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Trasformazione e Declino della Stampa Mainstream

C’è stato un tempo, non troppo lontano, in cui i giornali erano diversi tra loro. Al lettore era data la possibilità di scegliere tra una varietà di quotidiani o settimanali più o meno in linea con le sue idee politiche, la sua concezione della società, la sua fede religiosa o, semplicemente, le sue abitudini. Ché difficilmente chi aveva letto un quotidiano per vent’anni lo abbandonava per la concorrenza, analogamente a quanto avveniva con i partiti politici, del resto. Andare in giro con un certo quotidiano sotto il braccio, a quel tempo, diventava un tratto distintivo inequivocabile, un vero e proprio biglietto da visita.

Sembrano passati secoli, invece si tratta appena due o tre lustri. Una quindicina d’anni in cui è cambiato tutto. I giornali che erano “di sinistra” oggi sono globalisti, interventisti, filo-americani (quando governano i democratici), cristianofobici, fondamentalisti verdi, anti-russi e vicini alle posizioni dei grandi gruppi bancari. E quelli “della borghesia”? Praticamente identici a quelli un tempo “di sinistra”. Con la differenza che la borghesia non si sa neppure cosa sia, e ammesso che esista ancora, è una specie in via di rapida estinzione. Proprio come la classe operaia, del resto.

E quindi? Cosa sono diventati i giornali di oggi? E chi rappresentano veramente? Sono domande difficili ma ineludibili, alle quali si proverà a rispondere in questo e in altri articoli sull’argomento. Argomento che è comunque interessante per chi si occupa di clima, perché anche il climatismo, il catastrofismo e il salvamondismo, dall’essere tratti distintivi ed esclusivi della stampa “di sinistra”, hanno finito per diventare parte integrante dell’armamentario globalista di tutta la stampa mainstream.

La rana nella pentola

Ci si chiede come sia stato possibile che il lettore di un giornale 15 anni fa in prima linea nella lotta contro la globalizzazione, si sia ritrovato a leggere oggi un quotidiano con lo stesso nome che considera il globalismo la soluzione a tutti i mali del mondo. O che il lettore di un giornale un tempo filo-americano senza se e senza ma, oggi si ritrovi a leggere editoriali pieni di insulti indirizzati al Presidente degli Stati Uniti o di pippettoni verdi salvamondisti che erano un tempo esclusivo appannaggio della “concorrenza”.

Il punto è che tanta gente non se n’è nemmeno accorta. Proprio come la rana nella pentola: se la butti nell’acqua bollente lei salterà fuori istantaneamente. Se la metti nell’acqua fredda, lei se ne starà buona, si godrà il calduccio, e quando si accorgerà che l’acqua è troppo calda, sarà troppo tardi per scappare. Così è stato per i lettori di certi giornali: molti di loro non se ne sono nemmeno accorti, di leggere qualcosa che dieci anni prima gli avrebbe provocato conati di vomito. E continuano leggerli quei giornali, e si ritrovano cucinati a puntino, come la rana, ma in salsa globalista. Tanti altri lettori, invece, si sono accorti in tempo del cambiamento e sono saltati fuori dal pentolone di fronte alle prime avvisaglie del “nuovo corso”, come raccontano, spietati, i dati sulle vendite dei quotidiani.

Un monocolore mediatico

Resta il fatto che il mondo dell’informazione è cambiato, completamente. E che la stampa mainstream è oggi sostanzialmente monocolore, e monocorde. Porta i colori smorti e confusi di un ambizioso super-governo mondiale, fatto di temi adattabili a qualsiasi paese e in massima parte collocabili nel filone della politica liberal americana: globalismo, ambientalismo, salvamondismo, climatismo, politically-correct, gender, sincretismo, cristianofobia, russofobia, melting-pot, rivoluzioni colorate, guerre democratiche. Armamentario che nel vecchio continente si arricchisce di un ingrediente autoctono: la germanofilia.

Nonostante le tesi complottiste abbondino in materia, l’omogeneizzazione della stampa mainstream non appare come un fenomeno teleguidato, ordito da una spectre internazionale con ambizioni di dominio globale. Piuttosto, si configura come un naturale e spontaneo allineamento di interessi tra gruppi editoriali omogenei dal punto di vista delle strategie delle rispettive proprietà. Del resto il fenomeno dell’accorpamento dei media in grandi gruppi editoriali controllati da poche mani, e molto forti, non nasce certo oggi visto che è osservato e studiato da almeno una ventina d’anni a questa parte.

Quel che è certo, è che il processo di accorpamento e concentrazione dei gruppi editoriali, nato a seguito di una naturale esigenza di business, ovvero di razionalizzazione dei processi e ottimizzazione delle risorse, ha portato ad un inevitabile cambiamento nella funzione del giornale stesso.

Domanda o Propaganda?

Un tempo i giornali erano dei semplici strumenti per fare profitto. In linea con il principio della domanda e dell’offerta, gli editori andavano a occupare nicchie (o praterie) per poter piazzare il loro prodotto, in base ai gusti dei potenziali acquirenti. Oggi non è più così. In molti casi le proprietà dei giornali sono riconducibili a entità estremamente ricche e altrettanto influenti. Talmente ricche e influenti che fa sorridere l’idea che le stesse proprietà si accontentino di usarli per realizzare profitti (quando va bene) dell’ordine di qualche milione di dollari.

Un caso emblematico è offerto dal Washington Post, comprato nel 2013 per 250 milioni di dollari dal secondo uomo più ricco del mondo. Il giornale in questione vale all’incirca lo 0.3% del patrimonio del proprietario. Se questa ricchezza non è frutto del caso, bensì delle indubbie e straordinarie capacità imprenditoriali del signor Bezos, è lecito ritenere che l’acquisto del giornale abbia un significato strategico per la sua azienda e per i suoi interessi. E che quindi il giornale sia uno strumento utile a formare l’opinione pubblica e a difendere gli interessi della proprietà, piuttosto che un prodotto da vendere per realizzarne direttamente un profitto.

Ben inteso, la cosa è assolutamente legale, legittima e funzionale in un’ottica imprenditoriale. La disfunzionalità, semmai, sta nel fatto che i quotidiani mainstream di tutto il mondo scopiazzino gli articoli del Washington Post presentandoli come espressione di un giornalismo “imparziale”. La spiegazione è semplice e naturale da un punto di vista imprenditoriale: lo fanno perchè le loro proprietà condividono gli stessi interessi, molto semplicemente. A prescindere dai confini geografici, dalla storia o dal retroterra culturale e sociale dei loro lettori in tutto il mondo. In fondo, se si chiama globalizzazione una ragione dovrà pure esserci: parliamo della globalizzazione degli interessi di una élite, prima di ogni altra cosa.

Informazione vs. Formazione

Ad ogni modo, una cosa è chiara: da mezzi di informazione a disposizione dei lettori, i grandi media del mainstream sembrano diventati strumenti di formazione del lettore stesso: trattano sostanzialmente gli stessi temi in modo ossessivo con il fine, nemmeno troppo celato, di educare il lettore piuttosto che informarlo. E sembrano in apparenza disinteressati alla necessità di realizzare un profitto. Solo in apparenza, però, perché l’uso propagandistico e pubblicitario di un mezzo di (in)formazione può fruttare guadagni molto maggiori per la proprietà di quanti se ne possano ottenere dalla vendita del prodotto stesso. È proprio questa la chiave di lettura della metamorfosi in atto nel mondo dell’informazione planetaria.

I meccanismi che sottendono all’evoluzione dei grandi gruppi editoriali sono gli stessi, sia per i media mainstream che per le mosche bianche della grande informazione non-mainstream. Persino Breitbart, unico caso di grande news-network libertario e criptonite del mainstream di mezzo mondo, si giova di importanti contributi economici da parte del magnate americano Robert Mercer. Il punto è che la quasi totalità dei media di largo consumo sono sulla sponda opposta, quella del mainstream, profondamente liberal e sostanzialmente ispirata (quando non direttamente legata) agli interessi imprenditoriali dei veri dominatori della finanza mondiale: i colossi dell’high-tech, a loro volta inevitabilmente connessi con il mondo delle grandi banche di investimento.

E siccome il brand dell’high-tech si pasce di fondamentalismo ambientalista, salvamondismo e climatismo, questo spiega come mai questi temi siano dominanti su tutti i media del mainstream. Alla fine della fiera, climatismo, catastrofismo e salvamondismo sono una pura e semplice forma di marketing, mediata proprio attraverso i mezzi di informazione proprietari: “Come puoi leggere sui media autorevoli, il mondo va a scatafascio e moriremo tutti di caldo per colpa della CO2 o annegati per l’innalzamento dei mari. Se vuoi salvarti dall’annegamento e dall’arrostimento e giocare a nascondino con l’orso bianco tra cumuli di neve candida, compra i miei prodotti verdi ed eco-compatibili. E compra le mie azioni, piuttosto che quelle dei rovinamondo. E soprattutto, vota per i politici che difendono i miei interessi”.

Pentole e coperchi

Il rovescio della medaglia di una strategia apparentemente perfetta, è che buona parte dell’editoria è in crisi proprio in virtù della strategia stessa, ovvero per la mancanza di prodotti che soddisfino una domanda di informazione alternativa lasciata deliberatamente insoddisfatta dai grandi gruppi editoriali semplicemente perché non funzionale ai loro interessi primari, ovvero proprio quelli non-editoriali. Col risultato che il fondamento stesso dell’economia di mercato, ovvero il rapporto tra Domanda e Offerta, viene del tutto ignorato nel nome di un’illusoria  sicurezza nei propri mezzi e di una fiducia illimitata nelle proprie strategie. È un fenomeno che gli americani chiamano “groupthink“: “pensiero di gruppo“. Mentre i nostri nonni direbbero, più prosaicamente, che i grandi strateghi in questione hanno fatto le pentole, ma non i coperchi.

Il conto, salatissimo, non ha tardato a presentarsi.

Suicidio di Mass(medi)a

La stampa mainstream, qualche anno fa, compatta come una testuggine romana, inneggiava trionfante al “ruolo di internet” nelle rivoluzioni colorate che essa stessa sosteneva con enfasi militaresca ed entusiasmo adolescenziale. La solfa era che “i popoli” si rivoltavano perché “grazie a internet” potevano informarsi e liberarsi dal giogo della propaganda dei regimi. Sorvolando sull’esito in gran parte assai poco democratico di quelle rivoluzioni, il ragionamento della grancassa dell’informazione mainstream in apparenza filava: la gente oggi si informa attraverso altri canali, e i regimi fanno fatica a gestire il dissenso.

In un beffardo gioco di specchi, però, i media del mainstream non si rendevano conto che la fine dei vituperati regimi stavano per farla proprio loro. Proprio la disponibilità di informazione alternativa su internet, infatti, ha trasformato il presunto uovo di Colombo in una frittata: messo di fronte all’evidenza di una stampa tanto uniformata quanto inutile, il lettore le informazioni se l’è andate a cercare altrove: nella galassia di fonti alternative disponibili online. Galassia che include certamente tante patacche ma almeno altrettante gemme preziose, di cui il lettore si innamora e che non abbandona più.

Comprensibilmente in preda al panico per la tardiva realizzazione di essere diventata essa stessa vittima dello strombazzato progresso tecnologico, alla stampa mainstream non è restato altro da fare che accusare l’informazione non-manistream di essere falsa, di produrre fake news. È da questa esigenza che è partita la campagna sulle fake news. Campagna divenuta martellante e disperata, dopo la drammatica constatazione che, nonostante un dispiegamento formidabile di media del mainstream, gli elettori hanno disobbedito clamorosamente al volere degli editori, in occasione della Brexit e soprattutto delle elezioni americane.

Il goffo tentativo del mainstream di imputare il fallimento “formativo” dei loro media al proliferare incontrollato delle fake news è tuttavia naufragato rovinosamente in un diluvio di bufale prodotte dal mainstream stesso, e risolto in alcuni casi in un ripiegamento doloroso e umiliante, in smentite pubbliche quando non in vere e proprie confessioni di tarocco e di malafede da parte di direttori di networks di fama mondiale. Cose di cui nessun media del mainstream, ovviamente, si è curato di informarvi.

Lo faremo noi, nelle prossime puntate di un viaggio sul viale del tramonto dell’informazione mainstream. Viaggio, o meglio, via crucis che si articolerà in diverse tappe, la prossima delle quali sara dedicata proprio al tema delle “fake news”.

 

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Published inAttualità

36 Comments

  1. Luca Barbieri

    Innanzitutto complimenti per la disamina, che mi trova totalmente d’accordo.

    L’unico punto su cui mi trovo a dissentire è la presunta innocenza dei giornalisti e dei media dove pubblicano:
    si attribuiscono a incompetenza e dabbenaggine tutta una serie di strafalcioni e bufale,
    mentre invece a me appare evidente la premeditazione:

    proprio di recente vari quotidiani on line (fra cui i principali !) si sono esibiti in una nuova strategia di “impaginazione” dinamica, che potremmo definire la versione “hard core” del del cosidetto “click Whore”.

    per chi non è riuscito a seguirmi 🙂 esemplifico:

    principale quotidiano italiano, ore 08:00 c.a.
    primo articolo in evidenza:
    “tizio è sicuramente colpevole non ha scampo, deve pagare”

    stesso principale quotidiano italiano, ore 13:00 c.a.
    4 articolo nella lista:
    “tizio è stato accusato di non aver correttamente eseguito il proprio dovere, la magistratura ha aperto una inchiesta”

    sempre il solito principale quotidiano italiano, ore 18:00 c.a.
    trafiletto “da qualche parte” :

    “fonti ANONIME su internet riferiscono di presunte irregolarità , la magistratura smentisce indagini in corso”

    come ? non ci credete ? la prima pagina è sempre accessibile a tutti, controllate pure in futuro.

    ma ovviamente chi legge solo la notizia delle 8 poi cosa penserà successivamente ?

    • donato b.

      Concordo. Purtroppo funziona così anche con altri media: si strilla la notizia sensazionale e poi si tacciono o si riportano in altre parti meno evidenti della pagina gli sviluppi futuri che, casomai, smentiscono il lancio iniziale .
      Ciao, Donato.

  2. Guido Botteri

    Già molti anni fa mi accorsi del copia-traduci-incolla.
    Ma per tradurre non serve solo conoscere la lingua; ancora più importante è conoscere la materia.
    E quando non la conoscono tirano fuori strafalcioni.
    Per capirci, tutti sappiamo cosa sia un hot-dog, ma se il traduttore non lo sapesse, cosa dovrebbe scrivere, cane caldo?
    Così vedevo articoli tecnici dove termini tecnici inglesi non venivano tradotti, pur esistendo nella nostra lingua, magari perché il traduttore non li conosceva (i termini in italiano).
    Se non conosci la materia non puoi fare una buona traduzione.

    E questa è anche una ragione per cui la lingua inglese sta invadendo quella nostra, oltre al fatto di godere di un sapore esotico e di superiorità, come quando invece di “riunione”, diciamo “meeting” e cose del genere.
    Si diventa di categoria B anche così.

    Un’ultima considerazione, credo che tutte le persone che abbiano un cervello indipendente e in uso, si siano accorte della disarmante uniformità dei servizi giornalistici.
    E se l’informazione è tutta uguale, vuol dire che.. no, non lo dico, non ce n’è bisogno.
    Aggiungo solo che una volta i tg erano faziosi, ed era evidente; ma ora sono molto, molto, molto peggiorati.

  3. winston diaz

    Secondo me i mass media di oggi inseguono disperatamente l’opinione pubblica, piu’ che formarla.

    Poi, accade che l’interazione fra l’opinione pubblica e l’informazione tende naturalmente all’esagerazione isterica di un solo aspetto della realta’, quello di cui parlano tutti e che incarna la diceria e la mania del momento (di solito un “capro espiatorio”, che funziona bene al suo scopo sono quando e’ unico e ben definito), e si va avanti cosi’ finche’ non succede qualcosa di piu’ o meno traumatico (puo’ bastare anche il “battito d’ali di farfalla”) che “cambia il corso del fiume” sulla base di una nuova mania e un nuovo capro espiatorio.

    Per quanto riguarda il business che controlla la stampa, non gliene importa niente di quale sia il mainstream del momento, gli importa solo che ce ne sia uno e di riuscire a trasformarlo in possibilita’ di investimento e di guadagni.

    Viviamo da un secolo nella societa’ di massa, in cui sono le masse le protagoniste della storia.

    Adesso che bene o male abbiamo la pancia piena e viviamo nell’opulenza a farla da padrone e’ il business eco-verde-ambientalista, se cambiasse la situazione potete scommetterci che la narrazione prevalente muterebbe contenuto nello spazio di un mattino, e la narrazione precedente verrebbe incolpata di ogni male.

  4. Maurizio Rovati

    Penso che sia rimasto un solo giornalista, degno di questo nome, in italia e si chiama Toni Capuozzo, spero vivamente di non sbagliare per eccesso.

    • Massimo Lupicino

      Caro Maurizio, per fortuna sono molti di più. Tanti vengono ostracizzati per essere sostituiti con firme più malleabili. Il nuovo corso non ha bisogno didi grandi giornalisti, ma di amanuensi 2.0, esperti di copia e incolla, traduttori o cantori del Sistema. Ci sono delle belle oasi comunque, che non meritano di essere mescolate al resto del blob. Chi cerca, trova 🙂

    • Maurizio Rovati

      Beh, certo, almeno lo spero, ma tra quelli più noti, davvero non mi viene in mente nessun altro.

  5. Sergio

    La mia speranza è che quando, spero tra massimo un decennio, ci renderemo conto che AGW, CO2, catastrofisti, salvamondisti e COP 1, 21 o 30 sono tutte stronzate, forse capiremo pure che moltissime altre “verità” sono delle energie stronzate e forse, dico forse, apriremo gli occhi e la mente. L’andamento del clima non lo possono cambiare, neanche con tutto il potere e i soldi che hanno, e sarà il clima che li sbuggiarderà tutti quando sarà chiaro e inequivocabile se ci arrostiremo o ci raffredderemo. Io dal canto mio, come ripeto sempre, sono seduto sulla riva del fiume in attesa di veder passare i cadaveri di tutte le stronzate che ci stanno proponendo.

  6. Andrea Beretta

    Caro Massimo,
    l’analisi di per sè è condivisibile; secondo me però accanto alla malafede c’è anche un’ignoranza crassa, e un’impreparazione di fondo dei “nostri” giornalisti (potremmo aprire una discussione infinita se dicessimo che questa ignoranza è diffusa a tutti le professioni, e probabilmente dovuta alla consapevole devastazione della pubblica istruzione…quindi la chiudo subito, questa discussione): perciò, come a scuola quando non si aveva studiato, veniva più facile copiare il compito del vicino di banco, piuttosto che improvvisare una risposta; così oggi i giornalisti che non sanno nemmeno definire il concetto di percezione (che è qualcosa di intrinsecamente soggettivo), fanno prima a copiare dal giornale di grido la notizia che in una certa località s’è toccato il record totale di 42° gradi PERCEPITI, non accorgendosi nemmeno del controsenso che stanno dicendo. Insomma, copiare dal Washington Post in fin dei conti è l’unica cosa che i giornalisti d’oggi possono fare per tirar fuori una notizia; non solo per la loro malafede, ma anche per pigrizia e ignoranza.

    • Massimo Lupicino

      Andrea non posso che concordare con te. Tutto si tiene: se jl fine è la propaganda allora la qualità non serve. Perché spendere soldi se le notizie del mainstream le puoi scopiazzare dalle solite veline o inventarle di sana pianta sotto la forma di fake news? Hai bisogno di grandi firme per questo? Ti serve un Sartori? O un Ricolfi, tanto per fare due nomi tra i tanti? No non ti servono. Basta qualche stagista sottopagato.

    • Alfredo

      Scusate se mi intrometto nello scambio, ma solo per dire che Andrea Beretta ha perfettamente colto nel segno, a mio avviso.

  7. @Alfredo

    Eccellente osservazione e accostamento! Però non sono schizofrenici: dieci anni fa pensavano di avere le marionette in mano e che la resistenza sarebbe stata breve. Dopo dieci anni… people, those bastards, si sono resi conto che i piani erano troppo ottimisti.

    @DarioC

    Non so tu di che generazione sia… Io del 1970 e da adolescente leggevo MCmicrocomputer, una rivista di informatica. Ho imparato le nozioni dell’informatica su quella rivista, con il primo piccolo computer a tredici anni. Una delle rubriche di maggior successo era “(Ri)creazioni al calcolatore” di Corrado Giustozzi (che godeva dell’attributo di “mitico” già all’epoca). Si occupava di questioni tecnologiche, prevalentemente informatiche. Ad un certo momento – non mi ricordo precisamente quale, ma credo all’epoca del primo “worm” su Internet – riportò un fatto di cronaca che aveva a che fare con l’informatica e lo confrontò con le descrizioni che erano apparse sui giornali generalisti; concludendo che nessun giornale ci aveva capito niente, e che probabilmente neanche ci aveva provato. Concluse quindi con questo dubbio (che vorrei citare letteralmente ma non posso e quindi vado a memoria): “Quando sentiamo parlare in TV di animali, economia, qualsiasi cosa, vediamo delle persone presentate come esperte e ci fidiamo di loro. Quando però si parla di argomenti informatici, di cui abbiamo conoscenza diretta, ci rendiamo conto che dicono spesso boiate. Ora la questione è: capita solo con l’informatica, oppure nutriamo troppa fiducia anche in quello che ci raccontano negli altri campi?”.

    Avevo circa 17/18 anni all’epoca, credo. Ma la cosa mi è rimasta impressa. Non è che diventai subito scettico: ma un decennio più tardi, quando iniziai a rendermi conto della piega che prendevano le cose, mi ricordai quel dubbio del “mitico” Giustozzi. Per l’AGW, però, mi ci volle ancora un decennio.

    • DarioC

      Nel ’76 “giocavo” con 8080 e per le eprom ci eravamo costruiti un dispositivo per inserire gli uni e gli zeri.
      La traduzione da assembler a linguaggio macchina la facevo su di un blok notes di quelli a quadretti.
      Non sempre c’era la eprom allora si bruciava una FROM però non si poteva sbagliare un bit perchè bisognava buttare tutto e ripartire, ed avevo 20 anni. Il tasto riavvia non c’era!

    • DarioC

      La eprom si resettava sotto una lampada UV.

    • Roberto Bolis

      Da informatico divenuto tale grazie anche a MC e a persone come Corrado Giustozzi ti capisco perfettamente. E grazie allo splendido lavoro di Andrea De Prisco (che ricorderai certamente) e che ha digitalizzato e reso disponibili tutti i numeri di MC ecco l’articolo di cui parli:
      https://issuu.com/adpware/docs/mc081/50

    • Roberto,

      mi hai fatto felice 🙂 Non solo per l’articolo in questione, ma perché non sapevo che De Prisco avesse fatto questo grande lavoro di archiviazione. Dovessimo mai incontrarci, sarò lieto di offrirti un pranzo. 🙂

      Riporto, a favore dei motori di ricerca, la frase originale a cui mi riferivo.

      E poi mi sorge spontanea un’altra considerazione, di carattere più generale e dunque assai più grave. Penso che quando i mass media ci propinano le loro verità distorte sui computer noi lettori di MC, col nostro background tecnico, siamo in grado di accorgercene; ma quante altre notizie di diverso argomento cui abbiamo creduto erano in realtà altrettanto distorte? Quanta inconsapevole disinformazione assorbiamo ogni giorno dai giornali e dalla televisione? Quanto oro colato che ci viene dai mass media vale in realtà meno del piombo?

    • Roberto Bolis

      Fabrizio, se si tratta di postare sulla lingua invece che su un social sono sempre disponibile 🙂
      P.S. Andrea De Prisco non ha solo scannerizzato tutti i numeri smontando i suoi ma ha anche creato un sito che li raccoglie tutti
      http://www.mc-online.it/

    • Massimo Lupicino

      Fabrizio, mi è capitata la stessa cosa con una trasmissione televisiva “di denuncia”, molto popolare: prendevo per oro colato tutte le inchieste che facevano. Quando li ho sentiti parlare di energia, più volte, ho concluso che raccontavano un mare di fregnacce sulla scia di tesi preconfezionate e super-mainstream, nonostante il tono apparentemente rivoluzionario.
      Ho concluso che se erano così faziosi e intellettualmente disonesti in tema di energia, dovevano esserlo anche in campi di cui non mastico. E ho smesso di guardarla.

  8. DarioC

    Anni fà mangiavo giornali bevevo tutti iTG e con la radio sempre su programmi di informazione. Poi seguendo dei casi concreti mi sono reso conto che non mi davano notizie “vere” ma facevano solo indottrinamento, sopratutto quelli con il patentino di “essere obietivi e superpartes”.
    Ora non nè posso più, dei giornali leggo a volte qualche articolo, spesso solo i titoli e quelle poche volte che guardo la TV cambio canale per trovare qualche film ed alla radio non si possono ascoltare nanche i comici.
    Questo sito, però, appena posso anche solo una sbirciata veloce quasi tutti i giorni.
    Grazie a TUTTI (sempre meno 1) e complimenti.

    • Massimo Lupicino

      Dario io la tv non la guardo più da anni. Guardo cartoni con i bambini e quando proprio sono ispirato un po’ di sport. Mi informo solo su stampa non-mainstream e il mainstream lo intravedo attraverso blog come Drudgereport. Del resto il mainstream ti bombarda quando nemmeno te ne accorgi, come in Essi Vivono di Carpenter, quindi non è nemmeno necessario guardarlo dritto in faccia per sapere com’è e cosa dice: recita lo stesso disco rotto da 20 anni: cosa mai.devono inventarsi di nuovo oggi? Sono utili come frigorifero a Vostok, ma molto più fastidiosi.

    • Alessandro

      si è vero Massimo, quello che stupisce però sono i 20 anni di scelte dei consumatori italiani, per ora tutto il contrario di quello che ci si attendeva purtroppo. Probabilmente sono riusciti a dividerci ed è probabilmente questo il nostro più grande punto debole di consumatori che dirigono la domanda dei beni. In quest’ottica sarebbe più utile fare autocritica, perchè la strategia di “lavaggio del cervello” i suoi frutti li darà ancora per molto grazie ai cittadini (si sono fatti schiavi) e alle loro pessime scelte di vita.

  9. Alfredo

    Non amo fare facili esemplificazioni, ma credo che la “schizofrenia” dei mass media sia evidente accostando due copertine di una testata come “Time”: nel giro di dieci anni quel “You, Person of the Year” (copertina 25.12. 2006) è diventata un “troll” (copertina 29.08.2016)…

    Immagine allegata

    • Massimo Lupicino

      Con le copertine del Time degli ultimi mesi si può fare una mostra satirica sullo stato comatoso della Stampa mainstream. Dai un’occhiata alla proprietà della rivista, scoprirai cose molto interessanti… 😉

  10. Alessandro

    “In linea con il principio della domanda e dell’offerta, gli editori andavano a occupare nicchie (o praterie) per poter piazzare il loro prodotto, in base ai gusti dei potenziali acquirenti.”
    I gusti attuali dei sani consumatori dovrebbero corrispondere allo spegnimento di TV – Radio – e al risparmio di 400€/anno per famiglia grazie all’abbandono totale della carta stampata:
    purtroppo non è così.
    Comunque i mass media sono risultati incapaci sia di sentire il polso dei lettori sia di formare un pensiero di gruppo, vedi Brexit ed elezioni USA.
    Prima o poi la formazione dovrà ritornare a rispondere al principio della domanda e dell’offerta e ritornare ad essere informazione, ma prima che questa strategia formativa venga abbandonata dovranno cambiare i consumi e quindi il modo di fare dei consumatori che a quanto pare ancora sembra dare i propri frutti.
    Il principio di domanda e offerta sarà spietato anche per i regimi…speriamo molto presto, perchè la domanda è il 99% e sta per uniformarsi..

    • Massimo Lupicino

      Alessandro, non sono stati incapaci, e’ solo che non gliene frega niente. C’e’ troppo da guadagnare a lavare il cervello del lettore rispetto agli spiccioli che si possono fare informando veramente. E infatti il business l’hanno fiutato i piccoli, che con sforzi relativamente piccoli fanno soldi a palate. Vedi siti come Infowars che fanno milioni di contatti e non costano nulla. Il mainstream ha reagito con la propaganda sulle fake news e con la pretesa di modificare gli algoritmi di ricerca con google per tagliare fuori i dissidenti (cosa che per altro sta accadendo). Infine chiedendo di ritirare gli investimenti pubblicitari nei blog non-mainstream (cosa gia’ accaduta e tuttora in corso). Il principio domanda-offerta e’ violato scientemente perche’ i guadagni si fanno sul condizionamento (presunto, ma molto difficile da ottenere) del lettore inconsapevole.

    • Alessandro, non sono stati incapaci, e’ solo che non gliene frega niente.

      Il menefreghismo, perché si basano su altre rendite di posizione, è dimostrato anche da altri dettagli non relativi ai contenuti, ma alla forma: è diventato praticamente impossibile leggere un articolo di giornale, anche di pochi paragrafi, che non contenga svarioni multipli, dal semplice refuso allo sfondone grammaticale; per non parlare poi di certi taglia & incolla che sembrano fatti col [censura]. Poche settimane fa Paolo Attivissimo sputtanò un caso eclatante, ma alla fine non troppo raro.

    • Massimo Lupicino

      Concordo. La qualità è talmente bassa che il giornalismo è scadente non solo per scelta, ma anche per pura e semplice necessità (stagisti sottopagati, firme migliori cacciate perché non allineate, assenza di veri inviati sul posto e tanto altro)…

    • Alessandro

      Se è così allora sarà un suicidio mass mediatico, perchè se non gliene frega niente di gestire il dissenso dovranno prima o poi farsi due conti in tasca e render conto al fallimento del “lavaggio del cervello”.
      Comunque Massimo lo ripeto: i consumi e tutte le scelte quotidiane che facciamo per la maggior parte della popolazione ancora devono radicalmente cambiare cosicchè gli usi e i costumi risponderanno ad una logica conveniente per il consumatore in termini di salute e qualità di vita.

    • Massimo Lupicino

      Ale il suicidio è già evidente dai numeri sulle copie vendute. Presto i giornali del mainstream avranno talmente pochi lettori che non saranno nemmeno utili come strumenti di propaganda, in compenso avranno perso qualsiasi credibilità come organi di informazione. E i grandi strateghi dell’editoria raccoglieranno per quanto hanno seminato, come è giusto che sia.

  11. L’impressione è che girino delle veline a cui tutti si adeguano.

    Basta anche tenere presente certi dettagli: una volta le tre reti RAI principali avevano diversi inviati negli stati più importanti, come gli USA. Oggi generalmente ne hanno uno solo (e nel caso degli USA, è quello cresciuto alla scuola di TeleKabul).

    Oppure: nelle bufale meteoclimatiche la palma d’oro, per quanto mi riguarda, va al berlusconiano TG4, quello che ha iniziato del danze del “questa estate moriremo tutti arrosto” notando che in molte città italiane c’era la stessa temperatura del Cairo (ma in quei giorni, ed eravamo già in estate o quasi, quella apocalittica temperatura era di ben 27°C) e il TG5 non è da meno. Ecco che la contrapposizione tra RAI e Biscione, in questa circostanza, è scomparsa. Poi uno sarà complottista, ma il pensiero al fatto che la proprietà del Biscione è sotto scalata da mesi e ha bisogno della difesa governativa te lo fai.

    La cosa non è riformabile, sono d’accordo. Ci sbarazzeremo di questa nuova dittatura come di tutte quelle che l’hanno preceduta, ma non è chiaro in che tempi e a che prezzo. Ormai lor signori – si veda l’ultimo delirio della Boldrini – parlano apertamente di controllo governativo delle “fake news”, e i giornalisti che dovrebbero reagire schizzando in piedi come un sol uomo e protestare in nome della loro indipendenza dal potere se ne stanno ben zitti, perché queste campagne governative sono chiaramente indirizzate contro le voci indipendenti, quindi fanno il tornaconto anche dei giornali che pagano loro lo stipendio.

  12. CarloMarxsirivolta

    Complimenti per l’analisi e sopratutto la sintesi.
    Ottime considerazioni.
    Che dire ….semplicemente grazie, aspettiamo il seguito e non demordere…!!!

    • Massimo Lupicino

      Grazie Carlo, non si demorde anche se la fatica e’ tanta… 😉

  13. Luigi Mariani

    Caro Massimo,
    d’accordo sull’analisi che hai fatto per la carta stampata. Permettimi di estenderla in estrema sintesi ai media radiofonici e televisivi. Circa quelli radiofonici alla radio di casa mi giungono solo due notiziari nazionali e cioè quello dei 3 canali RAI e quello di Radio 24.
    Il palinsesto dei 3+1 è talmente in fase che seguire l’uno o l’altro è praticamente la stessa cosa. L’impressione è che girino delle veline a cui tutti si adeguano. In ogni caso quel che prevale di fronte ad una tale informazione sono sentimenti di noia e di insofferenza che si traducono nella tendenza a volte irrefrenabile a “cambiar canale”.
    Circa le fake news le produce il mainstream stesso perché i giornalisti non sono più educati a fare informazione e dunque non controllano più le notizie (problema cui si aggiunge ahimè la carenza di strumenti culturali minimi che sono necessari per affrontare i temi dell’informazione scientifica).
    Ovunque, come giustamente scrivi, prevale l’idea di educare anziché di limitarsi a dati corretti e a brevi commenti, che è quanto mi aspetterei da un’informazione a misura di pubblico adulto e in grado di intendere e di volere.
    In sintesi dunque una sorta di minculpop globale che obbedisce a poche parole d’ordine ripetute ossessivamente e di cui personalmente ne ho davvero piene le tasche.
    Grazie a Dio, a differenza di quanto accadeva in “1984”, possiamo ancora spegnere gli apparecchi!
    Ti chiedo infine un cosa: a tuo parere è possibile riformare un tale sistema? Il sistema dell’informazione è nato per rispondere a esigenze molto concrete della collettività per cui nella mia ingenuità mi domando se non sia per caso possibile costruire da zero un nuovo quotidiano o un nuovo notiziario radiofonico nazionale che superi i gravi limiti che si colgono nell’informazione attuale.

    • Massimo Lupicino

      Caro Luigi, che dire… Della informazione pubblica televisiva in italia non parlo per motivi di opportunita’, gli stessi che mi portano a rimanere volutamente sul vago, anche perche’ se la stampa e’ globalista, e’ altrettanto vero che i problemi sono uguali in ogni parte del mondo. Leggere lemonde, the guardian, il washington post, il new york times o il Time e’ esattamente la stessa cosa, sono semplicemente indistinguibili, e tanti altri con loro.
      Sull’esistenza di “veline di massa”, beh il sospetto ovviamente c’e’. Basti pensare alla retorica del “non ci credono, ma il problema esiste“: beh, la si e’ ritrovata, nelle stesse 2-3 settimane, su tutti i media del mondo: americani, inglesi, italiani, trasmissioni televisive, opinionisti, giornali, persino trasmissioni a carattere religioso. Possibile che sia solo un caso? Se esiste un partito globalista con aspirazioni di supergoverno mondiale, non deve stupire che usi le stesse tecniche dei partiti tradizionali (le “veline”, appunto), ma su scala molto piu’ vasta.
      E’ “riformabile” un sistema cosi’? Direi di NO. Non per una azione dall’esterno, visto che i protagonisti appartengono ad una elite che rappresenta forse lo 0,01% della popolazione mondiale ma dispone della gran parte delle risorse economiche del pianeta. Questo pero’ non toglie che possa essere cambiato: cambiera’ quando i “contro-poteri” si organizzeranno in modo adeguato. Il caso Breitbart lo dimostra, ma resta un caso isolato. Che il pericolo sia reale e’ dimostrato con l’isteria con cui le cancellerie occidentali hanno reagito alla possibilita’ che venissero aperte sedi di Breitbart in Europa, o la campagna violentissima contro i media russi (sputnik, RT). Non ci avevano insegnato che noi occidentali siamo per la liberta’ di stampa e di informazione?
      La battaglia si gioca su un piano puramente geopolitico. Forse in futuro avremo un google russo o un amazon cinese. Per adesso viviamo in regime di monopolio assoluto, e raccogliamo di conseguenza. Ma niente e’ per sempre.

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