Salta al contenuto

Influenza degli aerosol sulla formazione delle nuvole

Qualche anno fa, qui su CM ebbi modo di parlare dell’influenza dei raggi cosmici sul processo di nucleazione delle nuvole. Nel post si discusse di un lavoro di Kirkby e colleghi in cui veniva esaltato il ruolo delle molecole biologiche quali promotrici della nucleazione. Secondo la teoria classica la nucleazione è influenzata principalmente dalle molecole di acido solforico presenti in atmosfera, per cui l’immissione di solfati in atmosfera in epoca industriale, ha determinato un incremento delle precipitazioni. Kirkby e collaboratori dimostrarono, invece, che piccole concentrazioni di molecole biologiche (α-pinene o monoterpene, per la precisione) possono fungere da nuclei di condensazione in presenza di raggi cosmici. Questo consente di affermare che in epoche in cui le molecole di acido solforico erano presenti in atmosfera in concentrazione inferiore a quella attuale, le precipitazioni venivano modulate dalle molecole biologiche e dai raggi cosmici.

In realtà le molecole di acido solforico sono sempre state presenti in atmosfera a causa delle eruzioni vulcaniche e degli aerosol di origine marina, per cui hanno sempre funzionato entrambi i meccanismi di nucleazione.

La modellazione delle nuvole costituisce una delle principali fonti di incertezza nella modellazione del clima terrestre. Veramente ci sono anche molte altre fonti di incertezza che sommandosi tra loro, rendono gli output modellistici affetti da enormi margini di incertezza, ma questo non lo si può dire altrimenti si rischia di essere tacciati di atteggiamento antiscientifico. Su questo sito non si ha paura a dirlo perché ciò è un fatto, ma questo suscita sempre le inspiegabili rampogne di chi sostiene che i modelli sono la verità in terra. E’ strano, ma bisogna farsene una ragione.

Tornando alla modellazione delle nuvole, bisogna tener conto che esse da un lato determinano le precipitazioni, ma dall’altro schermano la radiazione solare che entra nell’atmosfera, determinando pesanti effetti sul clima globale terrestre, sulla sensibilità climatica e via cantando.

Il mio post del 2016 metteva in evidenza che Kirkby e colleghi avevano ottenuto i loro risultati nelle asettiche condizioni sperimentali del CERN. Nella realtà le cose sono piuttosto diverse per cui Kirkby et al., 2016 era del parere che i risultati sperimentali dovevano essere suffragati da indagini in sito, per verificarne la bontà. Gli autori suggerivano anche una possibile soluzione del problema: indagare le aree caratterizzate da bassissime concentrazioni di acido solforico ed altri inquinanti come le foreste amazzoniche e quelle delle alte latitudini.

Per agevolare la comprensione di quanto scritto e di quello che scriverò in seguito, si riporta una rappresentazione schematica delle principali fonti di aerosol.

Fonte: NOAA

Da pochi giorni è stato pubblicato su Science l’articolo:

Substantial convection and precipitation enhancements by ultrafine aerosol particles 

di Jiwen Fan ed altri diciannove ricercatori che evito di citare in quanto l’elenco sarebbe enormemente lungo (da ora Fan et al., 2018).

In questo articolo è stato studiato il contributo al processo di nucleazione delle particelle di aerosol ultrafini (diametro inferiore ai 50 nanometri) presenti in troposfera al di sopra delle foreste amazzoniche. In altre parole lo studio va nella direzione indicata da Kirkby et al., 2016 e, quindi, potrebbe costituire un’indiretta conferma dei suoi risultati sperimentali. Secondo la vulgata corrente queste particelle non sono considerate in grado di influenzare la formazione delle nubi, per  cui sono sempre state trascurate in tutte le modellazioni climatologiche. Ebbene Fan et al., 2018 dimostra che ciò è stato un errore, in  quanto l’aerosol ultrafine è in grado di determinare pesantemente il processo di nucleazione.

Gli autori hanno simulato la formazione di nubi convettive profonde ed hanno scoperto che in ambienti in cui è presente una concentrazione anche molto bassa di aerosol si può verificare una forte sovrasaturazione del vapor acqueo presente a causa della coalescenza delle particelle degli aerosol ultrafini. Ricordo a me stesso che la coalescenza è un fenomeno fisico che comporta l’unione di particelle solide, liquide o aeriformi, in modo tale da generare particelle molto più grandi di quelle di partenza. L’immissione nella nuvola di aerosol ultrafini di origine antropica (dicono gli autori), ma anche naturale (aggiungo io), determina ulteriore condensazione del vapore super saturo presente, genera calore latente e, quindi, rafforza la convezione.

Gli autori concludono che gli aerosol ultrafini di origini antropiche (ma anche naturali, aggiungo io) sono in grado di favorire la formazione di nuvole convettive profonde in aree molto lontane da fonti di inquinamento come le foreste tropicali, quelle boreali e le immense superfici oceaniche.

Ed ora qualche considerazione finale.

Diversi studi hanno cercato di quantificare il flusso di aerosol di origine naturale ed antropica, giungendo a conclusioni molto diverse. Seinfeld & Pandis (1998) ha stimato che l’apporto in atmosfera di aerosol è di circa 3600 Tg/anno. Di questa quantità poco meno del 90% è di origine naturale e la restante parte è di origine antropica. Mi sembra molto strano, pertanto, che l’aerosol ultrafine che contribuisce al rafforzamento della convezione sia solo di origine antropica mentre tutto il resto è di origine naturale. Sempre dalla stima di Seinfeld & Pandis (1998) deduco che gli aerosol fini di origine antropica e naturale siano dello stesso ordine di grandezza, per cui mi sembra più corretto dire che il contributo delle particelle ultrafini di origine naturale ed antropica, esalta i processi di nucleazione e di convezione profonda che generano le nuvole e, quindi, le precipitazioni nelle aree incontaminate del globo.

In questa ottica penso che le ipotesi di Kirkby et al., 2016 siano state confermate in quanto le piccole molecole di origine biologica, possono ben essere iscritte tra gli aerosol ultrafini e, quindi, risulta confermato che la loro presenza esalta i processi convettivi profondi e contribuisce in modo determinante alla formazione delle nuvole.

Il meccanismo individuato da Kirkby nel laboratorio del CERN basato sui raggi cosmici opera anche in Amazzonia? Questo non lo possiamo dire in quanto Fan et al., 2018 non ne parla, ma io non mi sentirei di escluderlo a priori.

E per concludere non posso fare a meno di sottolineare che stiamo parlando di una nuova scoperta, l’ennesima, in grado di modificare profondamente i meccanismi fisici su cui si basa la modellazione climatica e, quindi, la climatologia. Eppure anni fa questa scienza è stata definita settled. A me non sembra.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAttualità

6 Comments

  1. A. de Orleans-B.

    Questo è un tema di grande interesse personale, perché ho esperienza “pratica” con le nubi convettive, avendo spesso volato al loro interno per guadagnare quota – sono creature gentili che possono diventare violente: conservo ancora un barogramma con una velocità ascensionale di 30 m/s da 2000 a 6000 metri.

    Lo menziono perché, per mantenere una ragionevole sicurezza, è necessario avere una coscienza della situazione “mesoscalica”, intesa come l’evoluzione prevedibile delle nubi convettive in un raggio di una cinquantina di km, per (ma non solo) evitare di restare intrappolati all’interno di una supercella, uno sviluppo raro ma pericoloso.

    Da una prima lettura dell’intero articolo di Jiwen Fan et al. sull’impatto dei “nanoaerosol” sulla modalità di crescita delle nubi convettive profonde e, in base alla “sensibilità mesoscalica” menzionata prima, mi è sorta spontanea una verifica empirica delle ipotesi modellizzate che gli autori non sembrano aver considerato.

    Dovrebbe infatti essere relativamente facile, per l’area in questione, generare la sequenza storica dei venti e delle foto satellitari con sovraimpressa la posizione di Manaus e verificare già “a occhio” se sottovento alla città si può apprezzare una differente densità di nuvole – con speciale attenzione ai cirri, previsti in aumento per la “post-iniezione” a quote elevate di acqua e calore latente, generati dalla condensazione addizionale del vapore soprasaturo residuo in presenza di nanoaerosol.

    Se l’effetto differenziale sulle nubi, dovuto a una immissione locale di nanoaerosol e modellizzato dagli autori, esiste per davvero lo si dovrebbe poter apprezzare subito – l’occhio umano è una macchina formidabile per valutare in prima instanza variazioni significative di uno schieramento nuvoloso.

  2. Caro Donato, è bello vedere che questa scienza “settled” si comporta come tutte le altre scienze, producendo tutti i giorni qualcosa di nuovo, di più sicuro ma sempre accompagnato d nuove domande e incertezze. Chissà perché, ma ho il dubbio (?)
    che tutta la certezza si trovi solo nell’attivismo climatico da inoculare senza mezze misure nelle menti di chi deve essere “salvato”. Proprio un paio di giorni fa ho ascoltato il farfallino climatico (no, non quello di Lorentz) pontificare sugli anni record in fila: purtroppo per me avevo appena riletto un articolo del 2015 di Mureka su WUWT
    https://wattsupwiththat.com/2015/01/23/super-heated-air-from-climate-science-on-noaas-hottest-year/
    che dimostra che gli anni in fila dipendono dalla persistenza e individua nelle temperature globali un’altra serie di record in fila attorno agli anni ’40. L’articolo non manca di definire fesserie i discorsi sulle serie di record.
    Noi lo sappiamo, ma è bene che anche altri si rendano conto che questo genere di notizie sono solo tentativi di influenzare l’opinione pubblica.

    Cambio argomento: sarei interessato a capire meglio la storia dell’aerosol ultrafine che gli autori attribuiscono in toto o quasi all’attività umana e che tu, secondo me giustamente, almeno dividi in naturale e antropico. Se qualche lettore di CM lo sapesse, mi piacerebbe vedere se gli ultrafine sono solo di un tipo (antropico) e non dell’altro, cioè se succede qualcosa tipo “l’uomo è bravo a fabbricare gli ultrafini mentre la natura è più grezza e costruisce solo aerosol più grossi”. Ho qualche dubbio, ma mi piacerebbe avere qualche certezza in più.
    Per concludere, grazie di tenerci aggiornati su argomenti che alm eno a me sarebbero sfuggiti certamente. Ciao. Franco

    • donato b.

      Caro Franco, credo di poter soddisfare (almeno in parte 🙂 ) la tua curiosità.
      .
      Lo studio di cui stiamo discutendo è stato eseguito in una zona dell’Amazzonia vicino alla città di Manaus, per cui i ricercatori hanno potuto verificare gli effetti prodotti dagli aerosol ultrafini generati dalle attività antropiche. Quando essi venivano portati dal vento nelle aree in cui era in atto un processo di convezione e nucleazione, innescato dagli aerosol in fase di coalescenza presenti in concentrazione naturale, i processi subivano un vertiginoso aumento di intensità e si innescava il processo di convezione profonda da essi descritto con dovizia di particolari, sia dal punto di vista termodinamico che fluidodinamico: nel post mi sono mantenuto sulle generali per non appesantirlo troppo in quanto avevo intenzione di enfatizzare solo la scoperta (che poi tanto nuova non è perché negli anni ’50 del secolo scorso qualcosa sul problema già era stato fatto).
      .
      A questo punto non è campato in aria il ragionamento degli autori: se gli aerosol ultrafini di origine antropica sono in grado di esaltare la convezione in Amazzonia, lo saranno anche in altre aree.
      Le mie perplessità riguardano non tanto il caso di studio, su cui ho poco da obiettare, quanto il problema generale: è, cioè, possibile che aerosol ultrafini naturali portati dal vento in aree in cui ne sono presenti altri in concentrazione ridotta, possano produrre gli stessi effetti di quelli antropici? Secondo me la risposta è si, ma nell’articolo è presente solo un cenno fugace a ciò che succede in aree non interessate da apporti di aerosol ultrafini di natura antropica. E questo mi sembra un limite non da poco.
      .
      Ribadisco che in base allo studio di Seinfeld & Pandis (1998) i flussi di aerosol fini di origine naturale ed antropica, sono dello stesso ordine di grandezza. E tale studio mi sembra fondamentale in quanto è citato in tutti i lavori che ho consultato per documentarmi sul problema degli aerosol ultrafini.
      Sarebbe stato importante, perciò, cercare di indagare anche il contributo degli aerosol ultrafini naturali, ma credo che si tratti di un’altra storia: cercherò di stare allerta. 🙂
      Ciao, Donato.

    • Grazie, Donato. Adesso credo di avere le idee più chiare e so che anche la natura produce aerosol ultrafine. Ciao.Franco

    • donato b.

      Gentile Maria, ha perfettamente ragione.
      Ciao, Donato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »