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Siccità Coldiretta

Sabato 10 giugno 2017 ho avuto la ventura di ascoltare al GR1 delle 13 un’intervista al presidente della Coldiretti che parlava di siccità senza precedenti e di danni miliardari. Tale intervista è stata per me la goccia che ha fatto traboccare il vaso in quanto sono mesi che la coltivatori diretti (che nella sua carta intestata si autodefinisce curiosamente “forza amica del paese”) emette comunicati stampa di catastrofici in cui parla di una siccità dirompente e senza precedenti che produce danni per miliardi di Euro alle colture. Ad esempio l’8 aprile scorso veniva emesso un comunicato stampa dal’emblematico titolo “Pioggia dimezzata (-53%), è allarme siccità – la peggiore crisi idrica da decenni al nord, sul Po come d’estate”, mentre l’ultimo comunicato, ripreso dal giornale di Vicenza afferma quanto segue:

ROMA. L’arrivo del caldo torrido aggrava l’allarme siccità nelle campagne e nelle città con le precipitazioni che in primavera sono risultate quasi il 50% inferiori rispetto al periodo di riferimento dopo un inverno particolarmente asciutto con un deficit idrico del 48%. È quanto afferma la Coldiretti che ha eseguito un monitoraggio lungo la Penisola proprio nel giorno dell’appuntamento del G7 ambiente in Italia.L’Italia – sottolinea la Coldiretti – è a secco e se l’Emilia Romagna ha appena richiesto, al Governo lo stato di emergenza la situazione è preoccupante dal Veneto al Piemonte, dalla Lombardia alla Liguria, dalla Toscana al Lazio, dall’Umbria alla Calabria, dalla Campania alla Puglia fino in Sicilia e Sardegna. Manca l’acqua potabile in molti Comuni mentre nei campi – continua la Coldiretti – la carenza idrica sta compromettendo i raccolti, dagli ortaggi alla frutta, ma anche i cereali e i foraggi per l’alimentazione degli animali.È il risultato di un inverno e una primavera 2017 – precisa la Coldiretti – che si classificano rispettivamente al terzo e al secondo posto tra le meno piovose dal 1800 in cui sono iniziate le rilevazioni del Cnr e gli effetti si stanno facendo sentire sulle coltivazioni, con i danni stimati dalla Coldiretti già in quasi un miliardo di euro per l’anomalie climatiche di un anno pazzo.

Vediamo allora di verificare quali sono i dati che emergono dalle nostre serie pluviometriche 1973-2017 per le 202 stazioni del dataset NOAA GSOD e lo faremo riferendoci all’anno idrologico che ha inizio l’1 ottobre di ogni anno e che è considerato convenzionalmente come il momento in cui iniziano a ricaricarsi le falde dopo la siccità estiva.

In tabella ho riportato le precipitazioni cumulate dall’1 ottobre dell’anno precedente al 5 giugno dell’anno indicato, espressa in percentuale rispetto all’accumulo medio 1973-2016. Come si può vedere, il 2017 non è mai al primo posto per intensità del deficit pluviometrico ed in particolare a livello nazionale è al terzo posto preceduto da 1990 e 1989 e seguito a brevissima distanza da 1974 e 1987, al Centro è al secondo posto dopo il 1989 e a pari merito con 1974 e 2012 mentre al Sud è al settimo posto e al Nord addirittura all’ottavo.

Tabella – Percentuale rispetto alla norma delle precipitazioni cumulate dall’1 ottobre dell’anno precedente (inizio dell’anno idrologico) al 5 giugno dell’anno indicato. Elaborazioni eseguite su 202 stazioni e per il periodo 1973-2017. Sono riportate le 10 annate più siccitose in ordine decrescente.

A corredo di questo commento mi pare utile presentare la carta in cui si mostra la distribuzione territoriale del deficit pluviometrico al 5 giugno 2017 e riferito all’anno idrologico. Da essa si notano alcune zone più soggette al deficit e per le quali occorre un’attenzione particolare da parte delle autorità competenti, partendo comunque dal dato di fatto che non siamo al momento di fronte a un deficit con tempi di ritorno secolari.

Figura – Distribuzione territoriale del deficit pluviometrico riferito all’anno idrologico (che ha inizio l’1 ottobre dell’anno precedente) e aggiornato al 5 giugno 2017. Elaborazioni su dati NOAA GSOD.

Quale morale

Il fatto che la siccità del 2017, per lo meno in base ai dati a nostra disposizione, non sia così drastica come la dipinge da mesi la Coldiretti nei suoi comunicati stampa non è solo un fatto di folclore. Infatti informazioni non corrette creano perturbazioni nei mercati influenzando i prezzi e dunque ingenerando fenomeni che il nostro codice civile definisce di aggiotaggio.

Da ciò l’idea che nel divulgare informazioni relative all’anomalia pluviometrica di una certa annata occorrerebbe quantomeno prudenza e una attenta valutazione dei dati climatici a disposizione. Sottolineo inoltre che con dati tanto variabili da un mese all’altro come le precipitazioni è poco serio fare slalom su mesi e periodi per avvalorare una propria tesi precostituita, perché in tal modo si può dimostrare tutto e il contrario di tutto.

Da ultimo osservo che, essendo i dati sulle anomalie climatiche così importanti a livello nazionale, sarebbe più che mai auspicabile che analisi complessive venissero sviluppate e divulgate da enti indipendenti da interessi di parte.

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Published inAttualità

23 Comments

  1. Paolo Leoni

    Argomento tanto delicato, quanto importante!
    Un errore molto comune è confondere la siccità con la carenza idrica; la prima è legata solo alle condizioni meteorologiche, la seconda è legata all’utilizzo della risorsa idrica. I due termini non sono affatto sinonimi. Per assurdo: su una data area, può cadere anche una goccia di pioggia in tutto l’anno (siccità estrema) ma se non ho bisogno della risorsa idrica, il problema della carenza idrica non esiste.
    Quest’anno abbiamo una marcata siccità, ma non eccezionale (come viene dimostrato chiaramente in questo articolo); mentre, la carenza idrica sembra aver raggiunto -o potrebbe farlo a breve- valori eccezionali.
    Su tutto il territorio nazionale, ma soprattutto sul bacino padano anno dopo anno si cerca di aumentare la produzione agricola; ciò comporta, ovviamente, una richiesta della risorsa idrica via via crescente.
    A parità di deficit pluviometrico, negli anni ’70 si sarebbero registrati “danni” ben minori di quelli attuali; in quanto la domanda idrica era sensibilmente minore di quella odierna. Così come, la siccità storica del 1990 avrebbe oggi “ammazzato” il settore primario nel Nord Italia.

    Fatta questa lunga premessa, ci troviamo di fronte al problema: 40 anni fa disponevamo di una 500 che consumava poco e con pochi litri di carburante, molto lentamente, ci permetteva di raggiungere la nostra meta; nel tempo, abbiamo cambiato auto più volte fino ad arrivare ad una Ferrari che va sì velocissimo, ma consuma anche tantissimo e con lo stesso quantitativo di carburante -pari a quello della 500- non riesce a portarci alla meta desiderata. Pertanto, se abbiamo carburante in abbondanza arriviamo a destinazione; altrimenti, siamo costretti a “pagare” -e molto!- per sopperire ai consumi della nostra fuoriserie.
    Chiaramente, ai passeggeri viene fatto pagare un biglietto più alto…spesso, molto più alto! Maggiorato di: contributi statali, “emergenza siccità”, rialzo dei prezzi nei punti vendita, etc.
    Un “passeggero” potrebbe però affermare: io quest’anno la maggiorazione la pago, ma il prossimo anno bisogna cambiare la macchina e puntare ad un acquistarne una più lenta ma meno “assetata”.

    È vero che una maggiore produzione agricola vuol dire più lavoro, più introiti, etc. Ma è pur vero che -almeno qui in Pianura Padana-, interi campi che quest’anno sarebbero rimasti “asciutti” sono verdi e rigogliosi; così come i canali, colmi d’acqua. Così si rischia -in realtà già accade da un po’- che se non c’è il problema siccità il settore primario (agricoltura) va a gonfie vele; se l’acqua manca, il settore in un modo o nell’altro viene “tenuto a galla” da finanziamenti e rialzi dei prezzi. Chi ci rimette, in questo caso, è il consumatore che è costretto a pagare i prodotti molto di più del normale…pur non notando un’effettiva scarsa disponibilità degli stessi.

    Infine, e concludo, basare le decisioni politiche-economiche-sociali sui soli dati e sulle sole dichiarazioni della Coldiretti è un po’ come concedere l’abbattimento di un bosco per l’utilizzo della legna in seguito alle richieste della vicina segheria: più legna = più guadagni.

    Di questo passo, si rischia di lasciare l’agricoltura -ogni anno più assetata- sempre senz’acqua.

  2. Luigi Mariani

    A futura memoria segnalo un servizio dedicato al caldo e alla siccità andato in onda questa sera sul TG 5 alle ore 20,20.
    Il servizio aveva come elemento centrale un tecnico della Coldiretti con berrettino giallo d’ordinanza impegnato ad illustrare a un giornalista le crepacciature presenti in un campo di frumento, credo nel ferrarese.
    Il fatto è che le crepacciature non sono niente di anomalo per le colture di frumento, colture che non essendo irrigue sono di norma raccolte in coincidenza con l’esaurimento della riserva idrica dei suoli, il che per suoli ricchi di argille espandibili (Smectiti, Montmorillonite) si traduce nella genesi di caratteristiche crepacciature.

    • Luca Maggiolini

      Quel tizio meriterebbe che il suo campo di frumento (sempre che sia suo) venga ben allagato proprio in questo periodo e marcisca tutto!
      Tanto poi chiederebbe lo stato di calamità, perchè le piogge torrenziali – va da sè che è il clima che cambia, e cambia male, e diventa tropicale!!! – hanno rovinato il tutto per colpa della mia auto o del mio frigo…..

    • Alessandro

      è evidente che la gente non sa nemmeno da dove viene e come si coltiva quello che mangia tutti i giorni, stiamo vivendo un momento di storia in cui l’ignoranza e la creduloneria sta prendendo campo e questa fake news delle spaccature nel terreno, ne è la prova!
      Speriamo che almeno smettano di pagare le pensioni così forse la massa di caproni capirà cosa vuol dire lavorare e produrre per sopravvivere, ma sarebbe controproducente per chi invece vuole che il consumatore si imbesuisca per ovvi ritorni di denaro

  3. Angelo

    Riterrei opportuno segnalare il proliferare della vite nelle colture agricole del Nord-Est, con una sostituzione piuttosto evidente della maggioranza dei prodotti. Anche in questo caso parrebbe prevalere una logica di contributi piuttosto che di sistema primario, forse ampliamente saturo in termini di possibile resa del mercato.

    • Luigi Mariani

      Gentile Angelo,
      già sant’Ambrogio si scagliava contro gli agricoltori che anziché pensare a sfamare il popolo coltivando frumento estendevano la coltura della vite, allora come oggi molto più redditizia.
      In ogni caso oggi l’impianto dei vigneti a differenza dei tempi di Ambrogio è regolamentato, nel senso che fino al dicembre 2015 erano in vigore i diritti di reimpianto e da allora sono entrati in vigore le autorizzazioni al reimpianto (per vedere come le due cose funzionano può leggere qui: http://www.terraevita.it/vigneti-dai-diritti-alle-autorizzazioni/).
      Tenga infine conto che oggi siamo i primi esportatori mondiali di vino, per cui la nostra viticoltura è più che mai strategica.

    • Angelo

      Grazie,
      dal’utilissimo link pare che l’incremento debba essere progressivo, a partire dall’1% in più dell’esistente… “eppur si muove” con apparenti percentuali ben diverse!
      In tema di siccità pare che la notizia sia ormai a diffusione virale sui media.

  4. Un commento “a lato” sulla questione di incentivare colture che richiedono meno acqua.

    Mi dicono che da qualche anno alcune risaie nel vercellese e nel pavese hanno iniziato a modernizzarsi verso nuove tecniche di coltivazione che permettono la crescita in asciutto, proprio per la preoccupazione dei coltivatori sulla scarsità d’acqua. Intanto ne approfitto per chiedere a Luigi se gli consta che le cose siano così e in quale proporzione. In secondo luogo, io l’ho appreso da bollettini di ornitologia, settore che è particolarmente preoccupato di questa evoluzione, visto che le zone indicate sono notoriamente un sito di riproduzione primaverile di una grande quantità di uccelli, a partire da svariate specie di airone. Per dire: a volte si fanno cose in nome dell’ambiente che si ritorcono proprio sull’ambiente.

    • luigi mariani

      Fabrizio,
      i distretti risicoli tradizionali (novarese, vercellese, pavese, veronese, ecc.) che si reggono sulle classiche varietà “da risotto” mantengono per lo più la coltura sommersa, il che è fra l’altro utile all’avifauna anche se comporta consumi idrici molto rilevanti. A quest’ultimo riguardo se, come scrivevo ieri, il mais necessita di 200 litri d’acqua per kg di sostanza secca prodotta, il riso in coltura sommersa richiede 1000 litri per kg.
      Confermo inoltre che quanto dicevi tu, e cioè che in molti areali del nord Italia e con nuove varietà si sta affermando il riso in coltura irrigua senza sommersione, in cui il riso viene trattato né più né meno che come il mais, rispetto al quale esprime consumi idrici non molto diversi. In sostanza anche in risicoltura il mondo sta evolvendo.

  5. Guido Botteri

    Ho sentito anch’io il presidente della coldiretti e mi sono infuriato, sia per la sua insistenza sui soldi (che mi pare il suo problema numero uno) sia per la sua ottica decrescista.
    L’agricoltura buona sarebbe quella della zappa (non a caso è stata mostrata in azione), mentre non si è vista una macchina che sia una.
    Ha spiegato cosa fare per avviare un’attività in agricoltura.
    primo: avere dei soldi propri
    (questo dei soldi deve essere un suo assillo);
    poi avere un’idea, possibilmente nel campo delle rinnovabili, per ottenere i soldi (rieccoci) che, per quanto mediati, sono soldi dei contribuenti.
    Sì, insomma, si invita la gente a avviare un’attività improduttiva e fuori dalla storia, tanto un po’ di soldi ce li mettono loro imprenditori agricoli, e altri li ottengono a spese dei contribuenti.

    Ma di fare un’attività che cammini da sola, e crei ricchezza vera, mai, eh?

    • Luigi Mariani

      Guido,
      purtroppo l’obiettivo palese di Coldiretti è quello di promuovere un’agricoltura fuori mercato che vive di finanziamenti pubblici e di prodotti (ovviamente bio) venduti a prezzi da amatore a consumatori imbesuiti da campagne pubblicitarie ad hoc.
      Per capire il processo storico che ha condotto a una simile cultura deteriore invito a leggere:
      – lo scritto denuncia “Federconsorzi: storia di un’onta nazionale” dell’amico Antonio Saltini, pubblicato su Wikisource
      – l’articolo denuncia dell’Espresso “Contadino e milionario: stipendio da record” (http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2015/01/29/news/contadino-e-milionario-stipendio-record-per-il-segretario-coldiretti-1.196726
      per il segretario generale di Coldiretti).
      Luigi

  6. lorenzo

    Forse sarebbe anche ora di smettere di coltivare sempre e solo granoturco in pianura padana…coltura che necessità di ingenti irrigazioni…non pensate?

    Nell’alessandrino ad esempio da un po’ di anni si prova a coltivare le arachidi

    • Luigi Mariani

      Gentile Lorenzo,
      non condivido la sua idea per due ordini di motivi:
      1. il mais è una coltura che vede nel bacino padano uno degli areali più favorevoli a livello mondiale (anche se con la rinuncia ad usare gli OGM abbiamo reso le cose assai più difficili…).
      2. oggi importiamo il 35% dei mangimi zootecnici con cui produciamo i nostri maggiori prodotti da esportazione (i due grana e i due prosciutti di Parma e San Daniele). Pertanto rinunciare al mais oggi sarebbe suicida: che tipicità si può vantare su un prodotto fatto con materie prime che vengono tutte dall’estero?
      Come ho segnalato prima, occorrerebbe gestire e usare meglio l’acqua e soprattutto credere nel fatto che l’agricoltura è fatta per produrre e non per vivacchiare di sussidi pubblici, secondo la strategia che da anni viene pervicacemente seguita dalla “forza amica del paese” e sulla quale oggi curiosamente convergono per motivi di bottega elettorale i partiti di destra e di sinistra.

  7. AleD

    Ma una domanda, che senso ha fare confronti lasciando perdere 4/12 di tutti gli anni? E’ un terzo, mica poco.
    Capisco che siamo nemmeno a metà giugno, ma tanto vale aspettare inizio ottobre, altrimenti il confronto direi che è un “attimo” distorto.

    • Luigi Mariani

      Bè, in agrometeorologia per dare risposte tempestive a situazioni critiche abbiamo bisogno di seguire i fenomeni in tempo reale e a questo punto il confronto non può che essere fatto con serie pregresse omogenee (quelle al 5 giugno degli anni passati).
      Preciso anche che i miei conteggi che ho qui presentato sono sviluppati in modo del tutto volontaristico e senza altro fine che informare in modo corretto il pubblico. Sarebbe il caso che conteggi analoghi (magari più accurati dei miei) li facessero e li divulgassero gli “enti competenti”, che poi sono quelli che paghiamo con le nostre tasse.
      LM

  8. Luca Maggiolini

    Ahhh, vedo che il vecchio e caro “Chiagne e fotte” va sempre di moda alla grande.
    Piangi piangi piangi e qualcosa ottieni, soprattutto se spari alto e dai la colpa all’AGW (contro cui cosa vuoi fare, tu poveraccio…..). Perchè se, ad esempio e giusto per dire una cosa a caso, un 10% lo puoi recuperare con efficienza e manutenzione dei canali/impianti ecc ecc, meglio non dirlo che poi ti tocca farlo. Mentre quel mostro dell’AGW è il jolly per un po’ di soldini a pioggia….ops….

  9. shadok

    Uhm, concordo che deficit di prepitazioni simili si sono verificati anche in tempi recenti, è però da tenere presente che le temperature sono nell’ultimo periodo mediamente sensibilmente superiori rispetto agli anni 70 del secolo scorso e le necessità irrigue quindi superiori … conosco abbastanza la situazione emiliana e butta molto male, gli invasi irrigui sono già ora quasi vuoti…

    • Luigi Mariani

      Shadok, il punto da lei posto è molto importante.
      Se gli invasi sono quasi vuoti e la siccità di quest’anno non è affatto un unicum dobbiamo dedurre che il problema è strutturale e che dunque occorrerebbe intervenire in modo non estemporaneo.
      Lei cita come causa dei maggiori consumi l’aumento delle temperature ed in effetti le serie storiche ci indiano un aumento di 1°C concentrato intorno alla fine degli anni ’80, il quale produce grossomodo un incremento evapotraspirativo che per mais potrebbe essere di 50 – 100 mm (1-2 irrigazioni in più) rusptto alle 4 – 6 che sono la media dell’areale padano.
      Il problema più rilevante è tuttavia un altro: se prendiamo mais, dal 1970 ad oggi le rese ettariali sono raddoppiate (secondo Istat avevamo 4 t/ha nel 1970 e oggi abbiamo 9 t/ha). Tenendo conto che mais consuma 200 liti d’acqua per kg di sostanza secca prodotta, il più che raddoppio delle rese implica il più che raddoppio dei consumi idrici.
      Per far fonte a tale aggravio di consumi si può agire in vari modi, sia riprogettando gli invasi (che spesso sono opere degli anni 20-30 del 900) sia ripensando il sistema distributivo in campo e orientandolo verso sistemi più efficienti (un sistema per scorrimento ha un’efficienza del 40% mentre uno a goccia ha efficienza del 90%), il che richiede però interventi infrastrutturali seri a monte che i consorzi d’irrigazione conoscono bene.
      Sono questi i ragionamenti che mi attenderei da una organizzazione come la Coldiretti, non il “chiagne e fotte” che citava Maggiolini e che osservo sconsolato da anni.

    • Luca Maggiolini

      Mariani, ha colto il punto perfettamente.
      Se ho bisogno di 40 litri per le mie necessità, ma utilizzo un sistema irriguo che ne “spreca” 60, perchè inefficiente, ne deriva che ho bisogno di 100 litri.
      Allorquando la mia necessità sale a 80 ecco che – a parità di sistema – ho bisogno di 200 litri. Se non li ho, FORSE sarebbe il caso di aumentare l’efficienza, visto che le tecniche ci sono. Ecco che quei 100 litri, con un sistema che ne “spreca” solo 10 (o 20), improvvisamente bastano.
      Ma cambiare richiede sforzo, risorse, impegno, anche rinunce: molto più facile protestare perchè “piove meno” che rifare le canalizzazioni.
      Oh, sia chiaro, nessuno dice che sia una cosa banale o semplice o che richieda pochi fondi. Anzi. Ma non è che le opere attuali di regolazione delle acque siano spuntate come funghi gratis e nel giro di un giorno. Oltretutto, e mi ripeto, sta sempre più passando l’idea nella mentalità comune che l’agricoltura reale – e quella ideale cui tendere – sia quella della Fattoria di Nonna Papera, dove tutto cresce bello, sano, abbondante senza sforzo e con Ciccio come manovale. Non è proprio così.

  10. Mario

    La Coldiretti ha detto , oggi, che il 40% dei raccolti è perduto a causa della siccità (almeno secondo il TG5) ???di quali raccolti???

    • Si riferiscono alla raccolta dell’erario che ha introitato più tasse dello scorso anno?

  11. Alessandro

    Il problema nel 2017 è che la popolazione è di 7 miliardi e nel 1989 era di 5 miliardi.

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