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Antico campo magnetico terrestre

L’ultimo articolo di Donato Barone su CM mi ha incuriosito non tanto e non solo per la (debole) interazione correnti oceaniche – campo magnetico terrestre su cui non ho elementi per discutere, ma in particolare per cercare di capire come si comporta il campo magnetico terrestre, la cui intensità ho potuto ricostruire partendo da un precedente articolo su CM, sempre di Donato Barone, e dai commenti presenti.

I dati su 4 milioni di anni
Sono partito da un articolo di Pelletier (1999) che riporta in figura 1 l’intensità storica (paleointensità) del campo magnetico terrestre negli ultimi 4 milioni di anni (come misura si usa VADM -Virtual Axial Dipole Moment- in unità di 1022A•m2).

Pelletier, per i dati, fa riferimento ad un lavoro di Meynadier et al.(1994) i quali hanno effettivamente ottenuto le misure di intensità. Malgrado le indicazioni, non sono stato in grado di trovare la serie numerica dei dati (e il fatto che Pelletier ringrazi Maynadier per i dati mi fa pensare che questi non siano liberamente disponibili). Ho quindi deciso di digitalizzare la figura 1 di Pelletier con un risultato che mostro nel quadro superiore di figura 1 (pdf).

Fig.1: Paleo intensità del campo magnetico terrestre, digitalizzata dalla figura 1 di Pelletier (1999) visibile, per confronto, nel sito di supporto. La grandezza VADM è il momento di dipolo assiale virtuale. I valori negativi rappresentano le inversioni di polarità del campo. La riga rossa è il fit lineare da cui è stato calcolato il detrending richiesto da LOMB. Gli altri due quadri mostrano lo spettro LOMB a diverso dettaglio. Ma indica milioni di anni.

I quadri inferiori di figura 1 mostrano lo spettro dell’intensità su periodi fino a 4 Ma e fino a 500 mila anni: l’indicazione di ciclicità di circa 3 Ma è molto forte, insieme a quelle, di potenza inferiore, a 1.3 Ma e a ~700 mila anni. Tra i periodi di potenza minore, spicca quello a 310 mila anni, ma da questo primo avvicinamento, per me, al campo magnetico terrestre non saprei quali conclusioni trarre o a cosa attribuire queste oscillazioni.

Tra i periodi più deboli, nel quadro in basso, spiccano ai miei occhi quelli a 100, 42, 26 mila anni (i cicli orbitali di Milankovich, dovuti a eccentricità dell’orbita, obliquità dell’eclittica e precessione, rispettivamente), più il periodo a ~70 mila anni che credo di aver letto si possa attribuire a variazioni (inversioni?) intrinseche del campo magnetico. Certamente le basse potenze relative di queste ciclicità non possono in alcun modo far pensare ad una sensibile influenza orbitale; credo che il massimo consentito sia la registrazione della loro presenza.

L’analisi della funzione di autocorrelazione (ACF) dei dati originali (linea nera) mostrata in figura 2 (pdf) sottolinea la presenza di memoria a lungo termine.

Fig.2: Funzione di autocorrelazione di VADM e della sua derivata prima. Tralasciando i valori numerici (sicuramente sbagliati), si valuti la larghezza delle due funzioni: maggiore è la larghezza, maggiore è la persistenza presente nei dati.

L’uso della derivata produce una ACF (linea blu) esente da persistenza e questo fatto “obbliga” a prendere in considerazione lo spettro della derivata numerica di VADM.

In figura 3 (pdf) il grafico e lo spettro LOMB delle derivate di VADM

Fig.3: Valori e spettro LOMB della derivata prima numerica di VADM. Da notare il notevole ribaltamento delle potenze relative dei massimi spettrali.

Nella figura 3 i massimi spettrali sono quasi esattamente gli stessi di figura 1 ma sono molto diversi i rapporti tra le potenze: i grandi massimi da 1-3 milioni di anni sono molto indeboliti mentre quelli di periodo inferiore a 310 mila anni sono diventati i più significativi dello spettro e in particolare il picco a 100 mila anni (eccentricità dell’orbita terrestre) diventa il massimo assoluto. Il periodo di 41 mila anni (obliquità, qui diventato di 43 mila anni) è ancora tra i principali massimi, mentre quello a 26 mila anni (precessione) si perde in mezzo alla moltitudine di altri picchi più potenti, evidenziando la probabile minore influenza di questo fenomeno sulle variazioni del campo magnetico terrestre.

In questo caso la correzione per la persistenza mette in luce l’influenza orbitale sul campo magnetico terrestre, influenza immaginabile ma quasi del tutto nascosta dalla memoria a lungo termine dei dati originali (figura 1).

I dati su 8000 anni
Mary Kovacheva nel 1980 ha prodotto la misura di tre parametri magnetici della Terra (su un intervallo temporale di circa 80 secoli, dal 19.mo CE al 63.mo BCE): D (declinazione), I (inclinazione), F (intensità del campo). Questi dati sono riportati nella sua tabella 1, insieme ai parametri derivati F/Fo (Fo è l’intensità del campo nel 1980) e VDM (Virtual Dipole Moment, in 10-25 G•cm3).

Io ho usato i valori VDM e come ascissa l’anno centrale del secolo considerato: li mostro in figura 4 (pdf) insieme al loro spettro LOMB.

Fig.4: VDM di Kovacheva (1980) calcolato come VDM=0.5•F•R3•(1+3•cos2I)0.5, espresso in unità di 10-25 G cm3, essendo R il raggio terrestre. La linea rossa è il fit lineare da cui calcolare la serie detrended. Nei quadri in basso lo spettro LOMB i cui i periodi sono in ka (migliaia di anni).

In questo caso lo spettro è dominato da un esteso picco di periodo circa 8200 anni (incerto, data l’estensione del dataset) e soprattutto dal massimo a circa 1500 anni, accompagnato da quelli a 110 e 90 anni e altri massimi ben visibili si osservano a 1.9, 0.8 e 0.7 ka.

Non vedo in questo spettro periodi particolari se non, forse, quello a 2400 anni osservato anche da Kern et al., 2012 che trova anche, al di sotto del livello di confidenza, i due a 0.7 e 0.8 ka (nella sua figura 7).

La funzione di autocorrelazione di figura 5 (pdf) mostra che i dati osservati sono affetti da persistenza, quasi del tutto corretta dalla derivata prima.

Fig.5:Funzione di autocorrelazione della serie VDM e della sua derivata prima.

Anche in questo caso il calcolo dello spettro delle derivate in figura 6 (pdf) mostra una situazione diversa da quella originale. Viene ridimensionato il massimo pricipale a ~1.5 ka e scompare il picco a 2.4 ka, forse inglobato nel pianerottolo che contiene 1.95 ka.

Fig.6: Dati e spettro della derivata prima di VDM.

Quasi raddoppiano i massimi a 0.7 e 0.8 ka che ora assumono la stessa potenza di quelli tra 0.14 e 0.08 (i valori più alti dello spettro); questi ultimi periodi ricordano due cicli solari (senza nome) a 150 e 104 anni e il ciclo di Gleissberg di 88 anni.

In conclusione, l’intensità del campo magnetico terrestre mostra nel suo spettro una varietà di ciclicità, alcune delle quali legate a fattori astronomici noti e altre per le quali non sono in grado di fornire una possibile causa iniziale.

Bibliografia

  • A.K. Kern, M. Harzhauser, W.E. Piller, O. Mandic, A. Soliman: Strong evidence for the influence of solar cycles on a Late Miocene lake syst revealed by biotic and abiotic proxies , Palaeogeography, Palaeoclimatology, Palaeoecology, 329-330, 124-136,201.
    DOI: 10.1016/j.palaeo.2012.02.023 (full text)
  • Kovacheva M.: Summarized results of the archaeomagnetic investigation of the geomagnetic field variation for the last 8000 yr in south-eastern Europe. , Geophys. J. Int., 61, 57-64, 1980. doi:10.1111/j.1365-246X.1980.tb04303.x (full text)
  • Meynadier L., Valet J-P, Guyodo Y.: Saw-toothed variations of relative paleointensity and cumulative viscous remanence: Testing the records and the model , Journal of Geophysical Research, 103,B4, 7095-7105, 1998. doi:10.1029/97JB03515 (full text)
  • Pelletier Jon D.: Paleointensity variations of Earth’s magnetic field and their relationship with polarity reversals , Physics of the Earth and Planetary Interiors , 110, 115-128, 1999. full text
Tutti i dati relativi a questo post si trovano nel sito di supporto qui
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Published inAttualitàClimatologia

9 Comments

  1. @Luca Rocca
    Grazie per l’articolo. È molto interessante e dà conto dellapossibile realtà fisica di almeno la ciclicità a 100ka e forse di altre.(potendo disporre dei dati) Anche la spiegazione dei legami tra inversione del campo (credo quelle situazioni di cui parlavo nella risposta a Rocco) è chiara e artiicolata, proponendo più di una possibilità.
    Credo che questi aspetti si leghino a quanto avevo scritto su CM p=43968 e p=43999. Franco

  2. Luca Rocca

    Anche le glaciazioni influiscono sul campo magnetico. Cambiando la distribuzione delle masse e del livello del mare anche la velocità angolare del pianeta varia

    • Adesso che sono in campeggio, con qualche “aggegio” elettronico che non va al meglio, rispondo in ritardo e me ne scuso.
      È vero, le varie situazioni si intersecano e si modificano vicendevolmente ma, data la natura del post, mi piacerebbe capire dove nello spettro si manifestano queste reciproche relazioni e se siano mascherate (o mascherabili) dalla persistenza. Purtroppo non ho modo di saperlo e la meccanica celeste, che conosco, non mi aiuta. Franco

    • Luca Rocca

      Sulla relazione fra ere glaciali e campo magnetico c’è molta discussione non ci sono neanche dati certi ma una cosa è sicura che non si può variare il momento angolare del pianeta ma una variazione del livello di 100 metri varia il momento di inerzia del mantello e quindi del nucleo in maniera significativa .
      Le allego questo paper che da una spiegazione del fenomeno ( è un po’ datato ma molto chiaro)
      https://ntrs.nasa.gov/archive/nasa/casi.ntrs.nasa.gov/19930009779.pdf

  3. Rocco

    Questo riguarda l’intensità, le inversioni polari sicuramente non sono periodiche.

    • Se il riferimento è al massimo di circa 70 mila anni, la “spiegazione” che ne ho dato è solo il ricordo, non troppo preciso, di qualcosa che ho letto, forse in uno degli articoli citati in bibliografia. Penso che ci riferisse non alle inversioni vere e proprie ma a tentativi non riusciti di inversione o a “movimenti” intermedi tra una inversione e l’altra. In ogni caso il commento mi sembra molto opportuno, grazie. Franco

  4. donato b.

    Caro Franco, due sono gli aspetti più intriganti (almeno per me) del tuo pregevole lavoro di cui sono stato involontario “istigatore”. 🙂
    Il primo riguarda la presenza dei periodi astronomici nel campo magnetico terrestre ed il secondo ha a che fare con le altre periodicità.
    .
    Se ci riflettiamo bene non ci sorprendiamo del fatto che il campo geo-magnetico non è un monolite che assume valori costanti che cambiano drasticamente in occasione delle inversioni di polarità. Come tutti i fenomeni naturali dipende da numerosi fattori di tipo endogeno ed esogeno. La componente “oceanica” di cui mi sono occupato recentemente ne è un esempio. Essendo esso generato dai moti dei materiali costituenti il nucleo esterno terrestre, non ci dobbiamo meravigliare della sua variabilità a breve termine ed a lungo termine per cui la comparsa di cicli di relativamente breve periodo nell’analisi di Lomb, è da considerarsi normale, anzi ci fa capire che ci troviamo di fronte ad un fenomeno che presenta regolarità a diverse frequenze. Tali regolarità sono generate, come già accennato, dalle oscillazioni di natura endogena ed esogena che caratterizzano il campo magnetico terrestre.
    Tra le principali cause delle variazioni del campo magnetico terrestre mi sento di inserire quelle generate dai moti planetari (Sole e Luna, principalmente) che hanno periodi circadiani o decadali, oppure da moti interni al pianeta che hanno periodi molto più lunghi. Il campo magnetico terrestre è, in ultima analisi, il risultato di una sovrapposizione di stati che l’analisi di Lomb ha messo in evidenza.
    Secondo quanto ho avuto modo di apprendere studiando i testi relativi al campo magnetico terrestre, non tutti questi periodi sono reali: soprattutto quelli più lunghi devono considerarsi pseudo-periodi in quanto conseguenza di fenomeni non lineari che coinvolgono i fluidi interni del pianeta.
    Ciao, Donato.

    • Caro Donato, grazie del tuo commento che completa egregiamente il mio post.
      Non posso che essere del tutto d’accordo con te.
      Non avevo letto nulla sui periodi più lunghi, da considerare spuri, e mi fa piacere osservare che la correzione per la persistenza ha permesso di ridimensionare notevolmente la potenza di questi periodi, confermando di fatto quanto tu hai studiato sulla non linearità di questi processi interni. Ciao. Franco

  5. Ho notato che nella didascalia della figura 4, nella formula, sono riportati R3 e cm3 (in realtà R e cm sono entrambi elevati al cubo). Dato il mio poco feeling con i CMS penso che quello di WordPress non gradisca l’elevamento a potenza nelle didascalie, mentre aveva gradito, qualche riga sopra, quello nel testo. Ma sono solo i pensieri sadici di un “odiatore di CMS”, di cui mi scuso, e la realtà potrebbe essere diversa. Franco

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