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Pausa o non pausa, questo è il problema!

Lo scorso anno fu pubblicato un articolo, Karl et al., 2015, in cui veniva descritto un procedimento di omogeneizzazione dei dati di temperatura globale che decretò la scomparsa della pausa nell’innalzamento delle temperature superficiali globali. A questo articolo dedicai un post in cui mettevo in evidenza alcune criticità di Karl et al., 2015. Riassumendo le conclusioni del post, criticavo due aspetti di Karl et al., 2015:

  • Le interpolazioni polari che determinavano un raddoppio del trend di innalzamento delle temperature atmosferiche dell’area;
  • Le correzioni dei valori delle serie di temperature della superficie del mare (SST) misurate dalle navi.

Al netto di queste due correzioni delle serie di temperatura globale, la pausa risultava ben evidente. Karl et al., 2015 è stato molto criticato negli ambienti scettici in quanto la sua opera viene considerata l’ennesimo esempio di modifica dei dati per adattarli alle esigenze della linea di pensiero principale e cioè fornire una base quantitativa alla narrazione qualitativa del riscaldamento globale o cambiamento climatico di origine antropica o ancora disordine climatico. Come sovente accade nell’ambito della ricerca scientifica non si può mai esprimere un giudizio definitivo su di una certa conclusione in quanto altri ricercatori, lavorando sullo stesso argomento, possono giungere a conclusioni concordanti con quella oggetto di discussione o possono dimostrarne l’infondatezza. Anche Karl et al., 2015 è passato attraverso questo processo di verifica e sembrerebbe che le conclusioni dell’articolo debbano considerarsi fondate.

In questi giorni la rivista Science ha pubblicato l’articolo che con metodologie diverse sembra avvalorare l’opera di Karl et al., 2015.

Assessing recent warming using instrumentally homogeneous sea surface temperature records di  Zeke Hausfather, Kevin Cowtan, David C. Clarke, Peter Jacobs, Mark Richardson e Robert Rohde (da ora Hausfather et al., 2017)

La superficie del mare risulta essere l’elemento dominante del pianeta Terra in quanto ne rappresenta il 71% della superficie globale. E’ ovvio, quindi, che la temperatura della superficie del mare rappresenta il fattore dominante della temperatura media globale superficiale. Oggi come oggi esistono fondamentalmente tre serie di dati che rappresentano la storia termica della superficie marina: ERSST4 della NOAA, HadSST3 dell’Hadley Centre del Met-Office e COBE-SST della Japanese Meteorological Agency’s. Ad essere sinceri esiste anche qualche altro dataset, ma le modalità di gestione piuttosto oscure e la scarsa diffusione ci consentono di trascurarli. Nel prosieguo ci concentreremo, pertanto, su queste tre serie di dati. Si tratta di tre compositi, cioè tre serie di temperature superficiali del livello del mare generate dalla composizione, previa opportuna omogeneizzazione, di diverse serie di temperature della superficie marina. Come ben sanno i lettori di CM si tratta di prodotti generati utilizzando pesantissimi processi di trattamento dei dati grezzi in quanto per poter comporre serie di dati misurati  con metodologie e strumenti diversi, è necessario omogeneizzare, sottoporre cioè a trattamenti statistici estremamente complessi, i dati grezzi. Karl et al., 2015 è intervenuto sulla serie di dati ERSST3 della NOAA, revisionando le serie di temperature che confluivano nel composito mediante opportuni algoritmi di omogeneizzazione. Allo scopo di rendere globale la copertura dei dati, mediante processi di rianalisi, ha ricostruito i valori della temperatura superficiale del mare anche nelle maglie della griglia in cui è stata suddivisa la superficie terrestre, in cui tali dati mancano per carenza di misurazione. Semplificando molto, Karl et al., 2015 ha messo in evidenza che il trend di variazione della temperatura globale nel periodo 1951-2012, non era affatto diverso da quello nel periodo 1997-2012: non esisteva alcuna pausa nel rateo di aumento delle temperature globali. Appare evidente, pertanto, che il core del lavoro di Karl et al., 2015 è rappresentato dalla tendenza delle temperature globali. Per quanto premesso, appare evidente che tutta la discussione ruota attorno alle temperature della superficie del mare perché se pausa ci deve essere, essa deve emergere dai dataset di tali temperature.

Allo scopo di controllare la bontà del lavoro di Karl et al., 2015, Hausfather et al., 2017 ha confrontato le tendenze dei tre compositi delle temperature superficiali del mare con quelle di alcune serie delle stesse temperature sulla cui omogeneità c’è poco da discutere (in realtà un poco da discutere c’è, ma lo vedremo alla fine, per adesso supponiamo che l’omogeneità delle serie di riferimento sia un dato di fatto).

Il ragionamento di Hausfather e colleghi non fa una grinza: se la tendenza di ERSST4 riesce a replicare quella delle serie di riferimento meglio di quanto non facciano gli altri compositi, bisogna riconoscere che l’omogeneizzazione di ERSST4 è efficace e corretta. Andiamo, ora, a dare un’occhiata alle serie di riferimento che Hausfather et al., 2017 ha preso in considerazione. La prima serie considerata dagli autori è quella della rete delle boe fisse o derivanti della rete ICOADS, la seconda serie di dati è quella generata da radiometro satellitare e curata dall’European Space Agency Climate Change Initiative (da ora in poi CCI), una seconda serie di dati radiometrici curata da Along Track Scanning Radiometer (ATSR) che da ora in poi definiremo ARC ed infine tre serie di temperature basate sulle boe galleggianti del progetto ARGO.

Queste serie di dati hanno sviluppi spaziali e temporali diversi, per cui devono essere trattate in modo piuttosto cauto. Esaminiamole una alla volta mettendone in evidenza pregi e difetti.

Le boe marine ormeggiate e derivanti costituiscono una rete piuttosto estesa che presenta una distribuzione spaziale abbastanza omogenea e che copre in maniera quasi continua un intervallo temporale che va dalla fine degli anni novanta del secolo scorso ai giorni nostri. Esse forniscono le temperature delle acque marine mediante misurazione diretta e non risentono di tutti quei bias riscaldanti o raffreddanti da cui sono affette le misurazioni delle temperature delle acque marine effettuate mediante secchi o mediante spillatura dalle condotte di raffreddamento dei motori delle navi. Oggi come oggi le temperature determinate con l’uso delle boe rappresentano circa l’ottanta per cento delle misure di temperatura delle acque marine. Tali misurazioni sono, però, affette da molteplici problemi legati al fatto che spesso le boe derivanti si arenano e per lungo tempo trasmettono misure di temperatura relative all’aria e non all’acqua. Altra fonte di incertezza in queste misurazioni è costituita dal fatto che quando esse vengono recuperate dalle navi che le incrociano per essere sottoposte a manutenzione, continuano a trasmettere misure della temperatura dell’aria e non dell’acqua marina. Esistono anche altre problematiche, ma è opportuno fermarci qui.

Le temperature misurate dai satelliti sono un tipico esempio di telerilevamento e si basano sulla radiazione emessa dalla superficie del mare e misurata da un radiometro basato su un satellite. Questo tipo di misurazione è il più completo dal punto di vista spaziale in quanto riesce a coprire quasi tutta la superficie terrestre con esclusione delle zone polari. Le misurazioni da remoto soffrono, secondo alcuni, di un bias freddo in quanto, in presenza di nubi, non sono in grado di misurare le temperature dello strato d’acqua sottostante o lo sottostimano in modo molto sensibile. Nel caso delle serie prese in esame da Hausfather et al., 2017, mentre ACR è esclusivamente satellitare, CCI è integrata anche con dati provenienti da boe ormeggiate, per cui è essa stessa un composito.

Infine troviamo le boe del progetto ARGO: si tratta di laboratori robotici galleggianti che sono in grado di misurare diversi parametri marini come salinità, velocità delle correnti, acidità ed ovviamente temperatura delle acque marine, oltre ad altre molteplici grandezze. Il pregio di questa rete di boe derivanti è che riescono ad eseguire queste misurazioni sull’intera colonna liquida compresa tra 0 e -2000 metri di profondità. Diciamo che esse rappresentano il top della misurazione di grandezze caratterizzanti le acque marine ed oceaniche.

Hausfather et al., 2017 ha elaborato sei serie di dati delle tendenze delle temperature superficiali del mare: una basata esclusivamente sulle boe, due basate esclusivamente sulle rilevazioni satellitari, una terza basata su rilevazioni satellitari e sulle boe del progetto ARGO (APDRC), una quarta basata su dati ARGO integrati con dati derivanti da boe normali (H2008) ed, infine, la sesta basata solo ed esclusivamente su dati del progetto ARGO (RG2009).

Da questa breve disamina ci rendiamo conto che in effetti tre sono le serie di misurazioni delle temperature superficiali del mare che possono essere considerate del tutto omogenee: quella derivata dalle boe ormeggiate e derivanti, quella satellitare ACR e, infine, quella delle boe Argo definita RG 2009.

Come già accennato, le serie prese in considerazione non sono perfettamente sovrapponibili né spazialmente, né temporalmente per cui bisogna individuare un periodo comune in cui esse possano essere sovrapponibili. Questo periodo è stato individuato dagli autori, relativamente alle serie che hanno inizio alla fine degli anni ‘90 del secolo scorso, tra il 1997 ed il 2001. Per le temperature desunte dalle boe e per i dati satellitari, ciò è stato possibile in quanto esse raggiunsero una significatività spaziale quasi contemporaneamente intorno al 1997, per le misure ottenute a partire dalle boe ARGO, il periodo di sovrapposizione da prendere in considerazione, è quello successivo al 2005 in quanto prima di tale data la diffusione delle boe ARGO era poco significativa. La scelta del periodo di sovrapposizione delle serie è stata effettuata grazie all’utilizzo di modelli autoregressivi a media mobile (ARMA (1,1)) che hanno consentito di correggere i problemi di autocorrelazione che si presentano in questi casi.

Individuate le serie di confronto ed i periodi di sovrapposizione, Hausfather et al., 2017 hanno confrontato le tendenze dei quattro compositi disponibili (HadSST3, ERSST3, ERSST4 e COBE-SST) con le serie di riferimento. Per il periodo 1997-2015 il confronto è stato effettuato con la serie delle temperature misurate dalle boe e con la serie satellitare CCI. Il risultato globale del confronto tra ERSST3, ERSST4, la serie delle temperature desunte dalle boe e la serie satellitare CCI è quello rappresentato nella figura 1 del loro articolo che qui riproduco.

Come si vede chiaramente dal grafico, fino al 2003 le tendenze delle quattro serie prese in considerazione sono praticamente identiche. Successivamente cominciano ad esserci delle deviazioni che riguardano essenzialmente ERSST3 (linea tratteggiata). ERSST4 è, invece, coerente con le serie omogenee (satellitare e boe) fino alla fine. Assunto che le tendenze delle temperature satellitari e di quelle delle boe siano omogenee, l’unica logica conseguenza è che ERSST4 è coerente con le serie omogenee, mentre ERSST3 è affetto da un bias freddo. Detto in parole molto povere Karl et al., 2015 viene confermato in modo indipendente e tutte le critiche che gli sono state mosse devono essere considerate fuori luogo. La conclusione ovvia è che la pausa non è mai esistita, ma è frutto di un bias insito nella serie di dati.

Personalmente reputo del tutto corretto e sensato il ragionamento di Hausfather et al., 2017: se la misura di una grandezza fisica eseguita con uno strumento, coincide con quella effettuata con metodica e strumentazione diversa, quindi indipendente dalla prima, possiamo essere certi che le due misure sono corrette e che la grandezza fisica ha come valore più probabile, quello misurato. Lo faccio anch’io tutti i giorni e lo accetto senza alcun problema.

Fino ad ora non abbiamo visto, però, alcun confronto tra i compositi HadSST3 e COBE-SST e le serie campione, né dei compositi con le serie desunte dalle boe ARGO. Nell’articolo di Hausfather e soci questi confronti vengono effettuati in modo piuttosto rigoroso e con dovizia di particolari. Cercherò di riassumere brevemente questi confronti ed i test di verifica effettuati, rimandando all’articolo originale ed ai materiali supplementari, liberamente accessibili, ulteriori approfondimenti.

Sottraendo le serie campione dai compositi presi in considerazione, Hausfather et al., 2017 calcola i residui e li confronta statisticamente. Il calcolo evidenzia che rispetto ad ERSST4, tutti gli altri compositi presentano dei residui maggiori quando ad essi vengono sottratti i valori delle serie campione. Tale fatto è evidente per il periodo 1997-2015 mettendo a confronto i quattro compositi con le serie CCI, boe derivanti e ARC (Fig. 2 dell’articolo originale). Anche da questo controllo emerge, quindi, che ERSST4 è più performante degli altri compositi relativamente al periodo preso in considerazione.

Più interessante mi è sembrato il confronto tra i quattro compositi e le serie basate sui dati delle boe ARGO. Anche in questo caso due volte su tre ERSST4 appare migliore degli altri tre compositi. Solo il confronto tra i compositi e la serie RG2009, basata esclusivamente sulle boe ARGO, evidenzia residui che non consentono di discernere tra i quattro compositi presi in considerazione: tra essi non vi sono differenze statisticamente significative, sono tutti accettabili. Il grafico seguente, tratto sempre da Hausfather et al., 2017,  consente di visualizzare quanto ho appena scritto.

E’ appena il caso di sottolineare che gli autori hanno provveduto a effettuare un altro controllo, a mio giudizio estremamente significativo. Affinché il confronto tra due serie di dati sia congruo, è necessario che le due serie siano spazialmente e temporalmente coincidenti. Gli autori hanno, pertanto, individuato le maglie della griglia planetaria in cui erano presenti dati per tutto il periodo preso in considerazione ed hanno effettuato le sottrazioni dianzi descritte. I risultati non sono molto diversi da quelli appena illustrati. Hanno, infine, ricostruito per interpolazione i dati nelle maglie in cui non erano presenti tutte le misurazioni ed il risultato non è stato di molto differente anche se il margine di incertezza è aumentato e ciò non può suscitare meraviglia visto che i dati interpolati così ottenuti possono essere considerati virtuali.

A questo punto è necessario tirare le somme e giungere ad una conclusione. La conclusione non può che essere una: Hausfather et al., 2017 ha confermato e convalidato con metodologia indipendente Karl et al., 2015. Il discoro sembra chiuso fino a che qualcuno non dimostrerà che Karl et al., 2015 e Hausfather et al., 2017 sono sbagliati.

E per finire qualche considerazione personale. Il lavoro di Hausfather e colleghi è apprezzabile in quanto riesce a dimostrare l’assunto in modo estremamente elegante ed efficace. Da questo punto di vista lo considero migliore di Karl et al., 2015 sia dal punto di vista metodologico che da quello analitico. Diciamo che mi ha convinto e che ERSST4 nonostante le perplessità metodologiche che continuo a nutrire, è un prodotto migliore degli altri compositi. Nonostante ciò non posso nascondere che ho qualche perplessità che mi spinge ad aspettare ulteriori sviluppi della vicenda. Detto in altri termini, non credo che i giochi siano ancora chiusi.

La prima perplessità riguarda la lunghezza delle serie di confronto. Sono tutte molto brevi in quanto vanno da un massimo di venti ad un minimo di undici anni. Considerando che una parte della lunghezza deve essere utilizzata per la sovrapposizione, mi sembra che l’intervallo temporale efficace per le considerazioni quantitative sia estremamente ridotto: 15 anni per le serie basate sulle boe e sui radiometri, 6 anni o giù di lì per quelle desunte dalle boe ARGO. Poco, troppo poco per poter considerare definitivi i risultati di Hausfather e colleghi.

Altra perplessità riguarda la natura delle serie di confronto. La serie delle boe derivanti presenta i problemi di cui ho già parlato nel corpo del post. Le serie da radiometro sono esse stesse dei compositi e, quindi, non hanno le caratteristiche di omogeneità che caratterizzano le assunzioni su cui si basa il lavoro di Hausfather et al., 2017. Delle serie basate sulle boe ARGO, due sono dei compositi e solo RG2009 appare omogenea. Neanche a farlo apposta, premessa l’eccessiva brevità della serie, è quella che rende equiprobabili tutti e quattro i compositi. Sarà un caso o è qualcosa di più significativo? Io credo che sia qualcosa di diverso dal semplice caso in quanto RG2009 è, forse, l’unica serie veramente omogenea, ma in ogni caso è troppo breve per poter esprimere un giudizio definitivo.

L’ultima perplessità, forse quella più importante, è di natura logica. Tanto UAH, quanto RSS (i due dataset satellitari delle temperature della bassa troposfera), dimostrano che la pausa c’è stata ed essi sono del tutto indipendenti dagli altri dataset delle temperature superficiali. Secondo i sostenitori dell’AGW questi dati non sono probanti in quanto misurano grandezze diverse, cioè la temperatura della bassa troposfera e non quella superficiale che è quella che a noi interessa. Io non concordo con questo punto di vista e Hausfather e colleghi non dovrebbero vederla molto diversamente da come la vedo io, considerato che la maggioranza delle serie di controllo da essi individuate attinge a dati radiometrici di natura satellitare. Essi se ne rendono conto e mettono le mani avanti: i nostri dati satellitari sono riferiti alla superficie del mare che è ben definita e non ad una difficilmente definibile “bassa troposfera”. Mi sembra una giustificazione piuttosto ingenua, visto che le metodiche di rilievo e le problematiche connesse sono del tutto identiche. Ci troviamo, pertanto, di fronte ad un paradosso: da un lato le temperature globali della bassa troposfera determinate con metodo radiometrico, dimostrano l’esistenza di una pausa nel riscaldamento globale, dall’altro i dati radiometrici, seppur riferiti ad una temperatura diversa (quella della superficie del mare), avvalorano un set di dati che nega la pausa. Davvero un bel dilemma.

In conclusione restiamo con l’amletico dubbio: questa benedetta pausa c’è o non c’è?

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Published inAttualitàClimatologia

9 Comments

  1. ho fatto un’altra prova: ho confrontato ersstv4 con VAT (vertically averaged temperature) relativa all’oceano globale e per lo strato 0-100 m. Nel quadro in alto ersstv4 dal 1854 al 2016 e nel quadro in basso la stessa ersstv4 dal 1957 al 2016 (lo stesso intervallo di VAT che però termina nel 2013) in nero e VAT pentadale (media mobile su 5 anni) in rosso con i pallini.
    I dati VAT (in gradi C) sono scalati verso l’alto di 0.1 C. Ancora una volta le due curve sono quasi uguali fino al 2001 e poi divergono. E i VAT non sono i brutti e cattivi dati satellitari ma vengono dal sito NODC di NOAA.

    Immagine allegata

    • donato b

      Caro Franco, mentre scrivevo il post, pensavo ai tuoi lavori sulle serie di temperature, alle tante perplessità che abbiamo condiviso analizzando le serie NOAA quando cambiavano mese per mese a causa dei loro algoritmi di correzione ed omogeneizzazione, ai tanti grafici che hai costruito per vedere se la pausa era presente nei vari dataset ed al tuo metodo per individuare i punti di discontinuità del trend delle varie serie. Pensando a ciò non ho potuto evitare di fare una considerazione: tanto noi, quanto Karl ed Hausfather abbiamo sempre cercato nei dati delle regolarità in quanto questo si fa con le misure.
      Alla fine mi sono convinto che, in fin dei conti cerchiamo tutti la stessa cosa: delle regolarità nei dati che giustifichino le nostre ipotesi, per cui noi cerchiamo di individuare un punto di inversione della tendenza, loro una conferma della tendenza. Tanto noi quanto loro quando non troviamo ciò che cerchiamo, che crediamo debba esistere nei dati, cerchiamo di capire perché e se abbiamo sbagliato qualcosa o se l’errore si trova nei dati sotto forma di errori sistematici. Il tutto nella massima buona fede, senza inganno, senza dolo, per puro desiderio di esattezza e precisione.
      .
      Hausfather et al., 2017 ha individuato un metodo condivisibile per cercare di eliminare un possibile bias nei dati e questo è l’elemento più importante del loro lavoro. Probabilmente non sbagli quando scrivi che le loro sono delle semplici premesse, ma ciò non toglie che il loro metodo sia piuttosto affascinante. Il principale pregio del lavoro di Hausfather e colleghi lo vedo nel confronto tra i compositi ed una serie di dati omogenei. L’unico problema è che dati omogenei non ne troviamo e, quindi, siamo costretti ad improvvisare. 🙂
      Tutti coloro che si sono occupati di serie di temperatura hanno visto che intorno al 2000 succede qualcosa in quanto quasi tutte le serie evidenziano un cambio di tendenza. Secondo alcuni questo è un fatto reale, secondo altri è un problema dei dati.
      .
      Con i due esempi che hai portato (il confronto tra i dati NOAA e la serie UAH e quello tra i medesimi dati NOAA e le serie VAT) dimostri che è NOAA che introduce una polarizzazione riscaldante nei dati in quanto è strano che due serie distinte ed indipendenti (UAH e VAT) ci dicono la stessa cosa. Il guaio è che Hausfather e colleghi, come anche Karl e soci, sono convinti che sono le altre due serie ad evidenziare dei limiti dovuti alla polarizzazione dei dati e ciò sulla base di un confronto con serie diverse ed indipendenti di dati.
      Tu mi fai una domanda di cui conosciamo entrambi la risposta, ma ciò non toglie che bisogna confrontarsi con chi la pensa diversamente da noi e cercare di comprendere il loro punto di vista. Alla fine due sono le possibilità: hanno ragione loro, abbiamo ragione noi e, credo, che prima o poi arriveremo alla verità. Io l’accetterò con serenità tanto in un caso quanto nell’altro perché credo nella capacità dei ricercatori di trovare il bandolo della matassa. Per ora non mi sembra che ci siano riusciti, ciò non toglie che Hausfather e colleghi siano partiti con il piede giusto. Se son rose fioriranno. 🙂
      Ciao, Donato.

  2. Caro Donato, come al solito un post approfondito e soprattutto chiaro.
    A conclusione della tua disamina affermi che il metodo usato da Hausfather etal. è più accurato di quello usato da Karl et al. e in questo sei di certo oggettivo, ma a me questa affermazione fa venire in mente un frase che ho letto su WUWT (e che purtroppo non ho approfondito) che diceva che il metodo di Hausfather è “più furbo”, anzi “appena più furbo”, di quello di Karl.

    Tu elenchi, con ottimo “fair play” e delicatezza, i dubbi che ti sono venuti ma alcuni di quei dubbi (tipo la lunghezza della serie di controllo) pesano come macigni e sono in grado inficiare le conclusioni dell’articolo di Hausfather le quali, in realtà, sembrano più premesse che altro.
    Hai ragione a dire che bisogna attendere ancora per mettere la parola fine a questa storia.

    I dati da satellite non sono attendibili perché misurano porzioni diverse di atmosfera rispetto alle SST (o a i dati terra+oceano)? Certo è vero: ma perché i dati UAH scalati di una quantità costante (vedere http://www.climatemonitor.it
    fig.2) riproducono entro +- 0.1 C le temperature globali NOAA, con dentro ERSSTv4, dal 1979 al 2001 (e anche fino al 2003) e poi smettono di somigliare alle temperature terra+oceano che iniziano a salire? Secondo te chi cambia passo e metodo, UAH o NOAA?

    Ciao e continua così: abbiamo bisogno di descrizioni chiare e di capire cosa succede. Franco

  3. Filippo Turturici

    A mio avviso, il problema della “karlizzazione” dei dati non è la polemica, a volte stucchevole, tra pausa e non-pausa. Il vero problema è che, in realtà, i dati che abbiamo in mano, presenti ma anche passati, mancano di affidabilità “assoluta” e vengono continuamente ricorretti ex post: questo anche prima di Karl et al. (Chi si ricorda delle prime grandi correzioni, anni fa, quando il riscaldamento fino agli anni ’40 era praticamente alla pari con quello dagli anni ’70 in poi?) E’ ad es. inutile definire ogni tot l’anno più caldo, 1998, 2005, 2010, oggi 2016, se poi dopo 5, 10, 15 anni verrà ricorretto al ribasso (così però la pendenza della serie, ergo la tendenza al riscaldamento, risulterà più evidente e verranno “cancellate” eventuali pause). Insomma usiamo per produrre scenari “certi”, dati che sono tutto fuor ché certi e stabili (ma è un po’ la scoperta dell’acqua calda).

    Detto questo, io rimango fermamente convinto che le serie termometriche al suolo siano utilissime a descrivere il mondo in cui viviamo (pur con un certo errore). Ma non siano necessariamente le migliori per misurare il c.d. riscaldamento globale (alias cambiamento climatico ecc.) causato dall’incremento dei “gas serra”. A questo scopo, le serie satellitari sono nettamente più adatte, misurando tutta la colonna d’aria: saranno meno precise al suolo, ma sono molto più precise sull’atmosfera in sé. E nelle serie satellitari, la pausa c’è eccome, e non ci si ferma qui. Manca sempre e da sempre, quell’hot spot a media altezza, che doveva essere il marchio distintivo del global warming da CO2…

    • donato b

      Filippo, le tue considerazioni sono condivisibili integralmente. Anche secondo me le serie satellitari danno maggiori garanzie di quelle termometriche, per il semplice fatto che lo strumento di misura è unico, la copertura è quasi completa e via cantando, ma non mi nascondo che anch’esse soffrono di problemi di polarizzazione. Prendiamo per esempio le nuvole. La copertura nuvolosa forma uno schermo che impedisce il rilevamento completo ed integrale della temperatura, per cui crea dei vuoti nelle serie che non sempre siamo in grado di individuare e correggere. Lo stesso dicasi per le boe e per i termometri a terra.
      Il problema non sta nel tipo di misura che andiamo a fare, in quanto tutte le metodologie sono precise fino a prova contraria e le temperature sono corrette fino a che non vengono individuati errori sistematici o grossolani che le inficino.
      Il problema di fondo sta nella pretesa di voler spacciare per certezza assoluta quello che certezza non è. Il problema di fondo è l’ideologia che si appropria di un risultato scientifico elevandolo a dogma. E ciò è quanto, purtroppo, sta accadendo nel dibattito climatico.
      Giusto per fare un esempio, mentre le tematiche climatico-ambientali coprono una percentuale molto ridotta dell’attività di ricerca scientifica, se andiamo a considerare l’argomento dei primi 25 articoli della classifica stilata da una prestigiosa istituzione scientifica, troviamo un numero di pubblicazioni di carattere ambientale-climatico che è sproporzionato rispetto al peso della ricerca ambientale. Ciò testimonia l’atteggiamento quasi morboso che circonda l’argomento climatico-ambientale.
      Ciao, Donato.

    • Filippo Turturici

      Certo che anche le serie satellitari devono essere calibrate, analizzate, ripulite, validate ecc. Chissà come mai, però, per le serie al suolo si dice che gli errori si compensino, anche su griglie da 1500km di lato. Per le serie satellitari, invece, gli errori dovrebbero solo accumularsi a detta di alcuni. A pensar male si fa peccato, ma…

  4. A. de Orleans-B.

    Una messa a punto e una spiegazione notevole, grazie!

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