici molto efficaci (zolfo e solfato di rame) mentre contro la filossera si introducono i portinnesto resistenti di vite americana.

    • Dobbiamo sperare di trovare sempre e velocemente delle varietà resistenti, ma questo non sempre avviene rapidamente.

      Prendiamo il caso degli ulivi in puglia.
      La malattia si diffonde velocemente in poco tempo, ma un ulivo per crescere impiega molti anni.

      E’ chiaro che non esiste solo l’olio delle olive, ma come già detto, dobbiamo sperare di essere sempre noi più veloci a sostituire le piante, con altre specie.

      E’ successo anche con la “tristezza” degli agrumi, che nel giro di pochi anni ha quasi cancellato l’arancia tarocco dalla faccia della Terra.

      Anche nel film Interstellar, uno dei problemi principali era la proliferazione di parassiti del mais (l’ultimo degli alimenti rimasti nel film).

    • luigi mariani

      La capacità di trovare soluzioni ai problemi è una peculiarità del genere umano (è il “seguir virtute e conoscenza” di cui parla Dante…) e in fitopatologia l’ho vista all’opera moltissime volte, per cui il mio ottimismo si fonda su una serie storica vasta ma che ovviamente comporta delle eccezioni. Una di queste è data proprio dalla malattia dell’olivo in Puglia per la quale credo si sia scelta la strada peggiore e cioè quella di lasciare il problema nelle mani dei tribunali e non dei fitopatologi, che anzi, nelle vesti di novelli untori, sono stati accusati di aver diffuso il male. Ciò mi fa essere particolarmente pessimista circa il fatto che si possa trovare una soluzione.

  3. Luigi Mariani

    Caro Guido,
    ti ringrazio per avere segnalato la trasmissione di radio 24. In tale sede si è fra l‘altro posta in luce l’analogia fra medicine umane e medicine per le piante (o fitofarmaci alias agrofarmaci), analogia che ritengo particolarmente utile per sviscerare la questione.
    E in particolare un esempio che mi pare molto efficace è dato dall’uso degli antibiotici in medicina umana contro le infezioni batteriche. Si tratta di prodotti il cui foglietto delle istruzioni è pieno d controindicazioni terribili e tuttavia il loro uso è molto spesso risolutivo rispetto alla malattia per cui nemmeno al mio peggior nemico mi sentirei di dire ”tienti la polmonite piuttosto che usare tali prodotti”.
    Facciamo poi il caso di un campo di frumento trattato con fungicidi per impedire l’attacco di funghi del genere Fusarium che producono tossine molto pericolose per l’uomo come il Deossinivalenolo (https://it.wikipedia.org/wiki/Deossinivalenolo) o un campo di mais trattato con insetticidi per impedire che la piralide diffonda i propaguli di altri funghi del genere Fusarium che producono fumonisine, sostanze tossiche e cancerogene (https://it.wikipedia.org/wiki/Fumonisina). In tal caso sarà pur negativo immettere molecole di sintesi nell’ambiente ma l’alternativa è ancora più negativa, per cui a mio avviso è pienamente giustificato l’intervento dell’agricoltore con il mezzo chimico.
    Al riguardo debbo anche fare alcune precisazioni ulteriori:
    – di fronte alle malattie delle piante gli stessi seguaci dell’agricoltura biologica non sono in grado di rinunciare al mezzo chimico, tant’è vero che usano vecchi fungicidi come le zolfo e il solfato di rame, per cui il problema è concreto ed evidente a tutti.
    – più sopra abbiamo parlato di piralide, insetto contro cui è da tanto tempo disponibile l’ingegneria genetica (mais BT, tossici per l’insetto ma non per l’uomo) ma questa strada che sintetizzo in “meno chimica e più genetica” ci è oggi preclusa dalla legge, legge che invece si guarda bene dal limitare l’uso sacrosanto delle biotecnologie a favore della salute umana (da anni l’insulina per i diabetici viene prodotta da batteri Escherichia coli geneticamente modificati in modo da avere nel loro DNA i geni umani che sintetizzano tale sostanza).
    Venendo a concludere credo che alla fine quello che conta è che chi usa i fitofarmaci si comporti in modo corretto e rispetti le prescrizioni, in analogia con quanto si fa per le medicine umane, in modo da ridurre entro limiti accettabili gli effetti negativi sfruttando appieno gli effetti positivi di tali prodotti.
    Segnalo infine che gli esempi sopra riportati mi portano a pensare che sarebbe necessario sviluppare una riflessione filosofica che portasse il dibattito oltre il piano primordiale dell’odio per la chimica, perché temo sempre più che con l’odio per la chimica (e, perché no, anche con quello per la fisica) si finisca per inchiodare il nostro paese ad un sottosviluppo ammantato di demagogia.
    Luigi

  4. “si è ridotta da un decimo ad un sesto del totale.”

    Magari volevi dire il contrario:
    da un sesto a un decimo del totale.

    • Grazie sì, ovviamente.
      gg

  5. Luca G.

    Desideravo far notare secondo il mio punto di vista, come certe abitudini, tendenze, tecniche (come l’agricoltura biologica, lo slow-food, il consumo di suolo irragionevole,il disboscamento senza nuovi rimboschimenti,il consumismo massivo…) siano croce e delizia dello stesso fronte d’azione. Mi spiego: alcune delle attività sopracitate sono certamente lodevoli,ma diventano “odiose” quando a sponsorizzarle e chi predica bene e razzola male . Per esempio le multinazionali, favorevoli ad una globalizzazione non integrativa nelle sue particolarità, ma omologata e consumista in senso negativo, con l’unico obiettivo di un business sempre più in mano a pochi. Queste stesse multinazionali son quelle che poi sostengono e sponsorizzano quella parte politica che paradossalmente a parole sembra accusare questo genere di attitudini, ma nei fatti le favorisce. Oggi abbiamo molti esempi. Insomma è come vedere un capitalismo travestito da comunismo che si ritiene però “moderato”. E’ ovvio, che di fronte ad una politica così il disorientamento diventa imperante. A patirne certamente, anche la ricerca scientifica.

  6. Luca G.

    Desideravo far notare secondo il mio punto di vista, come certe abitudini, tendenze, tecniche (come l’agricoltura biologica, lo slow-food, il consumo di suolo irragionevole,il disboscamento senza nuovi rimboschimenti,il consumismo massivo…) siano croce e delizia dello stesso fronte d’azione. Mi spiego: alcune delle attività sopracitate sono certamente lodevoli,ma diventano “odiose” quando a sponsorizzarle e chi predica bene e razzola male . Per esempio le multinazionali, favorevoli ad una globalizzazione non integrativa nelle sue particolarità, ma omologata e consumista in senso negativo, con l’unico obiettivo di un business sempre più in mano a pochi. Queste stesse multinazionali son quelle che poi sostengono e sponsorizzano quella parte politica che paradossalmente a parole sembra accusare questo genere di attitudini ma nei fatti le favorisce. Oggi abbiamo molti esempi. Insomma è come vedere un capitalismo travestito da comunismo che si ritiene però “moderato”. E’ ovvio che di fronte ad una politica così il disorientamento diventa imperante.

    • Filippo Turturici

      Cicli storici e sociali. Come il jet set di capitani d’industria e grandi rentier, in vacanza nei posti più esclusivi sui propri yacht ed elicotteri privati, che si fingeva comunista o comunque socialista negli anni ’70-’80. Per moda e per convenienza.

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