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Cambiamento climatico antropico e conflitti armati: un pesantissimo atto d’accusa all’approccio riduzionistico che indica nella siccità la causa scatenante del conflitto siriano

Riassunto

Il lavoro di Selby et al. (2017), qui di seguito discusso dimostra che non esiste alcuna evidenza chiara e affidabile che il cambiamento climatico antropico sia un fattore d’innesco della siccità, che tale siccità non ha causato nessuna grande migrazione e che non esiste una prova solida del fatto che la pressione migratoria interna legata alla siccità abbia contribuito all’innesco della guerra civile siriana, tuttora in corso.

Abstract

The paper of Selby et al. (2017), hereafter briefly presented and discussed, shows that there is no clear and reliable evidence that anthropogenic climate change was a factor in Syria’s precivil war drought; that this drought did not cause anywhere near the scale of migration that is often alleged; and that there exists no solid evidence that drought migration pressures in Syria contributed to civil war onset.

Il conflitto siriano che imperversa nell’area dal 2011 con rischi consistenti per l’equilibrio dell’intero Medio Oriente e sofferenze terribili per la popolazione civile, è stato oggetto di un mio precedente intervento originariamente uscito su Nuova Bussola Quotidiana e ripreso poi da CM (Migranti climatici bufala universale)[1]. In quella sede mi espressi in modo drastico circa il legame fra cambiamento climatico e guerra civile siriana, ipotizzato ad esempio dall’allora presidente degli Stati Uniti Barak Obama in una sua intervista al Corriere della sera o in diverse altre sedi. La mia critica fu allora fondata sui dati di piovosità dell’area e sui livelli produttivi dei cereali di fonte FAO e, data anche l’esiguità dei mezzi a mia disposizione, non poteva che essere una critica sintetica che prendeva spunto anche da un’esperienza professionale in campo agro-climatologico che mi porta a diffidare del riduzionismo in favore di un approccio sistemico ai problemi dell’agro-ecosistema e delle popolazioni che in esso vivono.

In virtù di ciò è stato per me di grande conforto leggere il recentissimo articolo apparso sulla rivista scientifica Political Geography dal titolo “Climate change and the Syrian civil war revisited” e a firma di Jan Selby (Department of International Relations, University of Sussex, Brighton), Omar S. Dahi (School of Critical Social Inquiry, Hampshire College, MA, USA), Christiane Frohlich (Center for Earth System Research and Sustainability, University of Hamburg, Germany) e del climatologo Mike Hulme (Department of Geography, King’s College London), liberamente scaricabile qui e di cui consiglio vivamente la lettura integrale.

La teoria del cambiamento climatico antropico come “moltiplicatore di minacce”

Gli autori iniziano la loro analisi evidenziando l’esistenza di una corrente di pensiero secondo la quale il cambiamento climatico antropico costituirebbe un “moltiplicatore di minacce” alla stabilità a livello globale. Per tale corrente di pensiero, che ha radici nel discorso fatto da Barak Obama (2009) in occasione del ritiro del Nobel per la pace, la guerra civile siriana è diventata un punto di riferimento ricorrente, fornendo una prova all’apparenza convincente che i conflitti armati determinati dal clima che cambia siano già fra noi. Più nello specifico la catena causale ipotizzata è quella secondo cui il cambiamento climatico indotto dall’uomo avrebbe provocato una siccità estrema sperimentata dalla Siria prima della guerra civile; tale siccità avrebbe a sua volta portato a una migrazione su larga scala verso contesti urbani degradati e tale migrazione avrebbe esacerbato gli stress socio-economici, ponendosi all’origine del conflitto armato. Le tesi di Obama sono state poi riprese dal presidente della Commissione europea Jean Claude Junker che ha additato il cambiamento climatico a causa primaria dell’ondata di profughi dalla Siria e da altri che hanno qualificato i profughi dalla Siria come “migranti climatici” o “rifugiati climatici” (ad esempio Baker, 2015).

In linea con le tesi di Obama sono in particolare gli articoli scientifici di Femia e Werrell (2012), Gleick et al. (2014) e Kelley et al. (2015), qui di seguito indicati come FGK e che Selby et al (2017) sottopongono ad aspra critica, non dopo aver sottolineato che l’interpretazione della guerra siriana come frutto di cambiamento climatico antropico non è una novità assoluta in quanto qualcosa di analogo si ebbe nei riguardi della guerra del Darfur, che a detta del Segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon sarebbe stata originata da una siccità saheliana innescata dal global warming antropogenico, fatto questo che è stato poi messo in discussione nella letteratura scientifica che ha negato tale origine sottolineando che il segretario generale ONU in tal modo trascurava gli aspetti socio-economici alla base del conflitto (Selby et al., 2014).

Le vere cause della migrazione dalle campagne verso le città in Siria

Gi autori mostrano che nelle annate agricole 2006/2007 e 2008/2009 c’è stata in effetti una siccità che tuttavia non ha colpito in modo omogeneo la Siria ma si è concentrata sulla parte Nordorientale del paese e più precisamente nel governatorato di Hasakah (figura 1). In tale area, i cui andamenti pluviometrici sono riportati in figura 2, l’agricoltura si fonda sulla cerealicoltura (cereali vernini – frumento e orzo – in gran parte irrigui) e sulla zootecnia ovina le cui risorse alimentari sono costituite da mangimi e da residui colturali (paglie e stoppie dei cereali). La disponibilità di acqua irrigua ha fatto si che la cerealicoltura abbia risentito solo in modo marginale della carenza di piogge invernali e i caratteri della zootecnia la rendono poco sensibile alla siccità in presenza di disponibilità adeguata di mangimi a prezzi accessibili per i produttori zootecnici. Ed è qui che secondo gli autori si collocano le vere ragioni della crisi. Infatti il governo di Assad proprio negli anni della siccità ha adottato le seguenti misure di liberalizzazione per il settore agricolo:

  • 2007: liberalizzazione dei contratti agrari con possibilità dei proprietari terrieri di cacciare gli affittuari
  • maggio 2008: eliminazione dei sussidi per carburanti agricoli, con aumento dei prezzi del 342%
  • maggio 2009: eliminazione dei sussidi per i concimi con aumento dei prezzi del 200-450%.

A ciò si aggiungano:

  • Il sussistere di livelli d’inflazione elevatissimi che hanno portato i mezzi tecnici agricoli a un aumento di prezzo dell’87% nel solo 2007/2008.
  • La gelata tardiva di fine inverno 2008 con gravi danni i seminativi di frumento e orzo segnalati ad esempio dall’addetto agricolo dell’ambasciata Usa.
  • La fine, avvenuta nel 2005, delle migrazioni stagionali di braccianti agricoli siriani verso il Libano, con conseguente crescita dei livelli di povertà nelle popolazioni rurali.

A ciò si aggiunga che:

  • L’inurbamento della popolazione agricola era in atto ben prima che la siccità avesse luogo ed è proseguito anche dopo che le piogge hanno ripreso il loro corso normale. In particolare sono stati gli estremi livelli di povertà a spingere all’inurbamento 2 milioni di persone nel 2003-2004 e 2,4 milioni nel 2004-2007.
  • La migrazione avvenuta nel 2009 e conseguente alle siccità 2006/2007 e 2008/2009 si riduce secondo Selby et al., 2017) a 40-60000 famiglie, cifre ben lontane dunque dagli 1,5-2 milioni  di individui di cui si parla.

In sintesi dunque Selby et al. (2017) evidenziano che FGK hanno proposto una lettura erroneamente “siccità-centrica” di un fenomeno che è invece ben più complesso coinvolgendo svariati aspetti sociali ed economici e che ha visto come fattori primari una serie di profondi mutamenti strutturali che hanno investito il settore agricolo siriano.

La siccità siriana e il cambiamento climatico antropogenico

Circa l’attribuzione della siccità a influenze antropiche sul sistema climatico globale Selby et al (2017)  osservano che Kelley et al. (2015) hanno fatto un esercizio di attribuzione basato su tre passaggi: (a) individuazione di un trend di lungo termine di decrescita delle precipitazioni, (b) stima dell’aumento della probabilità che la siccità si verifichi alla luce di tale trend (c) confronto di tale tendenza con la tendenza simulata dai GCM. In tale schema tuttavia vi sono due elementi di debolezza: (a) le serie storiche non mostrano trend di lungo termine al calo delle precipitazioni nella mezzaluna Fertile e in Siria e (b) le simulazioni delle precipitazioni eseguite con GCM presentano enormi livelli di incertezza.

Siccità ed eventi bellici

Altro aspetto oggetto della rflessione di Selby et al. (2017) è il legame fra siccità ed eventi bellici. A tale riguardo gli autori evidenziano anzitutto che in FGK si coglie un preoccupante cortocircuito con i media da cui i ricercatori attingono le loro informazioni.  Infatti il legame fra siccità ed eventi bellici viene analizzato utilizzando come fonte i media generalisti o le testimonianze dirette di alcuni siriani le quali per quanto interessanti in sé non hanno altro che valore aneddotico.

Dalla loro analisi Selby et al. (2017) concludono che le prove raccolte da FGK e da altri autori a sostegno della tesi di guerra civile legata alla migrazione indotta dalla siccità sono estremamente deboli: né le affermazioni di FGK circa i flussi migratori interni né quelle su cronologia e geografia dei primi disordini della Siria né infine le testimonianze individuali che citano offrono una base solida alle loro conclusioni secondo cui la migrazione dalla Siria nordorientale, colpita dalla siccità, sia stato un fattore d’innesco della guerra civile.

Al contrario Selby et al. portano prove del fatto che i migranti provenienti dal nord-est della Siria non siano stati significativamente coinvolti nell’inizio dei disordini iniziati nel 2011.

Quali conclusioni

In estrema sintesi l’articolo di Selby et al. (2017) giunge alle seguenti conclusioni:

  • che la siccità non è stata estesa all’intero paese ma ha colpito il solo Nordest della Siria
  • che non sussistono evidenze del fatto che il cambiamento climatico antropico sia il fattore causale della siccità in questione
  • che non sussistono evidenze del fatto che la siccità abbia causato la migrazione
  • che non esiste una solida evidenza che i flussi migratori indotti dalla siccità abbiano contribuito all’innesco della guerra civile.

Il caso della Siria non consente dunque di confermare la teoria che vede nel cambiamento climatico un “moltiplicatore di minaccia” per i conflitti.

Tale conclusione non esclude ovviamente che clima e cambiamento climatico possano contribuire all’innesco e alla successiva evoluzione di conflitti armati (es. conflitti per risorse naturali limitate come l’acqua o le aree di pascolo). Bisognerebbe tuttavia evitare in tutti i modi che la scienza si presti a visioni riduzionistiche che la rendono “mosca cocchiera” di interessi molto più grandi di lei.

Interessante in tal senso è il fatto che Selby et al. (2017) invitino i responsabili politici, i commentatori e gli studiosi a esercitare una maggiore cautela quando ipotizzano legami fra conflitti armati e cambiamento climatico.

All’articolo di Selby et al (2017) è poi seguita, sempre su Political Geography, la pubblicazione di una nota a firma di Hendrix (2017), con la quale si conferma la validità dell’approccio di Selby et al. (2017) anche citando un lavoro del 2014 (Salehyan and Hendrix 2014) che pone in luce una correlazione diretta (e non inversa!) fra abbondanza delle risorse idriche e violenza. In sostanza l’analisi di svariati conflitti evidenziano che popoli oppressi da siccità hanno minor propensione alla violenza di popoli che dipongono di risorse idriche abbondanti.

Figura 1 – Siria con indicate le stazioni meteorologiche disponibili e il governatorato di Hasakah, colpito dalla siccità (fonte: Selby et al, 2017).
Figura 2 – Andamenti pluviometrici in tre stazioni rappresentative del governatorato di Hasakah (fonte: Selby et al, 2017).

Riferimenti citati nel testo

  • Baker A., 2015. How climate change is behind the surge of migrants to Europe. Time Magazine (7 September); available at: http://time.com/4024210/climate-change-migrants/ (Accessed 22 December 2015).
  • Femia F., Werrell C., 2012. Syria: climate change, drought and social unrest. Briefer no. 11. Washington, DC: Center for Climate and Security (29 February); available at: http://climateandsecurity.org/reports/ (Accessed 22 December 2015).
  • Gleick P., 2014. Water, drought, climate change, and conflict in Syria. Weather, Climate and Society, 6(3), 331e340.
  • Hendrix 2017 A comment on “climate change and the Syrian civil war revisited”, Political Geography 60, 251-252
  • Kelley, Colin, et al. (2015). Climate change in the fertile crescent and implications of the recent Syrian drought. Proceedings of the National Academy of Sciences, 112(11), 3241e3246.
  • Obama B., 2009. A just and lasting peace. Oslo: Nobel Peace Prize Lecture (10 December); available at: http://www.nobelprize.org/nobel_prizes/peace/laureates/2009/obama-lecture_en.html
  • Salehyan and Hendrix 2014 Climate shocks and political violence, Global Environmental Change, 28, 239–250
  • Selby J. and Hoffmann C., 2014. Beyond scarcity: rethinking water, climate change and conflict in the Sudans. Global Environmental Change, 29, 360e370.
  • Selby J. etal 2017 Climate change and the Syrian civil war revisited, Political Geography 60, 232-244

[1] Sempre sul tema “clima conflitti armati” è necessario citare anche il post “Le guerre del clima” di Donato Barone  http://www.climatemonitor.it/?p=42429.

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Published inAmbienteAttualitàClimatologia

14 Comments

  1. donato b

    Circa le origini della guerra siriana potrebbe essere utile leggere questo post
    http://www.zerohedge.com/news/2017-10-28/shocking-viral-interview-qatar-confesses-secrets-behind-syrian-war
    .
    Si tratta di un post di commento all’intervista che l’ex primo ministro del Qatar ha rilasciato ad una televisione araba. Io non conosco l’arabo, ma i sottotitoli in inglese sono inequivocabili:
    l’opposizione armata siriana è stata creata, addestrata ed armata dai Paesi del Golfo e dagli USA tramite la Turchia. Il clima c’entra come i classici cavoli a merenda. Stupisce che gli USA abbiano armato anche Al-Qaeda, ma, purtroppo, è così.
    p.s.: Se i sottotitoli non dovessero essere rispondenti a quanto dice il politico quatarino, il presente commento perderebbe di significato. Sono fiducioso, però, che tra i lettori di CM potrebbe esserci qualcuno che conosce l’arabo, per cui resto in attesa di conferme o smentite.
    Ciao, Donato.

  2. donato b.

    Caro Luigi, ho letto e meditato il tuo post, ma per motivi di tempo non ho ancora letto l’articolo che tu hai commentato. Conoscendoti, sono convinto che il tuo sunto e le tue considerazioni sono ampiamente sufficienti a consentirci di comprenderne gli aspetti salienti.
    Come tu ben sai la Siria e le sue vicissitudini mi stanno appassionando da un paio d’anni, per cui mi riservo di leggerlo con calma.
    .
    Le considerazioni geopolitiche sull’argomento “guerra in Siria” ho avuto modo di esporle, qui su CM, nel post “Le guerre del clima” che tu hai benevolmente citato, per cui è inutile tornarci sopra. Vorrei, però, spendere qualche parola per mettere in evidenza un altro aspetto alla base del fenomeno di inurbamento verificatosi in Siria all’inizio di questo decennio e che sfugge a molti analisti.
    .
    Da sempre esistono due parti distinte della Siria. Nella parte occidentale del Paese e sulla costa mediterranea è concentrata la stragrande maggioranza della popolazione siriana e qui si trovano le principali città: Damasco, Homs, Hama, Tartus e Latakia con i rispettivi hinterland. A nord-est di questa fascia è ubicata Aleppo, ponte tra la Turchia ed il mondo arabo al sud della Siria e principale centro economico e culturale non solo siriano, ma di tutto il medio-oriente. Questa è considerata la “Siria utile”, tutto il resto costituisce la parte socialmente, culturalmente ed economicamente più arretrata del Paese ed è stata sempre definita la “Siria inutile”.
    In quest’area sono concentrate, però, le principali risorse della Siria: petrolio, gas, minerali usati per la produzione di fertilizzanti, terre coltivabili (la valle dell’Eufrate) grazie alla grandiosa rete di infrastrutture irrigue realizzate negli anni. Da queste aree vengono, tra l’altro, il grano e soprattutto il cotone che alimenta (meglio dire alimentava 🙁 ) la fiorente industria tessile siriana.
    Queste aree sono state, però, del tutto trascurate dal governo di Damasco che destinava ad esse una parte del tutto irrisoria delle risorse economiche nazionali. La miopia dei governi di Assad padre e di Assad figlio, ha determinato, pertanto, uno stato di profondo malessere tra le popolazioni sunnite che vivono nella “Siria inutile” ovvero la Siria del deserto e quella della valle dell’Eufrate. La mancanza di infrastrutture (industrie, strade moderne, reti di servizi) e servizi sociali (scuole, ospedali e via cantando) ha creato malcontento e rancore nella popolazione sunnita per cui le giovani generazioni hanno cominciato ben presto ad abbandonare queste regioni, dirigendosi verso le aree metropolitane dell’occidente siriano che garantivano un tenore di vita del tutto diverso da quello delle zone depresse d’origine.
    Ciò ha contribuito in maniera determinante al fenomeno dell’inurbamento di cui parlano Selby e colleghi ed è stato alla base delle rivendicazioni sociali emerse in occasione delle cosiddette “primavere arabe”.
    .
    Sono stati, infatti, proprio questi diseredati la punta di diamante delle proteste che tra il 2011 ed il 2012 infiammarono la Siria e spinsero l’attuale presidente B. Assad a tentare delle timide riforme per venire incontro alle richieste dei siriani più poveri.
    La siccità avrà anche contribuito ad acuire i problemi economici, ma le cause reali del malcontento di ampi strati della società siriana erano altre ed antecedenti alla siccità stessa.
    .
    Altro aspetto da non trascurare riguarda le cause della fine dei sussidi all’acquisto dei carburanti per l’agricoltura e dei fertilizzanti. La Siria ha conosciuto nel corso degli anni a cavallo tra il 20° ed il 21° secolo un periodo di forte crescita economica che ha consentito un aumento del benessere sociale ed economico di buona parte della sua popolazione. E’ stato proprio questo benessere che, però, riguardava soprattutto la popolazione della “Siria utile” , ad attrarre tanti siriani verso le grandi città della parte occidentale del Paese e ad acuire le differenze sociali tra le varie parti della popolazione siriana. Esso era, però, fondato sui profitti derivanti dal commercio del petrolio e del gas che venivano estratti con una certa abbondanza dai giacimenti della Siria Centrale e di quella nord orientale (governatorati di Homs, Raqqa, Deir ez-Zor e parte di quello di Hasaka). Con il crollo dei prezzi del petrolio verificatosi nel primo decennio di questo secolo, la situazione economica della Siria peggiorò rapidamente determinando la fine dei sussidi e delle iniziative assistenziali che avevano contribuito a saldare le varie parti del puzzle etnico, religioso, culturale e sociale siriano.
    .
    A questo substrato interno alla Siria, si sovrapposero fin dalle origini della crisi siriana, le azioni delle potenze regionali confinanti (Arabia Saudita, Turchia e le monarchie minori del Golfo Persico) che, sfruttando le proteste in atto, cercarono di distruggere l’entità statuale siriana in modo da potersi spartire le varie aree in cui pensavano di poterla dividere.
    Come si vede il clima che cambia e cambia male con quel che accade in Siria ha ben poco a che fare.
    .
    p.s.: devo gran parte di queste analisi a ciò che ho letto su canali informativi “alternativi” in particolare negli scritti di Elijah J. Magnier, profondo conoscitore della realtà medio orientale e stimato analista delle vicende geo-politiche di quest’area cruciale del mondo che, come ho potuto verificare personalmente, ha azzeccato buona parte delle sue previsioni. Fosse stato per i media tradizionali, crederei ancora alla favoletta dei civili siriani massacrati da Assad e difesi dai buoni ribelli appoggiati dalle potenze occidentali. La realtà è molto, ma molto diversa da come ce la raccontano: oltre il 70% dei siriani è amministrato dal governo legittimo. Del restante trenta per cento, una parte consistente (circa la metà) è costituita da curdi desiderosi di costituire una propria entità autonoma e la restante parte è costituita dai ribelli: circa il 10%.
    Ciao, Donato.

    • Luigi Mariani

      Caro Donato,
      grazie per quello che un importante complemento rispetto all’analisi di Selby. E’ inutile: più si indagano i problemi del tipo di quello di cui stiamo discutendo e più se ne coglie la complessità e la profondità, nel senso che affondano le loro radici in una storia millenaria.
      Ciò non significa che la complessità debba essere una scusa per evitare di assumere decisioni ma significa invece che le decisioni dovrebbero essere assunte dopo aver ponderato tutti gli elementi in gioco, cosa che nella sponda sud del bacino del Mediterraneo non accade quasi mai (e qui la responsabilità delle grandi potenze mi pare lampante… Obama docet) creando scie secolari di revanscismi, odi, pregiudizi, chiusure al dialogo, ecc.
      E qui l’oggetto che a livello metaforico mi viene in mente il nodo gordiano, che non per niente era un oggetto anatolico – dei Frigi (https://it.wikipedia.org/wiki/Nodo_gordiano).
      Luigi

    • Luigi Mariani

      A chi avesse voglia e tempo di leggere l’articolo originale suggerisco di leggere la Technical appendix, la quale presenta fra l’altro:
      – la metodologia di analisi dei dati pluviometrici e la critica alle metodologie adottate da FGK
      – l’analisi dei trend pluviometrici siriani
      – la critica all’analisi di “detection and attribution” fatta con GCM
      – l’analisi del contributo dell’eccesso migratorio 2008-2009 all’inurbamento 2003-2010.

      Riporto qui di seguito la critica all’analisi di “detection and attribution” che mi pare interessante perché evidenzia i rilevanti limiti dei metodi di detection e attribution basati su GCM (una questione chiave posta da Selby et al è come si possano usare per tali analisi dei GCM che presentano “biases of up to 40% in both climatology and inter-annual variability” ! ):
      The detection and attribution method used by Kelley et al. de-trends the observed time series before applying a frequency analysis to the residual extremes and comparing this to results from climate model simulations. Specifically, they use an ensemble of CMIP5 models in simulating rainfall over the Fertile Crescent region. There are several problems with using such models, not least that individually they contain biases of up to 40% in both climatology and inter-annual variability (Kelley et al. Fig. S3). Physical understanding of regional rainfall responses to human influences remains incomplete. For example, recent analysis by He and Soden (2017) questions the reliability of the sub-tropical precipitation decline thesis, suggesting that in response to human influences on the atmosphere rainfall declines in the sub-tropics are more likely over ocean areas (e.g. over the Mediterranean Sea) than over land (e.g. northeast Syria). Moreover, the logic involved in using a model ‘ensemble of opportunity’ rather than an ensemble designed according to model independence criteria (Sanderson et al., 2015) is uncertain. Kelley et al. claim (2015: SI) that the CMIP5 ensemble of opportunity projects a reduction in future winter rainfall in the FC region. While true, the strength of ‘agreement’ within this ensemble is weak and not significant relative to the standard deviation of the model-estimated natural variability of 20 year means (Stocker et al., 2014: p. 1356, Figure AI.42).

    • donato b.

      La scienza del clima è definita! 🙂 🙂 🙂
      Ciao, Donato.

  3. Caro Luigi,
    articolo davvero bello e ricco di contenuti! Lo so che è una battuta, ma dovrebbe essere appeso negli uffici pubblici, sotto il ritratto del Presidente della Repubblica, in modo che tutti possano leggerlo. Complimenti.
    Leggerò il lavoro di Selby et al. (2017) appena sarò uscito dagli impegni che mi hanno permesso di vedere il tuo post solo questa sera ma sono sicuro che di aver già saputo le cose essenziali grazie a te. Ciao. Franco

  4. Massimo Lupicino

    Complimenti Luigi per il bellissimo pezzo. Diciamo che ha il grande merito di fare giustizia di una enorme bugia. Non ci sarebbe stato bisogno, di un pezzo del genere, se la narrativa della guerra in siria da parte dei media occidentali fosse stata un po’ meno faziosa.
    Difficile spiegare l’afflusso di decine di migliaia di combattenti da mezzo medio oriente in siria, armati fino ai denti e stipendiati da paesi del Golfo (e non solo…) come una conseguenza della siccita’, a meno di ritenere che quegli stessi combattenti stranieri fossero sbarcati in siria per costruire dighe, invasi, opere civili e praticare moderne forme di agricoltura e pastorizia. Il che ci puo’ benissimo stare, visto quello che hanno raccontato i media negli ultimi 5 anni, a proposito di quel conflitto.

    • Luigi Mariani

      Caro Massimo,
      il riduzionismo di cui parlo nel mio scritto coincide ahimè con la demagogia dei gruppi di potere, oggi come ai tempi di Nerone… E oggi come allora non appena un potente dice una castroneria vi sono fior di intellettuali pronti a dargli ragione, il che sarà anche molto umano e vecchio come il mondo ma oggi non possiamo a mio avviso più permettercelo per motivi concreti (siamo più di 7 miliardi e sbagliare a leggere un fenomeno affidando l’interpretazione a bolsi slogan ci espone a rischi enormi).
      Ciao.
      Luigi

  5. Mi chiedo quando si comincerà a tener conto di un arma di guerra come moltiplicatore delle forze e minacce. Il generale Mini ha cercato di focalizzare questo aspetto nel 2007 in questo articolone.
    LA GUERRA AMBIENTALE GLOBALE È GIÀ COMINCIATA
    http://www.limesonline.com/cartaceo/owning-the-weather-la-guerra-ambientale-globale-e-gia-cominciata-2
    Articolo integrale qui https://it.scribd.com/document/2169816/Owning-the-weather-la-guerra-globale-ambientale-e-gia-cominciata

    • Luigi Mariani

      Gentile Maria,
      gli effetti delle guerre sull’ambiente sono un ulteriore elemento che qui non ho considerato ma che comunque va preso in considerazione in un’ottica sistemica.
      Senza giungere a ipotizzare modifiche intenzionali del tempo atmosferico basta pensare alla fine che fanno
      le infrastrutture al servizio dell’agricoltura (opere irrigue, canali di bonifica, ecc.) in caso di guerra.
      Altro bel tema che meriterebbe un post.
      Luigi

  6. Gianluca

    Mitico Luigi!…come sempre….

    La tua analisi, come quella di Selby et al., costa tempo, fatica ed impegno, a differenza di affermazioni tipo quella di Al Gore che riporto piu’ sotto, “comode” e scontate che pero’, purtroppo, hanno una grande eco.

    Complimenti a te!
    Gianluca

    Brexit was caused in part by climate change, former US Vice-President Al Gore has said, warning that extreme weather is creating political instability “the world will find extremely difficult to deal with”.
    Mr Gore, speaking at an event in which he previewed a sequel to his landmark 2006 documentary, An Inconvenient Truth, said the “principal” cause of the Syrian Civil War had been the worst drought in 900 years, which forced 1.5 million people to move from the countryside to the cities.

    http://www.independent.co.uk/environment/brexit-climate-change-al-gore-says-global-warming-syria-war-helped-leave-vote-a7645866.html

    Immagine allegata

    • Luigi Mariani

      Caro Gianluca,
      tu cogli un aspetto cruciale segnalando il fatto che ragionare dei problemi costa energia mentre coniare uno slogan è molto più semplice e più redditizio in termini di potere e di voti. E fin qui nulla di nuovo rispetto al passato. Di buono nel mondo d’oggi rispetto al passato vedo però almeno due cose:
      1. siamo tutti molto più liberi dalla fatica fisica che ottenebrava le menti del nostri nonni, per cui abbiamo moltissime più possibilità di combattere le nostre piccole battaglie
      2. abbiamo internet, e qui non oso pensare alla quantità di menzogne che un sistema come il nostro arriverebbe ad esprimere se tutta la comunicazione fosse affidata ai media tradizionali, i quali guard’a caso accusano la rete di essere fucina di bufale.
      Luigi

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