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Meteorologia – Profilo Storico – Parte 4, Epicurei, stoici e dibattito sulle piene del Nilo

La meteorologia epicurea

Due grandi scuole filosofiche dell’antichità greco-romana, epicureismo e stoicismo, utilizzarono la meteorologia per scopi morali. In particolare l’obiettivo di Epicuro (342-270 a.C.) era quello di guidare i suoi seguaci verso uno stato di affrancamento dagli affanni per le pene che affliggono l’umanità, e in particolare dal timore della morte (ataraxia). Pertanto la principale motivazione dell’interesse degli epicurei per la meteorologia non è tanto il desiderio di conoscenza in sé quanto il fatto che attraverso lo studio dei fenomeni terrestri rovinosi e fortuiti si acquisissero prove certe del fatto che il nostro destino non è guidato da nessun agente consapevole. In tal senso Lucrezio (94-55 a.C.), spiegando i fenomeni che gli uomini erroneamente attribuiscono agli dei, era convinto di poter vanificare i timori e le superstizioni che atterriscono i mondo.

Seneca e Columella

Un obiettivo morale guidava anche l’interesse per la meteorologia dello stoico Lucio Anneo Seneca (4-65 d.C.), il quale riteneva che lo studio dei fenomeni meteorologici fosse utile all’uomo pubblico poiché ne allontanava la mente dalle cose mondane e dalle preoccupazioni limitate della vita di tutti i giorni, incoraggiandone altresì il giusto senso delle proporzioni ed la consapevolezza dell’inevitabile vulnerabilità della propria posizione nel più vasto ordine delle cose.
L’obietivo morale guidò anche il grande agronomo romano Lucio Giunio Moderato Columella (4-70 d.C.), conterraneo e coetaneo di Seneca, il quale nell’introduzione al suo De re rustica scrive all’amico Publio Silvino segnalandogli che cittadini illustri di Roma ritenevano che la terra troppo sfruttata dall’uomo non fosse più in grado di dare frutti e che il clima non fosse più idoneo a supportare l’agricoltura e conclude con un lapidario “quanto a me, Publio Silvino, ritengo queste cose per lontanissime dalla realtà”.

Ma se Seneca riteneva che la meteorologia dovesse guidare le classi dirigenti a una visione serena ed equilibrata degli eventi naturali e al contempo se gli epicurei e Lucio Giunio Moderato Columella si ponevano il problema di contrastare le campagne di colpevolizzazione dell’uomo in atto ai loro tempi, siamo evidentemente di fonte a qualcosa di fortemente intrecciato con lo spirito umano e che vediamo ancor oggi all’opera?

L’origine delle piene del Nilo come dibattito esemplare

Un dibattito che tenne banco a lungo presso gli antichi senza trovare una spiegazione definitiva fu quello sull’origine delle piene del Nilo, che oggi sappiamo essere innescate dalle intense piogge monsoniche estive che in estate interessano l’altipiano etiope. Attorno alle piene del Nilo, più regolari e meno distruttive di quelle dei fiumi mesopotamici Tigri e Eufrate e dunque meglio gestibili in termini agricoli, gli Egizi avevano organizzato una delle agricolture più produttive dell’antichità, da cui dipese a lungo l’approvvigionamento di cereali per l’Urbe prima e per Bisanzio poi. Nello specifico ad agosto e settembre il livello del fiume aumentava lasciando la pianura alluvionale e il delta sommersi da 1,5 m d’acqua al colmo di piena[1]. A ottobre poi le acque si ritiravano e gli agricoltori si ritrovavano le riserve idriche dei suoli ricostituite e le falde ricaricate mentre il suolo era ricoperto da uno strato di sedimenti che arrivano dall’altopiano etiopico. In tale mese si effettuava la semina dei cereali vernini che venivano poi raccolti nei successivi mesi di aprile e maggio.

Il fenomeno rimase a lungo una sfida aperta per la scienza antica e sarà spiegato solo fra XVI e XIX secolo. Infatti nel 1588 Giovanni Gabriel scopre le sorgenti del Nilo Azzurro sul lago Tana (Conti Rossini, 1941; Surdich, 2005) mentre solo nel 1858 Richard Francis Burton e John Hanning Speke scoprono le sorgenti del Nilo bianco sul lago Vittoria.

Riguardo al problema delle piene del Nilo possiamo anzitutto citare Lucrezio (94-50 a.C.), il quale ritiene che i venti Etesii[2] facciano ritrarre le acque del fiume che spingono nella direzione opposta (da sud a nord) provocando l’inondazione. Altra possibile causa, secondo Lucrezio, potrebbe essere la sabbia che, depositata dal mare presso il delta, ostacola il deflusso delle acque.

Le alluvioni del Nilo sono trattate anche da Lucio Anneo Seneca (4 a.C., 65 d.C.) nel Naturales questiones, ove il libro IV è una sorta di “De Nilo” perché è dedicato a tale fiume. Purtroppo ce ne resta solo la metà per cui non conosciamo le conclusioni di Seneca circa le piene ma le considerazioni note sono comunque di grande interesse perché mostrano che in questo dibattito “meteorologico” fossero intervenuti anche illustri filosofi e scienziati greci: “Ora esaminerò le cause per cui il Nilo cresce in estate, cominciando dalle spiegazioni più antiche. Anassagora (496-428 a.C.) dice che dalle catene montuose dell’Etiopia le nevi che si sciolgono scendono fino al Nilo. Tutta l’antichità condivise questa opinione […] ma che essa sia errata, è dimostrato chiaramente da più prove. Prima di tutto il colorito abbronzato degli uomini […] indica che l’Etiopia è un paese caldissimo […] e anche l’austro, che viene da quella regione, è il più caldo dei venti [….]. Inoltre, se questa fosse la causa che fa crescere il Nilo, esso sarebbe in piena all’inizio dell’estate, poiché proprio quello è il momento in cui le nevi sono ancora intatte e si sciolgono gli strati più molli: il Nilo, invece, si ingrossa per quattro mesi e il suo accrescimento è regolare. Talete (640-547 a.C.) sostiene invece che sono i venti etesii a contrastare la discesa del Nilo”. In sostanza dunque Talete avrebbe sviluppato la medesima tesi che sarà in seguito sostenuta da Lucrezio.

[1] Le piene del Nilo sono oggi regolate dalla diga di Assuan che rendono le alluvioni del delta assai poco probabili.

[2] Venti che nella stagione estiva interessano il Mediterraneo orientale con direzione da Nord – Nordest e che sono frutto della presenza di una depresone stagionale sull’Anatolia attorna alal quale le masse d’aria ruotano in senso antiorario.

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Published inAttualitàMeteorologiaStoria della Meteorologia

3 Comments

  1. Luigi Mariani

    Caro Donato,
    grazie anzitutto per l’attenzione dedicata al mio scritto.
    Il fatto che alcune correnti di pensiero attive in epoca romana antica abbiano sentito la necessità di contrastare l’idea secondo cui il clima fosse peggiorato per le colpe degli uomini mi pare sintomatico di quella che è un archetipo pessimistico molto radicato e che probabilmente trova eco anche oggi riscontro nella diatriba attuale fra chi mette al primo posto la variabilità naturale e chi invece pone al centro la variabilità indotta dall’uomo.
    E se, come giustamente dici, solo in futuro si potrà stabilire dire chi ha avuto ragione, già ora tuttavia sappiamo che ambedue le correnti di pensiero contribuiscono a un dibattito che è essenziale per affinare il quadro conoscitivo sul sistema climatico, se non altro istillando il dubbio che è alla base della crescita di conoscenza. Questo aspetto dovrebbe essere a mio avviso ben chiaro anche ai tuoi studenti così come dovrebbe essere chiaro che chi si affanna a delegittimare l’avversario utilizzando “colpi bassi” di varia natura
    non rende un buon servizio al progresso della scienza.
    Al riguardo ricordo le seguenti parole di Zenone, protagonista dell’Opera al nero di Marguerite Yourcenar, che ci sono di grande aiuto per far capire il ruolo che ognuno di noi può nel suo piccolo giocare nel faticoso cammino della scienza:
    “So che non so quel che non so; invidio coloro che sapranno di più, ma so che anch’essi, come me, avranno da misurare, pesare, dedurre e diffidare delle deduzioni ottenute, stabilire nell’errore qual’è la parte del vero e tener conto nel vero dell’eterna presenza di falso. Non mi sono mai ostinato su un’idea per timore dello smarrimento in cui cadrei senza di essa. Né ho mai condito di menzogne un fatto vero per rendermene la digestione più facile. Non ho mai deformato le opinioni dell’avversario per confutarle più facilmente. O piuttosto, si: mi sono sorpreso a farlo, e ogni volta mi sono rimproverato come si sgrida un domestico disonesto, e ho ritrovato la fiducia solo dopo essermi ripromesso di far meglio. Ho avuto anch’io i miei sogni, e non gli attribuisco valore d’altro che di sogni. Mi sono guardato bene dal fare della verità un idolo; ho preferito lasciarle il nome più umile di esattezza. I miei trionfi e i miei pericoli non sono quelli che la gente s’immagina; ci sono altre glorie oltre la gloria e altri roghi oltre il rogo. Son’ quasi riuscito a diffidare delle parole. Morirò un po’ meno sciocco di come sono nato.”

    • donato b

      “Questo aspetto dovrebbe essere a mio avviso ben chiaro anche ai tuoi studenti …”
      .
      Il filo rosso che caratterizza i miei corsi di fisica è il concetto di “incertezza” delle nostre conoscenze. Una legge fisica è tale quando il livello di incertezza ad essa associato è basso, ma esso non potrà mai essere uguale a zero. Credo che dopo tre anni di corso una delle cose che più è radicata nel loro cervello, è che lo scienziato nel passato, nel presente e nel futuro ha “da misurare, pesare, dedurre e diffidare delle deduzioni ottenute, stabilire nell’errore qual’è la parte del vero e tener conto nel vero dell’eterna presenza di falso.”.
      Perché questa è la differenza tra scienza e fede. E questa differenza può essere sintetizzata in un’unica parola: scetticismo.
      Ciao, Donato.

  2. donato b.

    Caro Luigi, sto seguendo con molto interesse il tuo excursus storico alla ricerca delle radici della meteorologia e mi sono imposto di non commentare fino alla fine del percorso. Oggi non sono riuscito, però, a trattenermi 🙂 , per cui ho deciso di scrivere qualche piccola considerazione in attesa dell’epilogo.
    .
    Quando si parla di storia del pensiero (filosofico, scientifico, letterario e via cantando), resto sempre meravigliato dal dibattito che si genera intorno alle questioni. Nel post di oggi ho notato un esempio particolarmente interessante: la discussione circa le origini delle piene del Nilo.
    Le ipotesi avanzate per spiegare il fenomeno ci appaiono un poco ingenue, ma alla luce delle conoscenze del tempo, non sono affatto peregrine. Così come non lo sono le argomentazioni utilizzate per controbattere all’ipotesi fondata sullo scioglimento delle nevi. La cosa mi ha fatto riflettere, in quanto le ipotesi discusse erano frutto di una conoscenza incompleta dei termini della questione.
    Il dibattito circa la teoria di Anassagora e quella di Talete assomiglia, a mio modesto avviso, a quello odierno in materia di clima. In entrambi i casi (quello dell’antichità e quello moderno) si cerca di spiegare in modo logico un fenomeno reale senza conoscere in modo completo quelle che, in modo piuttosto impreciso, mi piace definire le “condizioni al contorno”. Nel caso del Nilo non si conosceva l’ubicazione delle sorgenti del fiume e le condizioni geografiche e climatiche che ne caratterizzavano il sito. Oggi non siamo ancora in grado di modellare il sistema climatico in modo soddisfacente in quanto abbiamo una conoscenza incompleta della fisica che lo sottende.
    Un vero peccato non conoscere il pensiero di Seneca sulla questione delle piene del Nilo.
    .
    Altro aspetto che presenta molti punti di contatto con la situazione attuale, riguarda l’influenza delle proprie convinzioni nell’accettazione di un modello oppure di un altro. Gli stoici e gli epicurei evidenziano un approccio epistemologico diverso alla meteorologia perché interpretano in modo diverso la vita e, quindi, i vari aspetti che la caratterizzano. Anche oggi le cose non vanno in modo molto diverso anche se ci riempiamo la bocca con termini come “oggettività, imparzialità, razionalità e via cantando” riferiti alla scienza. Gratta, gratta in fondo a tutto troviamo sempre la soggettività personale che ci orienta in una direzione o nell’altra.
    La cosa buffa in tutto ciò è che saranno i posteri a decretare chi ha ragione e chi no.
    Tornando al dibattito climatico che tanto ci appassiona, per esempio, fra qualche decennio saranno i nostri eredi a stabilire chi aveva ragione e chi no tra scettici e non.
    In proposito un piccolo aneddoto che mi coinvolge direttamente. I miei allievi conoscono perfettamente le mie posizioni scettiche in campo climatico, ma sanno anche che esse sono minoritarie nel dibattito in corso. Sono stato molto attento, infatti, a spiegare loro tanto le posizioni scettiche che quelle mainstream, lasciandoli liberi di farsi la propria idea. Qualche mese fa, nel corso di una delle ultime lezioni del corso di fisica, gli lasciai il mio “testamento spirituale”: accertare chi aveva ragione tra gli scettici ed i rappresentati della linea di pensiero principale. 🙂
    Ciao, Donato.

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