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Come pesci nell’acquario

Dopo una digressione nell’affascinante (è il caso di dirlo) mondo dei modelli, torno volentieri ad indagare un ambiente meno ostico da un punto di vista puramente scientifico, ma non meno importante e affascinante: parlo di quello che mi piace definire “il Terzo Livello”.

Penso che sia insito nella natura umana il desiderio di investigare quello che ci circonda, partendo da un approccio macroscopico e approfondendo il livello dell’indagine, fino a portarlo ad un livello progressivamente microscopico. Il dualismo tra gli approcci in questione ha segnato ad esempio la storia della chimica, laddove un approccio macroscopico basato su impressioni sensoriali ha ceduto progressivamente il passo ad un approccio microscopico basato sull’indagine dei meccanismi di interazione tra particelle.

In campo climatico il dualismo in questione si applica altrettanto facilmente: da un approccio sensoriale macroscopico, basato sull’osservazione dei fenomeni meteorologici e sulla percezione degli stessi da parte dell’uomo, si è passati ad un approccio progressivamente microscopico, la cui espressione più alta è rappresentata proprio dall’elaborazione di quei modelli di calcolo che permettono oggi di produrre previsioni meteorologiche affidabili anche a distanza di diversi giorni.

Ai due livelli citati se ne può aggiungere tuttavia un altro: un Terzo Livello che in qualche modo è sempre stato invadente in ambito scientifico: quello politico/economico.

Questione di scale (temporali)

La meteorologia e la scienza del clima sono materie affascinanti proprio per quell’aspetto macroscopico-sensoriale legato ai fenomeni meteorologici e ai loro inevitabili risvolti sul nostro quotidiano: sui nostri spostamenti, sulla nostra salute, sul nostro tempo libero o semplicemente sul nostro umore. Lo studio del microscopico in meteorologia è indispensabile e doveroso: investire nella ricerca significa approfondire la conoscenza del mondo in cui viviamo, dei meccanismi che lo regolano e, in ultima istanza, creare le premesse per vivere in un mondo più sicuro, più efficiente, semplicemente migliore.

Se in meteorologia il frutto degli investimenti in ricerca è tangibile nell’immediato, sotto la forma di previsioni del tempo progressivamente più affidabili, la stessa cosa non si può dire dei modelli climatici, che si applicano su scale temporali talmente lunghe da risultare nella sostanza indimostrabili nell’arco di almeno un paio di generazioni. Ma nel breve termine, quegli stessi modelli climatici finiscono comunque nelle agende politiche, muovono investimenti trilionari e interessi proporzionati all’entità di quegli investimenti.

Ed è per questo che non si può parlare di scienza del clima senza guardare a quel Terzo Livello, e senza provare ad indagarlo. Altrimenti si fa la fine dei pesci nell’acquario: in un contesto microscopico, si può conoscere più o meno tutto quello che serve: la temperatura, l’acidità dell’acqua, la sua salinità, l’evoluzione degli stessi parametri nel tempo e via dicendo. Ma fintanto che si resta all’interno dell’acquario non si saprà mai cosa succede fuori: si vivrà nell’illusione di sapere tutto, e di poter prevedere tutto. Mera illusione però, perché chi decide le sorti dei pesci appartiene proprio a quell’ambiente esterno la cui indagine è essenziale per fare qualsiasi diagnosi, ed elaborare qualsiasi strategia.

A qualcuno piace micro

A qualcuno piace che la discussione sul clima rimanga confinata al micro, che l’indagine scientifica si trasformi in rissa da osteria, con sceriffi pronti a intervenire sempre e comunque in soccorso della stessa parte. A qualcuno piace che nell’acquario si litighi furiosamente per contendersi qualche granello in più di pastura: che ci si scanni per variazioni di temperatura di entità impercettibile per gli stessi pesci, o per guadagnarsi il sostegno e il favore del fornitore di mangime. Piace, perché aiuta a distogliere l’attenzione dagli interessi più materiali sottesi alla rissa stessa, e perché alimenta la narrativa sull’esistenza di un substrato scientifico “settled”, e quindi non suscettibile di critica, su cui consolidare proprio quegli stessi interessi.

E allora, dopo essermi avventurato nel micro, perdonatemi se lascio un acquario affascinante e incantevole quanto intorbidato da inquinamenti di varia natura per tornare a investigare quell’ambiente esterno, quel Terzo Livello che di quegli stessi inquinamenti è promotore. Parleremo di ricchezza e povertà, di fretta e immaturità, di industria dell’energia, di geopolitica, di finanza e di tanto altro. Con l’intento di offrire spunti di riflessione, e con l’impegno ad evitare la tentazione sempre presente di fare diagnosi ed emettere sentenze più o meno perentorie.

L’appuntamento, quindi, è alla prossima puntata: parleremo di diete, di bilance e di auspici che tardano a concretizzarsi.

 

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Published inAttualità

Un commento

  1. Andrea Beretta

    Caro Massimo,
    il fenomeno, molto attuale di sti tempi, che tu chiami “effetto acquario”, un tale che alla cultura occidentale ha dato un piccolissimo contributo, tale Aristocle, meglio noto come Platone, lo ha descritto nella Repubblica (quella originale, non la sua omonima dei nostri tempi, su cui meglio che non faccia paragoni per evitare di far arrabbiare il filosofo, che, ricordo, credeva nelle reincarnazione delle anime e quindi magari ci legge e potrebbe offendersi). E precisamente nel noto mito della caverna. In fin dei conti, 2500 anni dopo siamo sempre lì: è proprio vero che l’uomo non è in grado di imparare niente né dai suoi errori, né dai geni che la Storia gli mette sul suo cammino. Apprezzo comunque i vostri articoli e lo sforzo che fate…

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