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Una cometa all’origine del cambiamento climatico del Dryas recente?

Circa cinque anni fa L. Mariani pubblicò ( qui, su CM) un post dedicato al sito archeologico turco di Göbekli Tepe. Esso sorge nel sud della Turchia, non lontano dal confine con la Siria ed è stato portato alla luce dal gruppo dell’archeologo tedesco K. Schmidt intorno alla metà degli anni ’90 del secolo scorso. L’area fu riconosciuta di interesse archeologico, però, fin dal 1963 a causa della presenza di cumuli di selce prodotti dal deposito degli scarti di industrie litiche preistoriche.

Si tratta di uno spettacolare cerchio costituito da pilastri megalitici decorati da bellissime sculture zoomorfe ed antropomorfe. Il complesso si trovava all’interno di un cumulo di terra alto circa 15 metri dal quale emergevano delle pietre: furono proprio questi affioramenti a incuriosire un pastore che riferì alle autorità la circostanza e innescò la catena fattuale che portò allo scavo del sito.

Nel post di L. Mariani, si commentavano i risultati dello studio di alcuni resti biologici (semi carbonizzati ed altri residui vegetali, per la precisione) trovati nel sito che avevano consentito di datare le origini del complesso megalitico a circa 9500 anni fa. Tale datazione è riferita, però, a reperti biologici trovati all’interno del muro che unisce i pilastri e, quindi, non appare rappresentativa dell’età dell’intero complesso. Le ultime datazioni relative all’epoca di costruzione del manufatto hanno consentito di stabilire la data di nascita di quello che gli archeologi definiscono “primo tempio del mondo” a 11,530 BP ± 220 anni (Dietrich & Schmidt, 2010).

Questa data è molto importante nella storia del clima terrestre, in quanto corrisponde ad un periodo climatico conosciuto come Dryas Recente (Younger Dryas event). Si tratta di un evento molto ben documentato nella stratigrafia geologica del nostro pianeta, durante il quale si registrò una brusca riduzione della temperatura terrestre, un avanzamento dei ghiacciai e l’estinzione di molte specie che costituivano la megafauna asiatica ed europea e che sottopose ad una profondissima pressione anche la specie umana. La presenza nella stratigrafia di anomale quantità di platino in corrispondenza dell’inizio di quel periodo geologico, rendono plausibile l’origine cosmica del cambiamento climatico: un corpo celeste si è schiantato sulla Terra provocando un lungo “inverno” o una mini-glaciazione durata circa un millennio.

Tale ipotesi trova conferma nella “teoria catastrofista” che Clube & Napier enunciarono in un loro articolo del 1980. Secondo questa teoria le comete che stazionano lontane dal sistema solare (fuori della zona occupata dai pianeti, tanto per intenderci) possono entrare all’interno del sistema planetario muovendosi lungo orbite ellittiche molto eccentriche. Circa ventimila anni fa una cometa dal diametro di circa 100 km fece il suo ingresso nel sistema solare e, grazie alle forti azioni mareali del Sole, si frantumò generando pezzi di diverse dimensioni. Il nucleo generò la cometa di Encke, i frammenti più piccoli sono responsabili degli sciami meteoritici noti come Tauridi e Perseidi, quelli intermedi sono i responsabili dei bolidi che si vedono quando l’orbita terrestre li incrocia. Uno dei pezzi di maggior diametro della cometa potrebbe essere stato il responsabile dell’innesco dell’evento del Dryas recente. La successione temporale che ho descritto è compatibile con la data di innesco dell’evento.

Si tratta, come si può vedere, di una bella teoria che spiega un po’ tutto, ma teoria resta. Sarebbe bello se tutta questa ricostruzione trovasse un riscontro in una prova archeologica, magari un bel documento scritto. Purtroppo per noi la scrittura comparve in Europa solo 8000 anni fa: troppo tardi per essere utile per confermare o rigettare la teoria dell’impatto di un corpo celeste utilizzata per spiegare l’origine dell’evento del Dryas recente. Questo si pensava fino a qualche mese fa. Le cose sono cambiate a seguito della pubblicazione sulla rivista Mediterranean Archaeology and Archaeometry dell’articolo

DECODING GOBEKLY TEPE WITH ARCHAEOASTRONOMY: WHATH DOES THE FOX SAY?

di M.B. Sweatman e D. Tsikritsis  (da ora Sweatman et al., 2017).

I due ricercatori hanno concentrato la loro attenzione sulle figure zoomorfe e sulle figure astratte scolpite sulle colonne megalitiche del complesso monumentale. Lo scopo era quello di individuare il significato delle sculture e dei simboli che le circondano: è normale cercare di capire cosa avesse spinto i nostri antenati a disporre le colonne in quel modo ed a scolpire quelle figure e non altre.

Sweatman et al., 2017 parte dallo studio di un particolare pilastro: il pilastro 43 che è rappresentato nella figura che segue.

Fig. 1. In questa figura (elaborata da quella tratta da qui) si vede il pilastro 43: a sinistra l’immagine del pilastro originale, a destra la sua replica custodita nel Museo di Sanliurfa (Turchia).

La parte più interessante del pilastro è quella inferiore (quella coperta nella versione originale). In essa si vede chiaramente una figura zoomorfa che gli autori in modo condivisibile individuano con uno scorpione. Nella parte superiore del pilastro alcuni uccelli di cui quello più evidente potrebbe essere un avvoltoio o un’aquila. Dalle foto non possiamo individuare altre specie animali, ma gli autori descrivono cani o lupi, un serpente o pesce e una piccola figura antropomorfa decapitata. Ai fini del nostro discorso non è importante individuare, però, la specie esatta degli animali rappresentati quanto la loro posizione reciproca. Particolarmente degne di nota le “borse” scolpite nella parte superiore del pilastro e le forme animali rappresentate, ma anche i simboli astratti (sembrano delle V disposte di diritto e di rovescio e incastrate le une nelle altre).

Secondo gli autori questo pilastro rappresenta una data ben precisa (date stamp).

Lo studio di altri pilastri del complesso evidenzia una ripetizione dei simboli di questo pilastro anche se disposti in modo diverso. In particolare suscita interesse il pilastro 3 in cui compare una figura zoomorfa detta volpe e, soprattutto, alcuni simboli apparentemente astratti o rappresentativi di un qualche monile. Essi sono visibili nella fig. 3 allegata più in basso.

Secondo Sweatman et al., 2017 lo scorpione raffigurato sul pilastro 43 costituisce un chiaro riferimento alla costellazione dello Scorpione per cui il complesso di Göbekli Tepe più che un tempio potrebbe essere un osservatorio astronomico ante-litteram. Fondare un’ipotesi del genere solo sulla figura dello scorpione farebbe sorridere chiunque (anch’io mi sono messo a ridere, quando ho letto la prima volta), ma leggendo il resto dell’articolo mi sono reso conto che i ragionamenti degli autori non sono affatto campati in aria. Essi si basano, infatti, su dati di fatto piuttosto convincenti. Procediamo, però, con ordine.

L’idea che i nostri progenitori fossero dei bruti in perenne lotta per il cibo è semplicistica e, secondo me, profondamente sbagliata. Le sculture di Göbekli Tepe ne sono una prova concreta, ma anche i siti della civiltà nuragica (in particolare il pozzo sacro di Paulilatino o Santa Cristina, in provincia di Oristano che io ho avuto occasione di visitare qualche anno fa), pur se posteriori a quello di cui stiamo discutendo di diversi millenni,  testimoniano la complessità di quelle associazioni umane così antiche.

Sweatman et al., 2017 è dell’avviso che il pilastro 43 del complesso di Göbekli Tepe sia una mappa del cielo in una data ben precisa. Vediamo su cosa gli autori fondano la loro ipotesi.

Utilizzando un programma di calcolo in grado di rappresentare le costellazioni nel corso dei secoli, gli autori hanno ricostruito il cielo come appariva da Göbekli Tepe circa 11000 anni fa. La posizione reciproca delle costellazioni in tale ricostruzione appare sorprendentemente simile a quella rappresentata nel pilastro 43. Secondo Sweatman et al., 2017 l’aquila rappresenta quella che oggi conosciamo come la costellazione del Sagittario, l’uccello sulla destra in basso rispetto all’aquila, rappresenta la costellazione dell’Ofiuco (se si dispongono le stelle che formano la costellazione sulla sagoma dell’uccello, esiste una certa corrispondenza e ciò spiegherebbe la particolare conformazione dell’animale), lo scorpione la costellazione dello Scorpione ed il cerchio al centro del pittogramma sull’ala dell’aquila (Fig. 1.) il Sole. Su questo è opportuno, però, soffermarsi un attimo.

Guardiamo per prima cosa come appariva il cielo nell’area in cui si trova il sito archeologico circa 11000 anni fa (ricostruita con un programma di calcolo).

Fig. 2: Coincide con la figura 5 dell’articolo originale e consente di vedere alla sinistra del Sole la costellazione del Sagittario, sulla destra, in basso, quella dell’Ofiuco e in basso, al centro, la costellazione dello Scorpione.

Confrontando i pittogrammi del pilastro 43 si vede come l’avvoltoio assuma una posa (ali spalancate e testa voltata verso la nostra destra) che rappresenta in modo piuttosto fedele la costellazione del Sagittario. Lo scorpione posto sotto l’avvoltoio rappresenta la costellazione dello Scorpione e il piccolo uccello sulla destra l’Ofiuco. Le dimensioni dell’Ofiuco non corrispondono a quelle dell’uccello e le distanze tra le figure non sono in proporzione a quelle tra le costellazioni, ma le posizioni reciproche coincidono (soprattutto la posizione del Sole). Ciò probabilmente deve ricercarsi nelle dimensioni del pilastro che hanno costretto l’artista a deformare la scena. Se proviamo ad ingrandire la figura dell’uccello in basso a destra, come già accennato, vediamo che essa va a sovrapporsi a quella della costellazione e ciò spiega anche la  forma sbilenca dell’uccello scolpito nella roccia.

Gli autori portano anche altri ragionamenti a sostegno della loro tesi, ma per semplicità mi limito a quanto ho già scritto. La principale obiezione che può essere fatta a questi ragionamenti, è che, nel corso dei millenni, altre date corrispondono a questa particolare configurazione delle costellazioni. Sweatman et al., 2017 si è posto il problema ed ha individuato altre tre date alternative a quella privilegiata: 2000 AD, 4350 BC e 18000 BC. Escludendo la prima perché inverosimile e l’ultima perché anteriore di diversi millenni al complesso, restano 10950 BC e 4350 BC: la datazione al radiocarbonio dei resti biologici trovati nelle murature del sito, rende molto più plausibile la data 10950 BC. Gli autori analizzano anche le altre figure presenti sul pilastro, in particolare le “borse” ed altre figure zoomorfe. Le “borse” potrebbero essere dei simboli astratti che rappresentano date fondamentali dell’anno astronomico: solstizi ed equinozi. Le piccole figure animali potrebbero rappresentare le costellazioni in cui si verificano tali eventi salienti. Utilizzando il programma di simulazione del cielo stellato nel corso dei millenni, gli autori trovano un’ulteriore conferma della loro tesi: gli equinozi ed i solstizi nel 10950 BC caddero in costellazioni particolari che potrebbero essere proprio quelle rappresentate nel pittogramma (per semplicità espositiva rinuncio a descrivere i ragionamenti degli autori a sostegno della loro tesi, ma li condivido).

Vista così, nonostante i riscontri scientifici, la cosa sembra, però, una favoletta. Potrebbe trattarsi, infatti, di una pura coincidenza. Utilizzando, però, delle analisi statistiche, gli autori hanno potuto verificare che la disposizione reciproca dei pittogrammi e soprattutto la loro forma, confrontate con quelle delle costellazioni, avrebbe avuto una probabilità di coincidere in maniera causale di 1/5000000. O l’artista preistorico è stato molto fortunato, oppure ha effettivamente rappresentato il cielo di quella zona nel 10950+/-250 BC.

A questo punto ci si chiede come mai quella particolare disposizione delle costellazioni ed il corrispondente periodo temporale, furono reputati talmente importanti da essere immortalati nella roccia. L’unica spiegazione possibile è che in quel momento storico, dovette verificarsi qualcosa di eccezionale e senza precedenti, qualcosa che colpì a tal punto la collettività, da essere assunto ad evento fondamentale nella storia e da tramandare ai posteri.

Analizzando la struttura di Göbekli Tepe, gli archeologi hanno potuto vedere che il sito è stato utilizzato per molte generazioni, probabilmente per millenni. I pilastri che caratterizzano il sito, sono in parte inglobati nella muratura e questo significa che il complesso ha subito vari rimaneggiamenti. Una delle spiegazioni di queste ristrutturazioni deve essere ricercata nelle modifiche del cielo. Le costellazioni non occupano le stesse posizioni, ma esse cambiano la loro disposizione sulla volta celeste nel corso dei millenni. Questo fenomeno è conosciuto come precessione degli equinozi. Nel corso dei secoli il popolo di Göbekli Tepe ha modificato il sito per adeguarlo alle mutate configurazioni celesti: essi conoscevano il fenomeno delle precessioni e lo studiavano. Abbiamo visto che i muri che uniscono i pilastri del complesso risalgono a circa 9500 anni fa. I pilastri risultano certamente precedenti in quanto scolpiti interamente e poi conglobati nella muratura. Sarebbe stato del tutto inutile scolpirli per poi coprirli. Appare logico supporre che essi per lungo tempo restarono esposti alla vista e, solo in un secondo tempo, furono coperti. Possiamo concludere, pertanto, che a Göbekli Tepe le stelle si osservavano molti anni, secoli se non millenni, prima che si costruissero i muri. In questa ottica appare sensato pensare che il pilastro 43 sia stato realizzato molti secoli prima del muro che ora lo contiene in parte, probabilmente in contemporanea con la particolare disposizione delle costellazioni che vi sono scolpite sopra, cioè nel 10950 BC +/-250.

Sempre su questo pilastro fu scolpita una figura antropomorfa con la testa mozzata e diversi serpenti. Entrambi i simbolismi rappresentano la morte, la sofferenza, la distruzione. Dobbiamo dedurne che l’evento corrispondente alla disposizione delle costellazioni sul pilastro 43, sia stato un evento tragico.

Per capire di che tipo di evento si sia trattato, bisogna dare un’occhiata agli altri pilastri, in particolare il pilastro 3 su cui sono riportati dei segni apparentemente astratti.

Fig. 3. Nella figura è visibile una specie di H con una fossetta nella parte intermedia ed una forma circolare incastonata in una falce. Questa figura costituisce la chiave di volta dell’interpretazione dei pittogrammi del complesso monumentale.

Secondo gli autori la H forata rappresenta delle stelle particolarmente importanti e molto luminose, mentre il cerchio e la falce rappresentano l’oscurità. I due pittogrammi accoppiati dovrebbero avere, a questo punto, un significato molto chiaro: un evento drammatico ha oscurato il cielo ed ha impedito di vedere le stelle. Analizzando la posizione dei punti di osservazione nella struttura (enclosure, nel testo originario), la posizione dei pilastri ed i pittogrammi rappresentati sui pilastri, ci si rende conto che il sito di Gobelki Tepe rappresenta un osservatorio astronomico che privilegiava l’osservazione degli sciami meteoritici che noi conosciamo come Tauridi, cioè dei residui della cometa che secondo alcuni studiosi determinò l’evento del Dryas recente.

A questa conclusione ci porta un altro simbolismo che troviamo scolpito sui pilastri: l’immagine di una volpe. Analizzando la successione di alcuni simbolismi zoomorfi, Sweatman et al., 2017, giungono alla conclusione, con un margine di incertezza del 2% che il pilastro sul quale è scolpita la  volpe rappresentava la posizione in base alla quale osservare lo sciame meteorico delle Tauridi che, come abbiamo visto, è legato alla cometa i cui resti avrebbero causato l’evento del Dryas recente.

Come al solito ho cercato di riassumere nel miglior modo possibile un articolo scientifico piuttosto complesso. Spero di esserci riuscito e, comunque, l’articolo è liberamente accessibile.

Su questo sito ci occupiamo di clima e di cambiamenti climatici. Non è una novità per l’essere umano. Se Sweatman et al., 2017 dovessero aver visto giusto, i nostri lontani antenati hanno potuto sperimentare sulla loro pelle un cambiamento climatico feroce che fece piombare l’umanità in un periodo freddo e che causò la morte di centinaia di migliaia di persone (quando la popolazione umana era di circa un milione di individui). Un evento talmente traumatico da essere scolpito nella roccia affinché le future generazioni non lo dimenticassero e fossero pronte ad affrontarlo di nuovo. Un messaggio terribile, ma non disperato, perché l’Uomo era riuscito a sopravvivere al disastro cosmico ed a ricominciare daccapo. Un messaggio che mi sembra profondamente attuale.

E per finire questa lunga maratona (sperando che qualcuno abbia avuto la costanza e la pazienza di arrivare a questo punto) qualche considerazione circa le capacità dei nostri antenati. A prima vista quello di  Sweatman et al., 2017 sembra un ragionamento a posteriori, adattato a delle circostanze fortuite. Non è così perché noi esseri umani tendiamo a sopravvalutare il presente ed a sottovalutare il passato: i nostri antenati erano in grado di elaborare scenari di una complessità unica.

In “L’evoluzione dei miti”  di Julien d’Huy, pubblicato recentemente su “Le Scienze”, è stato analizzato il processo di evoluzione dei miti. Secondo quanto ipotizzato da  Jung i miti avrebbero avuto origini di tipo psichico. Ultimamente questa ipotesi sembrerebbe vacillare. Analizzando alcuni miti diffusi tra popolazioni di diversi continenti, è stato possibile individuare dei caratteri ricorrenti all’interno di essi che l’autore chiama “mitemi”. Si tratta di caratteri tipologici che possono essere paragonati ai geni biologici che ci caratterizzano. Applicando ai mitemi le metodiche utilizzate per studiare la propagazione dei caratteri genetici dai biologi evoluzionisti, d’Huy ha potuto ricostruire “l’albero evolutivo” dei miti scoprendo che essi hanno avuto origine millenni addietro. Tutti i miti relativi alle costellazioni celesti, per esempio, possono essere raggruppate in un albero filogenetico il cui mito originario risale a circa 15000 anni fa. Esso è il mito della Caccia Cosmica in cui un animale, inseguito dai cacciatori, viene trasformato in una costellazione. Anche questo articolo è molto più complesso di quanto sembri da ciò che ho scritto, ma io mi sono limitato ad estrarne il concetto saliente per l’argomento che sto trattando in questo post. Esso serve a dimostrare, infatti,  che già 15000 anni fa e, quindi, prima che a Göbekli Tepe venissero scolpiti i pilastri di cui abbiamo discusso fino ad ora, l’uomo è stato in grado di elaborare concetti assolutamente astratti. In altre parole gli esseri umani fin dalle origini hanno visto nella configurazione delle stelle, la trasfigurazione della loro quotidianità esaltando, fino ad elevarle al livello della divinità, le loro azioni e le loro prede. Come dargli torto? Essi vivevano grazie a ciò che cacciavano e cosa c’è di più sacro di quello che ci consente di vivere?

Alla luce di queste considerazioni l’ipotesi suggestiva di Sweatman et al., 2017 non appare più tanto peregrina. E spiegherebbe un altro mistero antropologico, ovvero l’idea che le comete siano foriere di sventura e che preannuncino morte e distruzione: la distruzione e la morte provocata dalla cometa che innescò l’evento del Dryas recente e che, forse, il popolo di  Göbekli Tepe raffigurò sul pilastro del suo osservatorio astronomico preistorico.

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Published inAttualitàClimatologia

11 Comments

  1. Giordano

    Sono rimasto semplicemente affascinato dall’articolo, complimenti davvero. Mi sto accostando a questo tipo di informazioni grazie ad una serie TV documentario di Netflix che ho visto recentemente. La serie in particolare si chiama “L’antica apocalisse” condotta dal giornalista Graham Hancock che da 30 anni, visitando i siti neolitici di tutto il mondo, urla a tutto il mondo che in tempi antichi esisteva già una civiltà ben più sofisticata di come si pensi ora.
    Io personalmente sento e sono fermamente convinto che sia tutto vero e che ci sia una verità nascosta volontariamente dal mondo degli archeologi tradizionali.
    Questo articolo mi ha dato ulteriori chiarimenti.
    Mi ha sempre appassionato questo tipo di argomenti, mi piace credere che i nostri antenati sapevano sicuramente qualcosa di più di noi, sul nostro mondo e forse anche su civiltà “esterne” al nostro mondo.

    Grazie ancora per il tuo splendido lavoro.

    Giordano, 29 anni

    • donato b.

      Ti ringrazio per l’apprezzamento.
      Dopo i ringraziamenti permettimi, però, qualche puntualizzazione.
      Se hai letto i commenti precedenti al tuo, ti sarai reso conto del fatto che questo articolo e, di riflesso, la fonte da cui è tratto, presenta diverse criticità che sono state messe in evidenza dai lettori e che io condivido per buona parte.
      Non voglio dire con questo che rinnego l’articolo, ma dovendolo riscrivere, sarei meno assertivo e metterei in evidenza qualche dubbio. Lo confesso, anche io mi feci trasportare dall’entusiasmo e dal fascino dell’idea sviluppata dalle mie fonti, pur autorevoli, ma devo riconoscere che pur sempre di ipotesi si tratta e, quindi, da prendere con cautela.
      .
      Circa le conoscenze degli “antichi” concordo con te che esse sono spesso sottovalutate. Di ciò costituisce ottimo esempio la scarsa considerazione di cui gode, agli occhi degli studiosi moderni, il “metodo scientifico” sviluppato in epoca ellenistica. Consiglierei, in proposito, qualora non sia stato già fatto, ovviamente, la lettura del testo “La rivoluzione dimenticata” di L. Russo che si può trovare nelle librerie, pubblicato da diverse case editrici (Feltrinelli, Mondadori, IBS, ecc.).
      .
      Detto questo mi permetto di dissentire dall’idea del complotto degli archeologi per nasconderci qualcosa che essi hanno scoperto. Sono un appassionato del genere cinematografico fantasy, ma mi guarderei bene dal confondere i mondi immaginari che ivi vengono descritti con la realtà. Così come non credo che civiltà aliene, ammesso e non concesso che esse esistano, abbiano visitato il nostro mondo lasciandoci in eredità le loro conoscenze, per puro altruismo.
      Gli scienziati sostengono che esistono molti pianeti abitabili e tra essi potrebbe essercene qualcuno abitato. Personalmente considero estremamente improbabile che le condizioni che si sono verificate sulla Terra siano comuni nell’Universo, per cui non credo che nelle nostre immediate vicinanze (un centinaio di anni luce, almeno) queste condizioni si siano verificate. In caso contrario le avremmo già scoperte o essi avrebbero scoperto noi, perché sono quasi cento anni che inviamo onde radio nello spazio (volutamente o non).
      Spero, inoltre, che queste civiltà aliene non esistano o, se esistono, che siano talmente lontane da noi da non individuarci mai: potremmo fare una pessima fine. Lasciamo che l’incontro tra la nostra civiltà e quella vulcaniana si sia verificato nel mondo di Star Trek . Non ci tengo proprio ad avere un incontro ravvicinato (di qualunque tipo 🙂 ) con qualche alieno, perché sarebbe molto probabile che mi considererebbe una preda. 🙂
      .
      Circa le conoscenze degli antichi non le sopravvaluterei. Apprezzo ed ammiro i frutti materiali ed immateriali di queste civiltà (le piramidi, i nuraghi, i templi greci, gli acquedotti romani, i teatri greci e romani, la geometria euclidea, il metodo tolemaico per calcolare le effemeridi, le conoscenze astronomiche di Ipparco, gli studi di Eratostene ed Archimede, le loro eredità artistiche e filosofiche, giusto per fare qualche esempio), ma non credo che le loro conoscenze possano essere confrontate con le nostre: i livelli sono troppo diversi, a nostro vantaggio, ovviamente.
      Ciao, Donato.

  2. Caro Donato,
    intanto grazie e complimenti per aver portato alla nostra attenzione il problema dell’interpretazione dei simboli dei siti “caucasici”. Io sono molto appassionato della materia, in particolare del periodo tra il terzo e il secondo millennio aC. Mi interessano le connessioni tra l’Anatolia e l’occidente mediterraneo, forse iniziate verso il IV-III millennio (nomi , tecniche metallugiche, sepolture simili sui due lati del Mediterraneo. Mi interessano anche i pozzi sacri sardi e quello vicino a Sofia (che in origine si chiamava Sardi) che differisce da quelli “occidentali” per pochi centimetri.
    Non ho letto gli articoli a cui ti riferisci, ma trasferire evidenti similitudini del III-II millennio al XI-X millennio mi sembra un azzardo che appare più chiaro se si tenta di giustificare un’ipotesi precostituita sulla base di altre considerazioni (che non conosco, non avendo letto l’articolo): Ofiuco è una costellazione insignificante e volerla associare a disegni è peggio che tentare di mettere in relazione le piramidi con la cintura (o la spada) di Orione. L’Aquila è una bella costellazione, ben visibile, ma la precessione su 13 mila anni ha senz’altro sconvolto la sua forma.
    Che nel dryas recente possa essere caduto un meteorite non si può escludere (se ci fossero riscontri geologici sarebbe meglio) ma tutti i periodi glaciali-interglaciali presentano oscillazioni più o meno accentuate, almeno negli ultimi due milioni di anni. Non credo si debba (o si possa) attribuire a un meteorite ogni singola oscillazione.
    Nel ribadire che hai fatto benissimo a proporre l’argomento- e come al solito lo hai fatto in modo molto chiaro- temo di dovermi associare alle perplessità già espresse in altri commenti. Ciao. Franco

    • donato b.

      Franco, ti ringrazio per l’attenzione e prendo atto delle tue perplessità. A parziale difesa degli autori devo precisare che essi hanno tenuto conto della deformazione spaziale delle stelle che formano le costellazioni nel corso dei millenni, attraverso l’utilizzo di Stellarium. M. Rovati ha sottolineato come il programma generi soluzioni piuttosto approssimative e ne ho preso atto, ma il confronto viene fatto tra le figure animali e la disposizione delle costellazioni come appariva 11000 anni fa.
      In ogni caso quella illustrata nel post è solo un’ipotesi e dalle critiche che sono emerse nei vari commenti, mi sembra che, a parte la mia infatuazione 🙂 , sia piuttosto debole.
      E’ il caso di prenderne atto anche se, nel mio caso, con un po’ di dispiacere. 🙂
      Ciao, Donato.

  3. donato b.

    Questa volta è semplice rispondere perché le considerazioni sono comuni a tutti gli interventi. 🙂
    L’ipotesi dell’impatto di un corpo cosmico con la Terra come causa dell’evento del Dryas recente, è in campo da diversi decenni e sembra essere piuttosto probabile. Questo può essere considerato un dato di fatto (da un punto di vista probabilistico, ovviamente).
    Ammesso che l’impatto abbia dato origine ad un lungo inverno globale, appare evidente che la cosa non possa passare inosservata. Se succedesse oggi tutti ne saremmo coinvolti e tutti lo ricorderemmo con grande partecipazione.
    Tanto per fare un esempio io il pomeriggio del giorno 11 settembre 2001 ero intento a verniciare il balcone di casa, quando mia figlia undicenne mi comunicò che un aereo aveva colpito una delle torri gemelle: le dissi di non preoccuparsi perché erano progettate per resistere all’urto di un piccolo aereo e continuai a dipingere la ringhiera. Dopo un po’ risalì e mi disse che un secondo aereo aveva colpito l’altra torre. Posai il pennello e la vernice, mi lavai e scesi giù: l’evento fu talmente eclatante che ricordo anche i dettagli più minuti a distanza di oltre quindici anni.
    Stando a quanto leggo in giro, la stragrande maggioranza del genere umano che ha vissuto quello che successe quel maledetto giorno, manifesta le mie stesse sensazioni: il crollo delle due torri a seguito dell’impatto di due aerei di linea è diventato una pietra miliare temporale comune a buona parte del genere umano.
    Credo che un evento come quello descritto nell’articolo non poteva passare inosservato a chi dedicava parte della propria vita ad osservare la volta celeste. Che la cosa non fosse poi tanto inusuale lo vediamo nel fatto che le costellazioni sono state create dall’intelletto umano in epoca antecedente. E si trattava di intelletto di cacciatori raccoglitori come quelli che hanno affrescato le grotte di Altamira in Spagna o di Lascaux in Francia diversi millenni prima che venisse edificato Göbekli Tepe.
    .
    Credo che ormai si sia capito che la tesi sostenuta nell’articolo mi intriga, appassiona ed affascina, per cui il mio è un giudizio un po’ parziale, dettato anche dalla sfera emotiva del mio cervello (ogni tanto dobbiamo pur dare spazio alle emozioni, che diamine). 🙂
    .
    Ciò premesso, mi rendo perfettamente conto che da un punto di vista rigorosamente razionale e logico, la tesi non è stata dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio, per cui accetto tutte le critiche che sono state avanzate. E’ giusto che sia così altrimenti che scettici saremmo? 🙂
    .
    I tanti condizionali che ho utilizzato nel post ( a partire dall’interrogativo del titolo) sono testimoni del fatto che si tratta di un’ipotesi affascinante, ma che non risolve del tutto il problema e credo che nessuno sarà mai in grado di risolverlo. Ciò non toglie che gli autori hanno ben argomentato la loro tesi circa il significato del complesso di Göbekli Tepe.
    .
    Secondo le tesi più condivise, esso è un tempio e le figure rappresentate sono dei totem con chiaro significato religioso e simbolico. La spiegazione alternativa non mi dispiace: considerando la quantità di materiale che ho dovuto consultare per scrivere il post e le cose che ho imparato, ha comunque avuto un effetto positivo . 🙂
    Ciao, Donato.

    • Maurizio Rovati

      Caro Donato, a me manca del tutto, e forse perché non ho dato l’interpretazione giusta, il riferimento delle figure alle costellazioni. In altre parole mi pare che le immagini non rendano conto né della posizione né della forma delle costellazioni. Ho usato anch’io Stellarium (che è inaffidabile a quella data ma indicativamente dovrebbe andar bene) per simulare il cielo di 11000 anni fa con la Polare lontanissima dal Polo per effetto della precessione, ma non riesco a far paragoni che abbiano senso rispetto alle immagini scolpite che ritengo siano riferite a qualche aspetto della vita diverso dalla rappresentazione del cielo.

    • donato b.

      Caro Maurizio, le tue obiezioni sono condivisibili. A difesa della tesi esposta dagli autori dell’articolo vorrei sottolineare quanto essi scrivono nell’appendice. In questa appendice viene decritto il metodo statistico che essi utilizzano per stabilire il grado di affidabilità della loro interpretazione dei bassorilievi di Göbekli Tepe. Nella tabella 1 sono riportati gli schemi assunti per le costellazioni ed il grado di affidabilità della corrispondenza tra lo schema della costellazione ed il bassorilievo.
      E’ riportato anche l’algoritmo utilizzato per il calcolo. Non è molto complesso ed utilizza un po’ di calcolo combinatorio. Il problema è stato posto nel modo seguente: qual è la probabilità che una qualsiasi disposizione dei simboli animali, diversa da quella della configurazione calcolata con Stellarium, abbia una corrispondenza migliore con quella visibile sul pilastro 43?
      Il calcolo restituisce una probabilità di 1/5000000: è molto piccola per cui gli autori accettano per verificata la loro ipotesi e cioè che la configurazione delle costellazioni calcolata con Stellarium e quella visibile sul pilastro 43, siano la migliore corrispondenza possibile.
      Io non ho ripetuto il calcolo e non ho fatto simulazioni con Stellarium, per cui accetto la tua critica circa l’affidabilità delle ricostruzioni delle posizioni delle costellazioni e prendo atto dell’approssimazione del risultato ottenuto dagli autori. In merito all’altra tua obiezione (la sovrapposizione delle stelle con le figure dei bassorilievi) in linea di massima concordo. Teniamo, però, presente che vedere nel cielo stellato una forma animale o umana richiede una certa dose di fantasia per cui dobbiamo dare atto che il grado di oggettività nel confronto tra schema delle stelle e figura animale non può essere assoluto.
      Ciao, Donato.

  4. Luigi Mariani

    Caro Donato,
    grazie per i molti spunti di riflessione presenti nel tuo articolo. Di Gobekli tepe apprezzo moltissimo il grande realismo con cui sono resi gli animali che come sai presso gli antichi rappresentavano dei totem e cioè esseri dotati di significato simbolico particolare per una persona, un clan o una tribù (un pò come accade ancor oggi nel palio di Siena). Da qui potrebbe essere derivata la necessità di raffigurare gli animali sulle mura del tempio megalitico. Faccio invece fatica ad associare i simboli degli animali con la posizione dei corpi celesti particolari, anche se non posso in assoluto escludere tale eventualità. Peraltro considera che il tempio fu eretto da popolazioni di cacciatori – raccoglitori tanto floride da potersi permettere una simile innovazione, per cui il fatto che l’edificazione sia accaduta in un periodo di carestia causato dalla caduta di una cometa mi pare poco probabile.
    Circa infine l’origine dei miti, il mito del paradiso terrestre presente in molte culture viene da taluni fatto addirittura risalire a un evento critico costituito da una lunga fase arida che interessò gli ominidi nostri progenitori oltre un milione di anni orsono sostituendo le foreste africane con enormi savane ove l’uomo poteva divenire perda dei gradi carnivori con facilità. Dalla vita in savana derivarono non solo la postura eretta, la visione frontale e la mano con pollice e indice contrapposti che sono alla base della nostra civiltà ma anche l’archetipico pessimismo di cui spesso anche qui ci lamentiamo.

  5. L’archeoastronomia è affascinante… ma temo poco probante. 🙂 Penso che sia possibile formulare teorie consistenti, ma difficilmente queste supereranno lo stato di indizio. Infatti, credo che sia giusto quello che scrivi un fondo sui miti, e che non dobbiamo sottovalutare le capacità di certe culture antiche… ma d’altro canto in passato ho letto tesi archeoastronomiche affascinanti, sostenute su passaggi logici di simile fattura, che però arrivavano a tesi sconclusionate e non supportate da altre considerazioni (come https://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_della_correlazione_di_Orione).

    È vero che in questo caso ci sono concordanze con fatti provati dai dati… cioè sappiamo che c’è stato questo Dryas recente, ma quanto la testi archeoastronomica è inconsciamente ricostruita a posteriori? Sarebbe interessante vedere l’approccio opposto: una tesi archeoastronomica che porta ad una scoperta successivamente confermata da altre prove (come un mutamento climatico precedentemente non noto).

    Ma avviene sempre il contrario.

    Per il resto, Donato, complimenti per la consueta capacità di sintesi e di divulgazione.

  6. roberto

    Molto interessante. Complimenti per la sintesi fatta.

  7. Guido Botteri

    Ti ringrazio per questo ottimo articolo.
    L’ipotesi è affascinante.
    Personalmente però, sarei un po’ perplesso.
    Non siamo, mi sembra, di fronte ad un evento unico, che possa essere spiegato da un’unico meteorite, caduto in un particolare momento storico.
    Dovremmo forse pensare a più eventi, ripetutisi nel tempo?
    Pur non potendolo escludere, non mi convince.
    Questo non toglie che quei disegni non possano essere davvero la rappresentazione della mappa dei cieli dell’epoca.
    Che i nostri antenati non fossero dei bruti interessati solo a mangiare e alla sopravvivenza, come forse ci vorrebbe qualcuno oggi (i decrescisti) questo mi sembra evidente, e il loro forte interesse per l’astronomia mi pare più che sufficiente per giustificare una rappresentazione della posizione delle costellazioni.
    Tenendo però conto che nella vita di un uomo migliaia di anni sono un periodo immenso, e che gli altri eventi potrebbero essere stati troppo lontani per la vita di un uomo, credo che l’idea che hai così bene espresso di un messaggio relativo ad un evento multiplo, che però possa essere stato vissuto come singolo, nella memoria degli uomini dell’epoca, mi pare che possa rimanere in piedi.

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