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Inuit e cambiamento climatico

Per motivi familiari ho letto un articolo del 2013 di Frédéric Laugrand, professore di Antropologia all’Université Laval (Canada) in traduzione italiana, apparso sull’ultimo numero della rivista Il Polo dell’Istituto Geografico Polare “Silvio Zavatti” di Fermo. Il Polo non è disponibile in rete e l’istituto non è ancora agibile dopo il terremoto dello scorso anno nell’Italia centrale, per cui faccio riferimento all’articolo originale, in francese, liberamente disponibile a http://communication.revues.org/4458   ;  doi:10.4000/communication.4458

Nel testo html è disponibile anche un link alla versione pdf che però richiede un accesso a openedition.org che io non ho.

L’articolo mi è apparso molto interessante sia per gli argomenti che affronta che per il punto di vista antropologico -ad entrambi non sono molto abituato- ma soprattutto per l’obbiettività che l’autore dimostra di avere.

Rimandando al testo completo per una migliore comprensione, estraggo dalla traduzione italiana (21 pagine) su Il Polo alcune frasi che mi hanno colpito, evidenziando che per forza di cose la scelta è soggettiva (nei fatti, un cherry picking).

  • Tramite la Conferenza Circumpolare Inuit, gli Inuit(1) del Canada da tempo prestano molta attenzione alla questione del riscaldamento globale. Negli ultimi mesi sono emersi punti di vista più critici, in particolare in Groenlandia, nonostante questa questione rimanga complessa e inseparabile dalle principali problematiche socioeconomiche di oggi. Anche se Mary Simon, la presidente uscente dell’Inuit Tapiriit Kamatami (una organizzazione politica inuit, nota di fz) approva i risultati del Gruppo Intergovernativo sull’Evoluzione del Clima (GIEC) altri leader e numerosi anziani si mostrano più cauti … gli anziani non sono stati istruiti nelle scuole del sud …
  • Per rimanere agli Inuit, la loro cosmologia animista e analogica li rende poco ricettivi alle ingiunzioni dei climatologi, biologi, ecologisti e altri esperti della fauna e dell’ambiente. Per gli Inuit, l’incertezza, il cambiamento continuo, l’imprevedibilità, la trasformazione, sono dati costanti del loro ambiente di modo che le parole chiave restano l’osservazione, l’adattamento, la negoziazione e perfino l’improvvisazione.
  • È quindi in Groenlandia che gli Inuit hanno mostrato la massima fermezza. … A Copenhagen il primo ministro della Groenlandia, Kuupik Kleist, da un lato ha promesso di sviluppare i progetti idroelettrici per coprire oltre il 60% delle risorse energetiche entro il 2020 … il capo del governo avrebbe dichiarato ad un giornalista spagnolo de El Pais che il suo paese, avendo nel suo territorio la seconda riserva mondiale di petrolio dopo l’Arabia Saudita, aveva l’intenzione di sfruttarla nonostante il riscaldamento globale (Nunatsiaq News 17 dicembre 2009)… Come altre nazioni emergenti, la Groenlandia subordina, quindi, il riscaldamento globale ai suoi obiettivi di sviluppo, una posizione che è stata adottata anche dall’India, dal Brasile e dalla Cina.
  • In questo articolo, che si concentrerà solo sull’Artico canadese, il punto è capire meglio l’attuale riluttanza degli anziani inuit ad appoggiare la visione degli ecologisti e degli ambientalisti, scommettendo che si basa su un certo numero di elementi ontologici che purtroppo non vengono mai veramente affrontati da coloro che che sono interessati alla questione del riscaldamento globale in queste società. Se questo assunto è vero, spiegherebbe in parte perchè molti Inuit, che non negano il cambiamento climatico, la fusione del ghiaccio e la vulnerabilità del loro ecosistema e della società, vedono questo problema climatico come una fatalità, un’ossessione occidentale. Per molti anche i timori sono sproporzionati. Per altri i paesi incriminati restano quelli del Sud. Per altri ancora non è affatto possibile invocare il riscaldamento per gestire la fauna selvatica con nuove quote di caccia, essendo i metodi di censimento dei biologi fortemente contestati.
  • Pur riconoscendo che vi è una connessione tra l’azione umana e il cambiamento climatico, che l’ambiente artico deve essere protetto dall’inquinmento industriale, gli anziani inuit continuano a non fidarsi. Temono di essere soffocati da nuove regole, da un fondamentalismo ecologico che può nuocere, ancora una volta, al loro modo di vivere come cacciatori. …. Alla fine, gli Inuit non intendono cedere alla passione ecologica che finora hanno sempre combattuto, sia che si pensi alla politica delle quote o al divieto di esportazione delle pellicce decretato dall’Unione europea.
  • … dimostrare come gli Inuit siano sempre stati sensibili ai cambiamenti climatici e ambientali, valutando l’adattamento, l’anticipazione, la resilienza in caso di shock e senza paura di fronte all’imprevedibile.
  • I cacciatori inuit hanno da alcuni anni notato variazioni climatiche e forse segnali premonitori del cambiamento climatico. Tuttavia, a differenza degli scienziati occidentali, evitano ogni previsione affrettata.
  • … Gli effetti del riscaldamento globale saranno poi discussi, potendo anche essere percepiti come un evento salutare.
  • In breve, il riscaldamento globale e i dibattiti che solleva, così come le soluzioni che richiama, dimostrano che l’uomo, nella nostra società, si pensa sempre come un essere gerarchicamente superiore alle altre specie, animali e vegetali, in grado di dominare la natura e influenzare il corso degli eventi. … tale approccio richiederebbe, per esempio, che alcune nazioni accettino sacrifici e una decrescita affinchè gli altri possano emergere approfittando del riscaldamento globale per sfruttare le proprie risorse naturali. Ma questa è un’utopia o una cultura politica completamente diversa.

Alcuni pensieri sparsi:

  1. Il 2013 doveva essere l’anno di transizione tra “riscaldamento globale” e “cambiamento climatico”: i termini vengono usati entrambi con leggera prevalenza del primo.
  2. i “salvatori del mondo” si dimostrano, come sempre, sicuri dei loro dogmi cartesiani (equivalenti ad una religione) e non prendono in considerazione altre visioni del mondo, ovviamente senza sentirsi in obbligo di dimostare in primis che queste ultime sono false.
  3. Anche al Nord (come altrove) il riscaldamento globale è usato come scusa per ottenere risultati in campi diversi (lì sono le quote di caccia).
  4. Non seguo molto questi argomenti, ma non ho più sentito parlare di sfruttamento dei campi petroliferi groenlandesi: chissà quanto è costato a noi tutti tacitare i desideri di sviluppo di questo popolo (o, come direbbe qualcuno, quanto abbiamo guadagnato in termini di salute ambientale …, al solito, concetto tutto da dimostrare, magari anche con un bilancio tra i costi e i guadagni dello sviluppo).
  5. In una parte che non ho riportato, ci si pone la domanda: per chi dovremmo salvare il pianeta e i suoi animali? Quali sono queste generazioni future e di chi stiamo parlando?
    Mi viene sempre in mente che tutte le generazioni hanno sempre ricevuto in eredità quanto le generazioni precedenti hanno lasciato loro (potuto, voluto o dovuto lasciare). Perché noi dovremmo essere diversi (si suppone migliori) rispetto ai nostri predecessori, solo sulla base di una certezza fideistica del tutto indimostrata di una superiorità rispetto a tutti gli altri componenti della natura? E chi siamo noi, San Francesco? E i nostri padri sono stati forse agenti del Male Assoluto? Ma per favore …!!!
  6. In un’altra parte che non ho riportato, relativa agli orsi bianchi, si dice che gli Inuit non riconoscono la fondatezza dei metodi dei biologi per contare il numero di orsi (questi procedimenti contribuirebbero ad irretire gli animali) né la loro diagnosi di una prossima scomparsa … al contrario ritengono che siano una popolazione in buona salute.
    Mi sembra di leggere un post di Susan Crockford che, per aver detto le stesse cose, è stata attaccata in modo molto duro da biologi e salvamondo vari.

Bibliografia

  1. Frédéric Laugrand: Les Inuit face aux changements climatiques et environnementauxCommunication [En ligne], Vol. 31/2, 2013, mis en ligne le 18 septembre 2013. URL : http://journals.openedition.org/communication/4458 ; DOI : 10.4000/communication.4458
  2. Frédéric Laugrand: Gli Inuit di fronte al Cambiamento Climatico e AmbientaleIl Polo, LXXII-4, 9-29, 2017

Nota (1)L’etnonimo Inuit ha sostituito quello di Eskimaux/Eskimos/Eschimesi di origine straniera e utilizzato fino agli anni ’70. Inuit significa “uomini”; Inuk significa “una persona”; la forma duale “Inuuk” si riferisce a “due persone”. La lingua Inuit, detta polisintetica, appartiene alle lingue Eskaleute e si divide in quattro gruppi, dall’Alaska all’Artico canadese (est ed ovest) alla Groenlandia.

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Published inAmbienteAttualità

10 Comments

  1. donato b.

    Caro Franco, hai scritto un bel post. Esso ci consente di vedere il mondo da un angolo di visuale che quasi mai consideriamo: il nostro egocentrismo ci impedisce di considerare le legittime aspettative di altre popolazioni. Gli Inuit chiedono solo di consentire alla loro cultura di sopravvivere e di poter vivere bene, al massimo delle possibilità che lo sviluppo può consentire. Noi replichiamo dicendo che non si può, che il petrolio è meglio che resti sottoterra e che non fa niente che loro ne hanno bisogno per progredire, l’importante è salvare il mondo.
    Se i nostri antenati avessero ragionato in questo modo, vivremmo ancora nelle caverne o sulle palafitte.
    .
    Qualche benpensante che leggerà il tuo post e questo commento, penserà che siamo due egoisti cui non frega niente (così come agli anziani Inuit) dei nostri figli e dei nostri nipoti. Ce ne faremo una ragione, ma la mia età è tale da consentirmi di ricordare quando nella casa dei miei nonni non c’era né la corrente elettrica, né l’acqua corrente. Io ho vissuto in case non riscaldate (l’unica fonte di calore era il camino della cucina e solo in quel locale si riusciva a vivere in condizioni abbastanza confortevoli). Ci vestivamo a strati: più faceva freddo, più vestiti indossavamo.
    Poi è arrivato il benessere: luce elettrica, acqua di pozzo, ma corrente, stufe elettriche o a gas e, finalmente, l’impianto di riscaldamento che consentiva di riscaldare tutta la casa.
    Ora ci chiedono di tornare indietro, anzi no, di cambiare il nostro “stile di vita”, i nostri modi di costruire perché il mondo si sta scaldando per colpa nostra.
    Nessuno ha il coraggio di dire queste cose a voce alta. I messaggi sono molto più sottili: vestiamoci a “cipolla” così risparmiamo sul riscaldamento, realizziamo case piccole e con muri rivestiti con decine di centimetri di centimetri di isolante in modo che neanche un joule di calore vada perso, rivestiamo i tetti di pannelli solari perché ci danno energia gratis e chi più ne ha, più ne metta.
    Costa, però, dice il malcapitato che vuole costruirsi casa. Tu scrolli le spalle e gli dici che è necessario per salvare il mondo. Lui ci pensa su e se ne va: mi prendo una casa vecchia e ci vivo senza tante storie anche se sta in classe “G”. Non sono solo gli Inuit a non fidarsi di ambientalisti e salvamondo vari! 🙂
    .
    Tornando agli Inuit, credo che siano temprati a vincere le difficoltà. Ai tempi di Erik il Rosso e dei Vichinghi riuscirono a contenerne l’espansione e, successivamente, quando le condizioni climatiche e non solo costrinsero i Vichinghi ad abbandonare la Groenlandia, ripresero il sopravvento. Questa è però un’altra storia su cui, forse, scriverò qualcosa. 🙂
    Ciao, Donato.

    • Caro Donato, ho più anni di te e ricordo bene la vita che descrivi. Per me non si è trattato di camino ma di “stufa economica” che a volte posso anche ricordare con nostalgia (della giovinezza) ma che non poteva fornire lo stesso benessere ambientale dei sistemi odierni e che certamente non rimpiango. Potrei anche pensare che il pianeta è troppo sfruttato e che dovremmo tornare indietro, ma se lo pensassi sarebbero affermazioni gratuite e non dimostrate, probabilmente frutto della martellante pubblicità messa in piedi con altri scopi (ridistribuzione mondiale della ricchezza) da improbabili e autoproclamatisi, “sacerdoti” di una religione che, come tutte le religioni, si basa su dogmi o “verità vere” a cui devi credere “… perché sì”.

      Gli Inuit vivono da tempo immemorabile in condizioni estreme e sanno bene come comportarsi: se sgarrano non riescono a mangiare, non a fine secolo come ci sparano addosso ad alzo zero i nostri soloni, ma il giorno dopo o la
      settimana successiva. E i figli, che sono la vera loro ricchezza, muoiono di fame. Hanno costruito la loro cosmologia sui comportamenti concreti e condivisi, non sulle paure per il futuro. Ma basta così: mi sto avventurando su terreni scivolosi che non sono i miei.
      Ti invito solo, sulla storia dei Vikinghi in Groenlandia e sui loro rapporti con i vicini, a scrivere davvero qualcosa. Lo leggerò con piacere e sono sicuro che non sarò il solo. Ciao. Franco

    • Fabrizio Giudici

      Nessuno ha il coraggio di dire queste cose a voce alta.

      Anche perché è un “armiamoci e partite”. I delegati alle conferenze ambientali mica vanno in alberghi a tre stelle, il che non impedirebbe le loro funzioni; nossignore, cinque stelle, possibilmente di lusso. Un ex ministro nostrano, lo ricorderete, ambientalista a tutto tondo, andava addirittura in quelli a sette stelle, se poteva. Caduto in disgrazia, ma poi recuperato dopo che si chetarono le acque.

      Se certi scenari malauguratamente si attuassero, al freddo a vestirci a strati finiremmo noi, mentre l’elite dei padroni del vapore, con i propri lacché al seguito, continuerebbe a starsene ben al caldo.

  2. Paolo

    Ho visto di recente un interessante documentario sugli Inuit della Groenlandia sulla RSI (Radio Televisione della Svizzera Italiana). In studio c’era il noto esploratore Robert Peroni, che da anni si è trasferito a vivere lì con la popolazione locale. Interessante è stato il suo commento a proposito dei cambiamenti climatici, quando afferma che per gli Inuit “se si scioglie un po’ di ghiaccio” non è un grosso problema, perché, anziché la slitta, possono andare a cacciare le foche con la barca. E che quindi il riscaldamento globale “per loro non è un problema, ma è più un problema per noi”. A suo dire, quindi, gli Inuit si fanno un baffo del global warming. Tristi poi le sue previsioni riguardo il futuro di questa popolazione, destinata a scomparire in breve a causa delle nuove leggi dell’UE che impediscono l’importazione dei derivati della foca, condannando gli Inuit a tirare la cinghia e a vivere di stenti.
    Qui il link per chi fosse interessato. Purtroppo però funziona solo in territorio elvetico. https://www.rsi.ch/la1/programmi/cultura/storie/Orizzonte-bianco-10002811.html

    • E’ interessante vedere che anche dalla Groenlandia e in tempi più recenti del 2013, arrivano le stesse notizie e gli stessi atteggiamenti dell’Artico canadese. Grazie per le informazioni. Per il link, io riesco ad accedere senza problemi. Franco

  3. Luigi Mariani

    Caro Franco,
    dalla documentazione disponibile in internet (http://www.museopolare.it/museo.htm) trovo molto interessante il museo polare di Fermo, ben allestito e portatore di una cultura multidisciplinare più che mai attuale. In tal senso colpisce anche la biografia di Silvio Zavatti, che immagino tuo parente (http://www.museopolare.it/SilvioZavatti.htm).
    Grazie moltissime per la segnalazione.
    Luigi

    • Franco Zavatti

      che immagino tuo parente
      Sì caro Luigi, era mio padre. Franco

  4. Filippo Turturici

    Sono certamente d’accordo che non possiamo lasciare alle generazioni future un mondo degradato: ma quanto è davvero degradato? Né possiamo limitarci ad un conservazionismo fine a sé stesso, una specie di soprintendenza ambientale che blocca qualunque cosa in nome di un mondo immobile ed immutabile. Gestire bene il nostro mondo, non significa assolutamente non gestirlo affatto. Né soprattutto l’ambientalismo può prescindere dallo sviluppo umano, considerando l’umanità come un corpo estraneo e nocivo: gli inuit, che saranno per noi “primitivi” ma non sono certo stupidi, lo hanno ben capito.
    Quanto all’ipocrisia, molti si sono arricchiti in passato con gli idrocarburi (non solo i norvegesi, ma anche i californiani, i Rockfeller ed altri, non solo occidentali) per non parlare del carbone; ed ora piangono sul latte versato. Solo che usano le lacrime altrui.

  5. Luca Maggiolini

    Bello.
    Madonna santa quanta ipocrisia pelosa (e ben indirizzata ai propri interessi, ovviamente).
    Gli Inuit sono cattivoni perchè vorrebbero sfruttare il petrolio per migliorare la LORO esistenza: i norvegesi, invece, giusto per dirne uno, sono esempi di virtù, hanno le macchine elettriche (che strapagano), producono tutta la loro energia con l’acqua anche se campano e ingrassano coi soldi del petrolio…. ma loro possono, gli altri no (fino allo sfruttamento del petrolio i norvegesi avevano le pezze al sedere; certo, bravi loro a sfruttare bene i guadagni e non buttarli, però……però….)

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